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Michele Lacetera
Persone Storie Parole

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S

Le attuali trasformazioni strutturali e

culturali stanno spazzando via perfino il

ricordo di una città (Roma), di una società,

di una lingua già scomparse. (Mario

Sanfilippo nella prefazione al volume

“La lingua di Roma” di Lino Cascioli).

saèttula, s. f. tralcio di vite in grado di

emettere radici e generare una nuova

pianta, talea.

saffori, avv. fuori.

sagna, s. f. impasto con acqua, farina, a

volte uova, per ricavarci tagliatelle o altri

tipi di pasta fatta in casa.

sagnoccone, s. m. ingenuo, sciocco, credulone.

Sagra dell’uva, si celebra ogni anno nella

prima domenica di ottobre.

Certamente la più sentita manifestazione

paesana pensata e realizzata durante gli anni

per celebrare i protagonisti della vita quotidiana

della gran parte degli abitanti di Z.

l’uva, la vigna, il vino. Così è stato per

decenni fino agli anni Settanta allorchè il

vino, la vigna e l’uva comninciarono a perdere

la loro centralità nella vita degli zagarolesi

e a contare sempre meno nell’economia

paesana. L’organizzazione della Sagra costituiva

un fatto corale a cui partecipavano davvero

tutti, orgogliosi di mostrare ai visitatori

che giungevano numerosissimi dai paesi

vicini e dalla non lontata Roma il frutto del

lavoro nelle campagne e nei tinelli.

Un palcoscenico ideale, una vetrina per fare

pubblicità al vino prodotto sui colli zagarolesi,

ai piatti tipici del luogo e alla produzione

artigianale. Il contadino di Z. alla ribalta

primo attore della Sagra. Tutto il paese vestito

a festa, le vie e le piazze del centro storico

trasformate in vigne a filari ricolmi di

uva, grandi festoni ad abbellire portoni e

vetrine di negozi. Luminarie, musica, spari e

infine la grande vendemmiata per la gioia

dei visitatori forestieri ai quali non sembrava

vero potersi impadronire di grandi quantità

di uva. Popolazione festante ed euforica.

Il tempo è passato, le vigne sono quasi del

tutto sparite, la terra non piace ai giovani, la

Sagra viene ancora celebrata ma non è più la

stessa. È una festa come tante altre, la gente

ancora scende e si scioglie per le strade e

rivela la voglia di partecipare e divertirsi. La

vigna, l’uva sono lontane, non sono più il

vissuto quotidiano di migliaia di persone,

appartengono alla memoria e se ne trova

traccia nei libri di storia. Alla vecchia denominazione

si è aggiunta quella di Sagra del

folclore in quanto nella medesima occasione

convengono a Z. gruppi folcloristici provenienti

da tutte le regioni italiane che si esibiscono

nelle danze e nei canti dei luoghi dai

quali provengono. La Sagra fu istituita nel

1930 e da allora ha subito l’interruzione

durante gli anni della seconda guerra mondiale

e quelli immediatamente successivi,

precisamente dal 1940 al 1952.

Sagra del tordo matto, istituita nell’anno

2000 per celebrare il prodotto più tipico

della cucina zagarolese si svolge nel mese

di giugno inserita tra i festeggiamenti in

onore di S. Antonio di Padova. Stand

gastronomici esaltano le qualità di questo

esclusivo piatto locale. (tordo matto, v.)

Sagum, denominazione dell’Associazione

dei commercianti e degli artigiani di

Zagarolo. L’Ass.ne ha il compito di tutelare

gli interessi delle categorie rappresentate

nei confronti di terzi e costituisce l’interlocutore

naturale dell’Amministrazione

comunale. Organizza incontri con i

consumatori e corsi di aggiornamento professionale

per i suoi associati.

salamanna, s. f. uva da tavola che si usava

far essiccare per la confezione di dolci fatti


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a casa. È il nome di un vitigno e di un’uva

pregiata da tavola con grossi acini croccanti

dal sapore moscato assai piacevole.

sallita, s. f. salita, strada in forte pendenza.

San Cesareo, comune a pochi chilometri

da Z. sulla via Casilina. San Cesaru, per

gli zagarolesi.

Agli inizi del 1900 la miseria e la fame

spinsero alcune centinaia di abitanti di

Capranica Prenestina ad abbandonare il

loro paese per cercare fortuna nella tenuta

di S. Cesareo. Alcuni nuclei familiari

giunsero pure dalle Marche e dall’Emilia

Romagna. Sorse un villaggio di capanne

su un terreno messo a disposizione dai

Rospigliosi, signori del luogo. Si producevano

fagioli, mais, grano, patate e avena.

Vita dura. Stenti e sacrifici.

Nel 1915 il territorio di S. Cesareo, che è

frazione del comune di Zagarolo, viene

attraversato dalla ferrovia Roma-Fiuggi.

Intanto sorgono le prime case in muratura

e il primo nucleo abitativo viene inaugurato

nel 1927. Il paese cresce, i suoi abitanti

si distinguono per la dedizione al lavoro e

la voglia di migliorarsi. Nel frattempo la

tratta ferroviaria Roma-Fiuggi cessa la sua

attività. AS. C. sorge un casello dell’autostrada

del sole. I cartelli stradali segnalano

S. Cesareo, frazione di Zagarolo.

Fino alla metà degli anni Ottanta, quando

esplode il fenomeno dell’autonomismo,

che reclama a gran voce la costituzione del

comune autonomo di S. C. Il movimento,

pur tra mille contraddizioni, approfittando

della inettitudine dimostrata dalla classe

politica zagarolese, impegnata in uno

sciocco braccio di ferro contro un’intera

popolazione, riesce ad ottenere l’indizione

di un referendum in cui i soli abitanti della

frazione vengono invitati ad esprimersi a

favore o contro l’indipendenza. 4387 dicono

si, 646 dicono no. Uno scontatissimo

plebiscito. La Regione Lazio ne prende

atto e il 6 dicembre dell’anno 1989 emana

il decreto di riconoscimento del comune

autonomo di S. C. Zagarolo perde la sua

frazione in un dilagare di inutili polemiche

e i sancesaresi, ormai non più capranicotti

(v.) intraprendono orgogliosamente da soli

la strada del loro futuro.

