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Michele Lacetera
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P

 

La lingua italiana, da chi è appena uscito

dal tunnel del dialetto, è affrontata

come la prima lingua straniera della sua

vita. (Cesare Marchi).

pas. m. pane. Evidentissimo il fenomeno

dell’apocope o caduta di un’intera sillaba.

Vuole l’articolo “lo”.

pacchiarottu, agg. sempliciotto, ingenuo,

credulone.

paccutu, agg. di grande consistenza, di

notevole spessore.

pacenza, s. f. pazienza.

pa’ de tritellu, s. m. il pane dei poveri,

impastato con il tritello che è un sottoprodotto

derivante dalla macinazione dei

cerali, usato di solito per l’alimentazione

animale. Il pane di tritello era completamente

nero.

pàdremu, s. m. con agg. poss. mio padre.

pàdretu, s. m. con agg. poss. tuo padre.

paìnu, s. m. bellimbusto, damerino. I

dizionari della lingua italiana registrano il

termine paìno con il medesimo significato

e tendono a definirlo un regionalismo

settentrionale, tanto da farlo derivare da

patavinum, padovano, di Padova. Il vocabolo

è rintracciabile nel sonetto “La

morte co la coda” del Belli dove si legge

“Si cce credemo, o mminenti o ppaini…”

Qui il termine è usato per intendere borghesi,

vestiti con abiti civili, appartenenti

al ceto medio alto.

pajacciu, s. m. 1) pagliaccio. 2) materasso

ripieno di paglia o di foglie di granturco.

Era quello più in uso nelle famiglie

contadine. La materia prima era fatta in

casa nel senso che ognuno era in grado di

procurarsi le foglie del granturco, coltura

onnipresente in ogni appezzamento di terreno.

palazzacciu, s. m. ampio fabbricato su

colle Palazzola appartenuto un tempo alla

famiglia Altemps. Questa famiglia, di origine

tedesca (nome originale Hoenems),

divenne assai nota a Roma ed ebbe grande

influenza nel mondo ecclesiastico allorchè

un suo componente, il cardinale Marco

Sittico Altemps, acquistò, a Roma, il prestigioso

Palazzo che ancora oggi porta il

cognome di famiglia. Il Palazzaccio, che

aveva una struttura da castello fortificato,

era usato per casino di caccia e per residenza

estiva. Si racconta che per un periodo

di tempo il poeta Gabriele d’Annunzio

usò il palazzo per i suoi convegni amorosi.

Il tempo e l’incuria hanno rischiato di

cancellarlo. Passata attraverso diversi proprietari

l’intera struttura è stata restaurata

ed ha acquistato un aspetto archittettonicamente

gradevole e ben inserita nella

realtà rurale nella quale si trova.

Palazzo Rospigliosi, ha origini alquanto

incerte quello che sicuramente è il reperto

storico più importante di Z. il simbolo

stesso del paese.

Si ha notizia della distruzione, avvenuta

più volte e per sfortunate vicissitudini, di

un castello che sorgeva dove oggi sorge

il Palazzo. Il castello venne completamente

distrutto alla fine del XIII secolo,

sotto il pontificato di Bonifacio VIII.

Diversi i proprietari: dai Colonna ai

Ludovisi fino ai Rospigliosi che ne vennero

in possesso nel 1670. Nel Palazzo si

svolse nel 1591 un consesso cardinalizio,

presieduto dal teologo gesuita padre

Roberto Bellarmino, durante il quale,

sulla base dei risultati del Concilio di

Trento, si provvide ad una revisione della

Bibbia. I saloni del Palazzo furono affrescati

da pittori della scuola romana legata


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al fenomeno del manierismo. Ospiti del

Palazzo furono artisti, letterati, papi cardinali

e principi. Vittorio Alfieri e il grandissimo

Caravaggio in fuga da Roma tra

questi. Quando il Palazzo, per le mutate

condizioni storiche, cessò di essere il

cuore pulsante del paese, conobbe una

lenta ed inesorabile decadenza che toccò

il culmine durante le ultime fasi della

seconda guerra mondiale quando venne

utilizzato, prima come ospedale militare,

denominato ospedale internazionale, per i

soldati tedeschi feriti sul fronte di Cassino

e di Anzio e poi come struttura abitativa

per popolazioni sfollate provenienti da

diverse parti d’Italia. Nel 1981 il Palazzo

è stato acquistato dal Comune. La vendita

dell’importante immobile fu effettuata

dalla principessa Elvira Pallavicini.

