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Michele Lacetera Persone Storie Parole IntraText CT - Lettura del testo |
E
Non c’è nessuna cultura a dialettizzare i
nomi dei paesi cancellando le sillabe
finali. Questo non è recupero delle proprie
radici, ma incapacità di parlare con
chi abita oltre il confine. (Umberto
’eccia, s. f. veccia, erba infestante che
nasce in mezzo al grano. Foraggio per
’èdou, s. m. vedovo. Al femm. “’èdoa”.
Raramente le persone rimaste vedove
contraevano un altro matrimonio. Ciò era
vero soprattutto per le donne. Riprendersi
un altro marito era considerato assolutamente
sconveniente. Quando la cosa succedeva
l’opinione pubblica non mancava
di far sapere all’interessata la sua totale
disapprovazione in maniera anche rumorosa.
Ragazzi muniti di campanacci sostavano
sotto la casa della malcapitata e
improvvisavano sonetti di scherno nei
suoi confronti. In tal modo il paese faceva
conoscere la sua opinione su quanto
stava per accadere.
’eleno, s. m. veleno. Una delle ultime
autentiche osterie in attività a Z. fu quella
di “’Eleno” (Mario Loreti) dove era possibile
accompagnare una porzione di trippa
o di altro con un buon bicchiere di
vino. Alla buona e in tutta semplicità. Di
tali locali non c’è più traccia.
èllola, èllole, èlloli, èllolu, (v. esso). avv.
e pr. eccola, eccole, eccoli, eccolo.
’elocipede, s. m. velocipede. Dapprima
era una bicicletta con la ruota anteriore
molto più grande di quella posteriore.
Successivamente significò genericamente
’ennegnà, v. tr. vendemmiare.
’ennegne, s. f. pl. vendemmia. Il termine
è usato al plurale probabilmente perchè
quasi tutti i vignaiuoli di Z. la vendemmia
la facevano più volte in quanto proprietari
di più vigneti.
’entilà, v. tr. ventilare, pratica agricola
consistente nel lanciare in aria il grano o
altri cerali per separare i chicchi dalla
pula. I contadini si servivano per la bisogna
di pale di legno e durante tutta l’operazione
invocavano a gran voce il vento
di ponente particolarmente adatto ad ottenere
i risultati desiderati “daje ponente,
’èntula, s. f. ventaglio, ventola.
eo, pr. pers. di prima persona s. io. Le
altre forme sono: tu, issu, essa, noa, voa,
issi, esse.
èolu, s. m. Sambucus ebulus, grande
pianta erbacea a rizoma con foglie grandi
e fetide e fiori bianchi o rosei. I frutti sono
velenosi. La radice ha proprietà diuretiche.
erbetta, s. f. prezzemolo. In uso solo a
Roma fino a qualche tempo fa, il termine
ha avuto fortuna e oggi è usato in tutta
’ermenara, s. f. panico, terrore. Tanta
paura che provoca l’insorgenza di vermi
nell’organismo.
essa, pr. pers. di terza persona s. ella,
essa, lei. Pl. “esse”.
esso, avv. ecco. Insieme con i pronomi
“lu, la, li, le” dà luogo alle espressioni
“essolu, essola, essoli, essole” (eccolo,
eccola, eccoli, eccole). Fenomeno dell’enclisi
per cui parole atone si appoggiano
alla parola precedente formando un’unica
’estone, s. m. gonna molto lunga.
estrame, s. m. fieno misto a paglia e ad
altre erbacce che si dava da mangiare agli
’etta, s. f. vetta. In tutta l’Italia centromeridionale
indica una coppia di buoi aggiogati.
’ettina, s. f. grosso recipiente di terracotta
dal collo largo e con due manici. Per
conservarci l’olio. Reg. romano “vettina”.
De Mauro suggerisce la derivazione
dal greco “butine” o “putine”, damigiana
impagliata o ricoperta di vimini.