Parzialmente restaurato ospita la Biblioteca

comunale, (v.) il Museo del giocattolo

(v.), l’aula delle riunioni del Consiglio

comunale e alcuni uffici. Vi si allestiscono

mostre, si tengono spettacoli, conferenze

e dibattiti. Diventerà sede della

Touro University (v.).

palepà, v. tr. 1) tastare, palpare. 2) sopportare,

lasciar correre. 3) risparmiarsi una

fatica.

Palestrina, cittadina di circa 20.000 abitanti

a pochissimi chilometri da Zagarolo.

Strettissimi rapporti legano gli zagarolesi

a questa città che offre servizi indispensabili

come ad es. l’assistenza ospedaliera,

l’amministrazione della giustizia e l’istruzione

superiore. Questa dipendenza genera

un’ostinata rivalità tra le due comunità

che certamente non si amano. La città ha

una storia ricca di avvenimenti e la sua

data di nascita è incerta e si confonde con

le leggende suggerite da Virgilio, da Tito

Livio e Properzio che hanno fatto i nomi

di Ulisse e della maga Circe tra i suoi possibili

fondatori. Venne distrutta e ricostruita

più volte al tempo delle guerre

civili tra Mario e Silla e in tempi più

recenti durante le lotte tra le famiglie

Colonna e Orsini. Notevoli sono i resti

del grandioso tempio dedicato alla

Fortuna Primigenia. Palestrina si vanta di

aver dato i natali al principe della musica

sacra Pierluigi da Palestrina (1525-1594).

palletta, s. f. gazzosa. Il nome deriva dal

fatto che nella bottiglietta della gazzosa

veniva inserita una palletta che serviva a

impedire la fuoriuscita del gas e a mantenere

sempre gradevolmente gassata la

bibita. In questo caso si utilizza la figura

retorica della sineddoche in quanto si usa

una parte per il tutto.

pallinacciu, s. m. la pallina più grossa

usata nel gioco della filaccetta(v.).

pallocca, s. f. palla (di carta, di neve, di

stracci ecc.) Fig. 1) di una pietanza mal

cotta e indigeribile. 2) di una persona

rotonda come una palla tendente all’obesità.

Dim. pallocchetta”.

palomba, s. f. cumulo di escrementi.

palu, s. m. canna usata nel vigneto per far

da sostegno alle viti. Ogni vignarolo ne

aveva a disposizione una certa quantità

dato che il vigneto eraservito” dal suo

canneto. Chi non aveva il canneto aveva

un debito inconfessabile tanto che si diceva

igna senza cannetu è un debbitu

segretu”.

pampapatu, s. m. panpepato, dolce a

base di frutta secca, pepe e spezie varie.

Dolce natalizio.

panacca, s. f. sonoro ceffone.

pannaru, s. m. mercante di stoffe.

pannata, s. f. fiocco di neve.

panogne, v. tr. ungere, bagnare.

panondella, s. f. fetta di pane sulla quale

si lasciavano cadere le gocce di grasso

che colavano dalla pancetta messa ad

arrostire sul fuoco.

panondu, agg. sporco di grasso, unto.

Fig. perfido, cattivo, malfidato.

Pantanellu, s. m. Pantanello. Località

situata nel comune di Gallicano (v.) assai

frequentata negli anni passati dagli zagarolesi


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che vi attingevano l’acqua leggermente

sulfurea di una fonte sorgiva. Vi si

andava con il carretto carico di barili. Vi

si riempivano anche bottiglie, fiaschi e

damigiane. L’acqua veniva usata per

curare dermatiti e generiche affezioni

cutanee. Si riteneva avesse qualità terapeutiche

anche per problemi intestinali.

pantàsima, s. f. fantasma. Reg. toscano

fantàsima”.

pantàsimu, s. m. fantasma (maschio).

Fig. persona dappoco, sciocco.

panzarolu, s. m. roffianu(v.).

papagnu, s. m. pugno, cazzotto.

papàmmaru, s. m. papavero.

paparella, s. f. frutto del sambuco. I

vignaroli zagarolesi lo usavano e qualcuno

ancora lo fa per dare più colore al vino

rosso mescolandolo con le vinacce durante

la fase della fermentazione. Si diceva,

probabilmente esagerando sugli effetti

benefici della paparella, che essa conferiva

al vino colore, forza e sapore.

pappina, s. f. 1) una specie di sorbetto a

base di latte. 2) ceffone, schiaffo.

papponina (a), loc. avv. a zonzo, senza

meta, andare vagando senza costrutto.

parannanzi, s. f. grembiule da cucina

dalla vita in giù.

parghettone, s. m. soppalco.

pàrmare, s. m. palmer, tubolare di bicicletta.

Il sostantivo usato dagli zagarolesi

fino a qualche decennio fa è la deformazione

di palmer, nome segnalato dai

dizionari della lingua italiana per indicare

un tipo di pneumatico di bicicletta. Il termine

deriva da J. Palmer, fabbricante di

pneumatici in attività agli inizi del

Novecento. Dal nome del fabbricante alla

sua invenzione. Come chiamare Marconi

un apparecchio radio.

parmitta, s. f. pentola di rame, marmitta.

parmu, s. m. palmo, unità di misura

lineare in uso prima dell’adozione del

sistema metrico decimale, equivalente a

circa 25 cm.

parolaccia, s. f. se è vero, come ha scritto

Freud, che l’invenzione della parolaccia

ha contribuito all’affermazione della

pace tra i popoli e tra le persone, possiamo

affermare che gli zagarolesi hanno

dato il loro sostanzioso contributo, probabilmente

non più e non meno di qualsiasi

altra popolazione. La violenza racchiusa

in pochi suoni, la parola volgare usata per

colpire e far male. Così come per tante

altre parole anche per questo genere di

comunicazione c’è da dire che in tutta l’area

intorno a Roma e a Roma stessa i timbri

sono identici e che per mandare a quel

paese usiamo tutti un linguaggio pressochè

universale. Eccone un campionario: li

mortacci tei, fiju de mignotta (puttana,

troia, troiona, zoccula), fiju de ’na rotta

’n culu, te pozzano ammazzà, te pozzano

sperde, te pozzano accorà, te pozzano

accorà comme l’abbacchi, pozza morì

crepatu o schiattatu, ammorì ammazzatu,

te pijessena occata de sangue, te pijesse

’n cancanu, te pijesse ’n corbu, te pijesse

’n corbu e campà, rottu ’n culu, muccu de

pippa, muccu de fregna, pezzu de fregna,

la fregna de mammota, de soreta.

pàrtone, s. m. cappotto. Paltò, dal francese

paletot”.

pascipàsculu, s. m. porzione di terreno

destinato al pascolo.

pàsima, s. f. respiro affannoso, asma. E

anche affanno, ambascia, preoccupazione.

Der. di pasmo che sta per svenimento,

spasimo.

passettu, s. m. 1) tecnica seguita in alcuni

giochi di carte secondo la quale, per

trarre in inganno gli avversari, non viene

giocata una carta vincente. 2) attraversamento

di un posto obbligato da parte della

selvaggina.

passone, s. m. grosso paletto di legno o di

cemento usato come sostegno per le viti.

pastella, s. f. focaccia confezionata con i

resti di fritture.

pasticà, v. tr. masticare.


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pastinatore, s. m. arnese di ferro usato

per praticare buche nel terreno per l’impianto

di un nuovo vigneto.

pàstinu, s. m. vigna giovane.

pastora, s. f. 1) moglie del pastore. 2)

pastoia. 3) passo, falcata.

pàtremu, s. m. con agg. poss. mio padre.

pàtretu, s. m. fusione dell’aggettivo possessivo

con il sostantivo, tuo padre.

patreu, s. m. patrigno.

patta, s. f. calcolo del ciclo lunare. La

patta s’areccoje”. Der. di epatta che in

astronomia indica “il numero dei giorni

trascorsi dall’ultimo novilunio di un anno

al primo gennaio dell’anno seguente” Dal

greco epaktè, intercalare. (De Mauro)

patuja, s. f. pattuglia, mucchio, gruppo.

pece, s. f. pl. crampi alle gambe.

pecionata, s. f. lavoro malfatto, rabberciato.

Reg. dell’Italia centrale.

pecione, s. m. in origine indicava il calzolaio,

colui che nel suo lavoro aveva a che

fare con la pece. Ora indica la persona

che non si dimostra in grado di portare a

termine, in maniera decente, un qualsiasi

lavoro. Superficiale, impreciso, trascurato,

confusionario.

pecorella de San Pastore, s. f. coccinella.

In alcune regioni italiane viene chiamata

gallinella del Signore.

pecorellu, s. m. agnello.

pedagna, s. f. succhione che spunta alla

base dell’albero adulto, virgulto giovane.

Pedagnolo è un regionalismo toscano che

ha il medesimo significato.

pedarola, s. f. tralcio giovane che nasce

dalla vecchia vite.

pède, s. m. piede. Al plurale cambia l’accento

e diventa “li pédi”.

pèdica, s. f. 1) radice grossa che va in

profondità. 2) fondamenta. In it. pèdica è

l’impronta del piede.

pedicone, s. m. fusto di una pianta unitamente

alle radici. Fig. apatico, svogliato.

pedicucciu, s. m. peduncolo.

pedocchiu, s. m. pidocchio. Fino agli

inizi degli anni Cinquanta il pidocchio

faceva regolarmente parte del paesaggio

zagarolese. Le teste dei bambini erano il

loro naturale rifugio e le bestioline venivano

combattute con la totale rasatura dei

capelli e con energiche strofinazioni a

base di petrolio. Il fastidioso parassita

non è mai completamente scomparso e

sistematicamente in un certo periodo dell’anno

scolastico tra gli alunni e il personale

della scuola si diffonde il panico

all’insegna del grido “Eccoli, ci risiamo”.

Controlli tra i capelli e cure preventive

abbastanza efficaci.

pelà, v. tr. mondare, liberare della buccia

o della corteccia.

pelacciu, s. m. erba selvatica molto simile

alla gramigna.

peleputu, agg. polputo, carnoso, consistente.

pelle, s. f. rapporto sessuale, scopata.

peluccu, s. m. poveraccio, poveruomo.

peluccù, s. m. gioco di carte, una variante

del più noto gioco della scopa.

pennarolu, s. m. ragnatela, che pende.

pennazza, s. f. pl. ciglia.

pennazzià, v. intr. battere le ciglia.

pennente, s. m. orecchino (che pende,

pendente).

pennica, pennichella, s. f. pisolino

pomeridiano. Romanesco.

pennutu, agg. sospeso, obliquo.

peracottaru, s. m. a Roma veniva così

denominato il venditore ambulante di

pere cotte il quale era solito vantare a dismisura

la qualità della sua merce, anche

quando questa era di pessima qualità.

Oggi, ricordando questo particolare, la

parola è usata per indicare una persona

pasticciona che inanella brutte figure

dalla mattina alla sera.

pernucciu, s. m. peduncolo, picciolo,

gambo di un frutto.

perolu, s. m. piolo di scala, di sedia.

peromo, pr. indef. per ciascuno. Famo

mezzo peromo de ’a vincitadisse il


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Riccetto. (P.P. Pasolini, Ragazzi di vita).

persa, s. f. maggiorana, pianta aromatica

per insaporire alcune minestre.

pèrsica, s. f. pèsca.

perticà, v. tr. colpire, far star male. Di

preferenza riferito al freddo che pertica”.

In italiano perticare significa colpire

con una pertica, bacchiare.

perticara, s. m. aratro.

perticasse, v. rifl. morire dal freddo, assiderarsi.

pesciararu, s. m. pescivendolo.

pescolla, s. f. pozzanghera.

pesulià, v. intr. far da contrappeso, bilanciare.

petata, s. f. patata.

petina, s. f. foruncolo.

pettenicchia, s. f. castagna piccola e

acerba.

pettine a tredici, s. m. componente del

telaio consistente in un pettine con tredici

denti.

pettinicchia, s. f. pettine con denti molto

stretti usato un tempo per la cattura dei

parassiti che si annidavano tra i capelli.

Fig. riferito a bambina vivace, dall’indole

allegra e sbarazzina.

pettorina (a), loc. avv. con il viso esposto

al sole.

pezza, s. f. persona poco raccomandabile.

pezzutu, agg. appuntito. Gli alberi pezzuti

sono i cipressi, simbolo dei cimiteri.

Annà a l’alberi pezzutisignifica morire.

piantinaru, s. m. semenzaio.

piantone, s. m. barbatella.

pianuzza, s. f. pialla.

picca, gioco di ragazzi a squadre. Si sceglievano

due pareti contrapposte e vicina

ad ognuna di esse prendevano posizione

le due squadre. Bisognava violare la parete

avversaria toccandola. Occorreva maestria

nell’evitare gli avversari, tempismo

nello scatto e una buona base di velocità.

Il gioco era assai rumoroso in un crescendo

di urla e di contestazioni. Quando un

giocatore riusciva a toccare la parete

avversaria gridava, esultante, “picca!”.

piccà, 1) v. tr. beccare. In un italiano

poco usato piccare vuol dire battere, percuotere

come fa la gallina quando mangia.

2) esprime le qualità piccanti del

peperoncino.

piccio ( de), fr. id. dare inizio.

pìcciula, s. f. bottone. Probabilmente

mutuato dal regionalismo toscano pìcciolo

che sta per moneta di basso valore,

di pochi centesimi. Siciliani e calabresi

dicono “i pìcciuliper indicare i soldi in

generale.

pìcciule (a), loc. avv. gioco di bambini

con i bottoni. Scelto il terreno di gioco, si

provvedeva a sistemare i bottoni per terra

tutti nello stesso verso. Il giocatore sorteggiato

tentava di capovolgere i bottoni

premendovi sopra un dito bagnato di saliva

per aumentarne la vischiosità. Ogni

bottone capovolto diveniva proprietà del

giocatore che era riuscito a rovesciarlo.

picciuloccu, s. m. grosso bottone.

picculà, v. intr. fare giravolte, girare su se

stessi come un pìcculu(v.).

pìcculu, s. m. trottola di legno usata dai

bambini in alcuni giochi. Arrotolata una

cordicella alla parte superiore, la trottola

veniva lanciata verso terra. Se il lancio

era stato effettuato a regola d’arte, il giocattolo

cominciava a girare velocemente

su se stesso. A questo punto un altro giocatore

ripeteva l’operazione e cercava di

colpire la trottola avversaria. Quando il

colpo riusciva la trottola colpita si spaccava

e si riduceva in due pezzi. Il gioco si

chiamava spaccapicculi”. Per rendere

più difficile l’opera di distruzione dell’attrezzo,

ogni ragazzo provvedeva a guarnire

la propria trottola con un bullettone(

v.), una specie di corazza protettiva.

pignoccatu, agg. fatto con i frutti della

pigna, con zucchero e pinoli. La pignoccata

è un dolce simile ad un torrone morbido.

In Sicilia è un dolce a forma di

pigna a base di miele e pinoli.


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pila, s. f. pentola di coccio con manici.

Lat. pila, tinozza. “Ciavete una piluccia

mezzanella?” (G.G. Belli, Le chiamate

dell’appiggionante).

pilocca, s. f. pentola di terracotta molto

profonda e dotata di manici.

pilotto (da’ er), infastidire, innervosire,

dare sui nervi. In italiano il pilotto o pillotto

è “il mestolino con beccuccio che

veniva usato per versare sopra la carne

cotta sullo spiedo il grasso di cottura” (De

Mauro) L’azione descritta viene espressa

dal verbo pilottare.

pìmpina, s. f. castagna selvatica non

commestibile. Si tratta di castagne non

innestate, di piccole dimensioni quasi

impossibili da mangiare perché non si

riesce a pulirle e liberarle della peluria

che le ricopre.

pimpirinella, s. f. pimpinella, pianta

erbacea dalle foglie arricciate e profumate.

Buona in insalata. Appartiene alla

famiglia delle Rosacee.

piòito, p.p. del verbo piovere, piovuto.

pioizzicà, v. intr. piovigginare.

pipinara, s. f. coll. moltitudine di animali

e anche di bambini rumorosi e chiassosi.

pipinaru, s. m. v. pipinara.

pippa, s. f. 1) pipa. 2) masturbazione

maschile. Fr. id. “farsi una pippa(masturbarsi).

3) persona noiosa e inconcludente.

4) discorso insopportabilmente noioso.

pìrula, s. f. 1) pillola, pasticca. 2) rumorosa

scorreggia. 3) sonoro ceffone.

piscarà, v. intr. perdere, lasciare uscire,

sgorgare. Es “la otti pìscara(la botte

perde il vino, ha una falla).

piscarellu, s. m. piccolo getto d’acqua o

di altro liquido.

pìscaru, s. m. getto, zampillo di un qualunque

liquido.

piscio, s. m. orina.

pista, s. f. 1) orma, impronta. 2) luogo

all’interno del bosco comunale dove si

organizzavano trattenimenti danzanti.

Occasione di incontri, una delle poche

possibili, tra ragazzi e ragazze quando i

rapporti tra persone di sesso diverso erano

complicati e difficoltosi.

pistà, v. tr. 1) picchiare violentemente. 2)

correre ad alta velocità. 3) pigiare l’uva.

pistarecciu, s. m. impronte lasciate da

persone o animali su terreno o altra superficie

bagnata.

pistarola, s. f. una sorta di pigiatrice consistente

in una tinozza stretta in basso e

larga in alto con il fondo bucherellato. Vi

si pigiava l’uva con i piedi. Il mosto che

poi veniva raccolto nella botte fuoriusciva

da un’apertura detta “l’uscettu(v.).

pistasale, s. m. v. mortale.

pistellu, s. m. pestello, utensile da cucina

a forma di pistone usato per pestare il sale

grosso o gli aromi nel mortale(v.).

pistelluccia, s. f. pl. nocche delle dita.

pitàrtima, s. f. coriandolo. Pianta che produce

frutti simili al pepe in grani. Con questi

si condiscono i tordi matti(v.).

Appartiene alla famiglia delle Ombrellifere

(Coriandrum sativum). I suoi frutti sono

usati anche in farmacia.

pìttima, s. f. in italiano è un cataplasma,

un decotto di erbe aromatiche e in senso

figurato indica persona noiosa e insistente.

In questo secondo senso la parola è

usata a Z. e in tutta l’Italia centro-meridionale.

pizz’e pulenta, s. f. focaccia confezionata

con farina gialla di granturco. Cotta

sulla brace veniva spesso farcita con verdure

di diverso tipo. Per molti anni nelle

famiglie più povere ha sostituito il pane.

pizzutellu, s. m. varietà di uva da tavola

bianca e rossa dai caratteristici acini

allungati (pizzuti, appuntiti) comunissima

in tutto il territorio zagarolese. Coltivata

in pergolati. Uva cornetta. Una Sagra del

pizzutello nella vicina Tivoli.

pizzutu, agg. appuntito.

poggiolu, s. m. muretto, muricciolo.

polepetta, s. f. muscolo della gamba e

anche polpaccio.


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poleputu, agg. carnoso, polputo.

pollacca, s. f. camicetta da donna o giacca

a vita. Nella moda del primo Ottocento

la polacca era una giacchetta femminile e

anche un corto pastrano maschile.

pollastru, s. m. galletto giovane, pollo.

Fig. persona sciocca e troppo ingenua. Si

usa anche il termine pollastrone”.

pòllere, s. f. polvere.

ponta, s. f. punta, estremità.

poracciu, agg. poveretto, poveraccio,

disgraziato.

porcacchia, s. f. piantina erbacea dalle

foglioline grasse, nasce spontanea su ogni

tipo di terreno. Si può mangiare in insalata

unendola ad altre verdure. Usata una

volta per preparare il pastone al maiale. È

la portulaca oleraceadella famiglia

delle portulacacee. Ha proprietà depurative

e diuretiche. Per uso esterno è efficace

contro dermatiti, orticarie, foruncoli e

punture di api.

porcu, s. m. maiale. Dim. porcarellu.

Diversamente da altre zone dell’Italia

contadina dove indifferentemente se a

Nord al Centro o a Sud il maiale costituiva

elemento importante nella stringata

economia degli anni passati, a Zagarolo

non è stata la stessa cosa. Interessi, attenzioni,

preoccupazioni rivolte in un’unica

direzione: la ‘igna, nient’altro. In poche

famiglie il maiale era allevato e le sue

carni lavorate. Per lo più famiglie provenienti

dalla vicina Ciociaria. Salsicce,

prosciutti e bistecche. Nelle norcinerie si

lavorava il sangue del maiale per la confezione

del sanguinaccio (v.).

porellu, agg. poveretto, sfortunato.

porporina, s. f. l’involucro che contiene

il seme del rovo.

Porta Rospigliosi, il vero ingresso al

paese prima della costruzione del quartiere

chiamato borgo, la porta venne fatta

erigere da Marzio Colonna per celebrare

la vittoria di Lepanto (1571) in cui i

Colonna ebbero parte importante. Un

vero monumento celebrativo per accrescere

la gloria dei Colonna allorché

Marzio, siamo agli inizi del Seicento,

mise mano al rifacimento di buona parte

del paese. La porta è un mirabile insieme

di tufo e marmo con l’utilizzo di reperti

archeologici di epoca romana rinvenuti in

zona. Ricche decorazioni, busti marmorei,

bassorilievi e statue di diversa grandezza

costituiscono un’opera di grande

armonia e grandiosità. Quando il feudo

passò nelle mani dei Rospigliosi la porta

subì alcune modifiche.

Porta San Martino, l’ingresso dalla

parte nord del paese. Innalzata ai primi

del Seicento per celebrare degnamente la

gloria ottenuta dalla cristianità a Lepanto

e, in particolare, in omaggio a papa

Martino V, Oddone Colonna, quasi compaesano

in quanto nato nella vicina

Genazzano (v.). A questo papa, divenuto

poi San Martino, gli zagarolesi furono

particolarmente devoti tanto da dedicargli

un’intera zona del paese denominata

Borgo S. Martino. La porta è una costruzione

imponente delimitata da due bastioni

merlati. Un grande stemma della famiglia

Rospigliosi, un busto di marmo raffigurante

Giunone Gabina, per i paesani

“la regina”, (v.) decorazioni di diversa

natura, raffigurazioni di armi e altro ancora

contribuiscono a rendere unica e di

sicuro interesse architettonico questa

grandiosa realizzazione seicentesca.

portone, s. m. ce ne sono alcuni a Z. che

portano il nome delle famiglie che vi abitavano

nel passato. Si ricordano il portone

Maraccio, il portone Martini e quello detto

dei Telari. Analogamente a famiglie di una

certa importanza che possedevano immobili

sono state intestate vie, piazzette e

vicoli in diverse parti del paese. In tal

modo si spiegano le intitolazioni seguenti:

piazzetta Agostini, vicolo Bianconi, vicolo

e piazzetta Brembi, vicolo Giuliani,

vicolo Lezzi, vicolo Mariani, piazzetta


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Minciacchi, piazza Paparelli, piazzetta

Vernini, vicolo Marinelli e altri ancora.

portugallu, s. m. arancio e il frutto di tale

pianta.

poru, agg. povero (forma contratta).

L’aggettivo di solito precede il nome dei

defunti quando questi vengono ricordati.

posta, s. f. 1) ciascuno dei clienti del

vinaio presso il quale il carretto prima e il

camion poi effettuava una sosta per scaricare

il vino proveniente dalle vigne di Z.

Il luogo e la persona si confondevano e

diventavano un tutt’uno. 2) il luogo tra i

filari della vigna dove si formava il mucchio

delle canne nuove destinate a sostituire

quelle rovinate dal tempo.

postale, s. m. autobus per il trasporto di

persone e della posta.

postema, s. f. qualcosa di guasto che

emana cattivo odore. In senso figurato

affanno, preoccupazione, dolore. Postema

in it. è un termine medico ormai poco

usato per dire ascesso. In latino (Plinio) si

trova apostema con questo significato. Si

noti l’aferesi cioè la soppressione della

prima lettera.

posti, s. m. pl. le basi fatte di legno o di

muratura sulle quali si sistemano le botti

nel tinello.

Pozzarola (piazza), l’attuale Piazza delle

bellezze dove un tempo c’era un pozzo da

cui la popolazione attingeva l’acqua per

gli usi domestici.

pozzolu, s. m. 1) recipiente di pietra di

forma circolare usato per farvi mangiare

il maiale. 2) cavità al fondo della cisterna

al punto di maggiore pendenza, contenente

poco più di un secchio d’acqua. Vi si

raccoglieva il terriccio. Quando si ripuliva

la cisterna, il prosciugamento del pozzolu

era il segno che la cisterna era completamente

vuota.

pozzu, s. m. pozzo. In tutti i poderi c’era

il pozzo che era la riserva d’acqua necessaria

alla conduzione delle pratiche agricole.

Erano scavati a mano, profondità media

intorno ai dieci metri, venivano chiamati

pozzi romani. Per disporre di quantità di

acqua sempre più cospicue molti proprietari

hanno scavato pozzi artesiani con le

moderne tecniche di trivellazione del terreno

fino a 150 metri e oltre. Trivellazioni

avvenute senza alcun controllo e nessuna

attenzione alla salvaguardia del suolo.

Attualmente sono in vigore disposizioni

regionali che dettano una precisa normativa

tendente alla tutela del suolo.

pozzu de la ne(v)e, loc. s. m. località situata

nella valle della Servicola dove veniva

raccolta la neve che dopo essere stata

pestata si ghiacciava e durava a lungo. Era

una riserva di ghiaccio che veniva dato a

chi ne faceva richiesta. Si dice che se ne

serviva l’ospedale. Secondo altri l’espressione

era soltanto un modo di dire per

significare che in quella località, per la

caratteristica esposizione a nord, il freddo

era tale che la neve, quando vi cadeva,

durava a lungo e stentava a sciogliersi.

pratozzu, s. m. praticello.

preciuttu, s. m. prosciutto.

precoju, s. m. ovile, recinto per il bestiame

e in particolare per le pecore. Con tale

termine si indica anche un mucchio indistinto

di persone. Precoio è un reg.

dell’Italia centrale usato soprattutto nella

campagna romana. Probabile derivazione

del latino perichoriumdal greco perikorion

che vuol dire limitrofo, contrada

intorno. Dio me ne guardi, Cristo e la

Madonna/ d’annà ppiù ppe ggiuncata a

sto precojo(G. Belli, Er deserto, dai

Sonetti). Qui il precojoè la cascina

dove si fa il formaggio.

predicolle, loc. avv. ai piedi del Colle

(v.), lato nord del paese.

prémitu, s. m. lo sforzo che si fa quando

si incontrano difficoltà ad evacuare le feci.

Nel linguaggio medico il premito è “lo

spasmo dei muscoli dell’addome, dell’intestino

e dell’utero” (De Mauro) Con questo

termine si denomina anche la diarrea.


- 131 -


premùticu, agg. primaticcio, precoce.

prescia, s. f. fretta. Diffuso in tutta l’Italia

centro - meridionale. Lat. pressiader.

di pressare, premere.

presciulosu, agg. frettoloso.

presemarina, s. f. rosmarino.

pretojo, s. m. petrolio.

prèula, s. f. sgabelletto a tre piedi usato

soprattutto nelle operazioni della mungitura.

Dim. preuletta.

profferì, v. tr. offrire.

profferto, agg. p.p. offerto.

proìbbitu, s. m. scostante, inaccostabile,

pericoloso. La parola deve essere pronunciata

come parola sdrucciola con l’accento

sulla prima “i”.

Pro-loco, l’organizzazione per la promozione

di attività culturali a favore del

luogo è stata molto attiva in paese fino

all’avvento del Comitato di Palazzo

Rospigliosi che in qualche modo l’ha

espropriata di molte sue competenze. La

sagra dell’uva, le feste patronali, il carnevale,

il ferragosto e molte altre manifestazioni

ormai le gestisce l’organismo che fa

capo al Palazzo. In qualche occasione si

riesce a creare una sinergia che vede la

Pro-loco e il Comitato fianco a fianco nell’organizzazione

di alcune manifestazioni.

pròsperu, s. m. fiammifero. Usato in

tutto il centro-sud. Prob. der. di fosforo.

Protezione civile, la sezione di Z. costituita

nel 1987 annovera 39 associati

volontari. Dispone di una sede e di alcuni

mezzi per il pronto intervento. Impegnata

nel soccorso alle popolazioni in caso di

calamità naturali e per la prevenzione e la

repressione degli incendi boschivi.

prunga, s. f. prugna.

prungu, s. m. l’albero del pruno. Fig. sta

per sciocco, stupido.

puca, s. f. 1) penna d’istrice. 2) gemma

da inserire nel porta innesto.

puce, s. f. pulce.

pucinu, s. m. pulcino.

puiellu, s. m. manciata, quantità di cose

che può essere contenuta in una mano.

pulenta, s. f. polenta. Per moltissimi anni

la polenta ha costituito il piatto base della

cucina zagarolese. Se ne faceva larghissimo

uso dato che la coltura del granturco,

materia prima da cui si ricava la farina

gialla di polenta, era diffusissima in tutto

l’agro di Z. Un sacchetto di farina gialla

si poteva trovare in ogni casa; non occorreva

comprarla. Dall’impasto di farina di

polenta si ricavavano anche squisite

pizze, cotte alla brace e farcite di verdure,

anch’esse abbondanti tra i filari delle

vigne. La polenta veniva servita sulla

spianatoia e ogni commensale doveva

seguire un percorso determinato senza

invadere lo spazio riservato agli altri. Al

centro della spianatoia veniva sistemato

qualche pezzetto di carne di maiale con

tocchi di salsicce che erano stati usati per

preparare il sugo.

pulicà, v. tr. pulire, togliere le impurità al

grano o simili.

pummidoru, s. m. pomodoro. Fig. sciocco,

babbeo.

puncicà, v. tr. pungere.

Pupa (santa), s. f. santa immaginaria

usata come falsa imprecazione.

pupazza, s. f. bambola. Usato a mo’ di

intercalare come una falsa imprecazione

mannaggia la p.”.

pupazzu, s. m. persona poco seria e inaffidabile.

pupu, s. m. bambino, fanciullo.

puricellu, s. m. foruncolo.

puro, cong. anche.

puzzonata, s. f. cattiveria, bravata, sciocchezza.

puzzone, s. m. cattivo, malandrino, brigante.

puzzu, agg. guasto, ammuffito, andato a

male.

puzzunculu, s. m. anonimo, ignoto, sconosciuto,

insignificante.


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le càsule

 

 

lu scafaiolu

 


- 133 -


 

 

lu cerchiu

 

ariecchime

 

 


- 134 -


 

sarda la spiga

 

 


- 135 -


 

La dismessa stazione delle vicinali in totale abbandono, in attesa di nuova destinazione.




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