Il distacco della frazione non è mai stato

sottoposto ad una seria analisi politica e

sociologica e di conseguenza l’avvenimento

è stato subito passivamente dalla popolazione

zagarolese e dalla sua classe dirigente.

Mai un’autocritica e mai un pubblico

mea culpa da parte di una classe politica

che certamente fu affetta da grave miopia

e, nella circostanza, si comportò con

supponenza e presunzione. A nessuno

venne in mente di poter trattare sulla spartizione

del territorio in modo da ottenere,

pur nella dolorosa separazione (ma per chi

fu dolorosa?) condizioni più vantaggiose di

quelle poi effettivamente ottenute. Si obiettò

allora che sedersi intorno ad un tavolo

per delle trattative sarebbe significato

accettare la logica dei separatisti. Se il giudizio

finale su un avvenimento è giusto che

scaturisca dal risultato conseguito si può

affermare, senza tema di smentita, che chi

non volle trattare ebbe sicuramente torto.

Forse inconsapevolmente sapevano che

quel matrimonio era durato perfino troppo.

sàndulu, s. m. padrino, compare che tiene

a battesimo o a cresima il figlioccio.

Sàntolo è termine usato in tutta l’Italia del

Nord. Dal latinosanctulum”. Romanesco

zantolo” “me pare , ch’er zantolo

a mercato me pagò un zartapicchio e

’na ciammella(G.G. Belli, Er ricordo).

sanguinacciu, s. m. sanguinaccio. Non veniva

confezionato nelle case ma nelle norcinerie.

Il sangue, appena il maiale era stato

scannato, veniva agitato e rimescolato per

evitarne la coagulazione. Successivamente

veniva condito con zucchero, essenze speziate,

sale, pepe, buccia di arancio e pinoli.

Cotto in una pentola veniva introdotto nelle

budella del maiale stesso e conservato.

Maestro incontrastato dell’arte del sanguinaccio


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era ritenuto Diamante lu Cucculu.

San Lorenzo (chiesa di), dedicata al

santo patrono di Z. che viene festeggiato il

10 di agosto. La chiesa, costruita per

volontà di Marzio Colonna agli inizi del

1600, in sostituzione di un’altra sempre

dedicata al santo patrono, sorge in Piazza

G. Marconi, piccolo gioiello architettonico

di pretta scuola vignolesca, dove sorge

anche il palazzo comunale. La chiesa

negli anni ha subito gravi ingiurie da alcuni

terremoti e dal bombardamento aereo

del 29 gennaio del 1944 che causò la

morte di due bambini: Enzo e Mario

Bonafede. La ricostruzione ha modificato

la scala di accesso. All’interno, che è stutturato

a croce latina, è conservato un trittico

di pregevole fattura opera del pittore

Antoniazzo Romano (Antonino Aquili), il

maggior rappresentante della pittura

tardo-quattrocentesca nel Lazio.

San Pietro (chiesa di), situata nel cuore

del centro storico domina con la sua mole

imponente sull’abitato di Z.

Costruita dai principi Rospigliosi tra il

1717 e il 1722, sorse su un’area occupata

da un’altra chiesa, demolita perché troppo

piccola e inadeguata alle esigenze del

culto. In puro stile barocco a pianta ellittica

con una profonda cupola. Sui sette altari

sono conservati pregevoli dipinti.

Annesso alla chiesa un ampio locale adibito

a sala per conferenze e alla proiezione

di film o a rappresentazioni teatrali

organizzate da compagnie di dilettanti

locali, intitolato a Mario Fani. (v. cinema).

saraca, s. f. in it. saracca e salacca. Sardina

conservata sotto sale, per anni il companatico

principale nell’alimentazione dei più poveri.

Veniva abbrustolita sui carboni ardenti

e condita con olio crudo. Schiacciata tra

due fette di pane. Venduta nelle pizzicherie

era esposta in recipienti rotondi di legno.

Fig. sta per persona magra e allampanata.

sarapica, s. f. zanzara dal lungo pungiglione

dal morso molto fastidioso.

Appartiene alla famiglia dei pappataci.

Fig. avaro, spilorcio, sfruttatore.

sarapulleto, s. m. terreno assolutamente

inadatto a qualsiasi coltura.

SARC, cooperativa nata a Z. nel 1988 con

scopi di supporto e assistenza sociale.

Dagli interventi educativo-formativi per

disabili, all’assistenza scolastica e domiciliare

fino alle attività ludiche di intrattenimento

per bambini. Attualmente gestisce

la ludotecaGirogirotondo” di Genazzano

(v.) e collabora alle attività promosse dal

museo del giocattolo (v.) di Z.

sardamontone, s. m. 1) il gioco infantile

detto della cavallina in cui i partecipanti

stanno piegati in avanti in fila indiana

mentre un altro li salta poggiando le mani

sulla loro schiena e colpendoli con un calcio

nel didietro. 2) capitombolo.

sardapistellu, s. m. cavalletta.

sarementu, s. m. sarmento, tralcio di vite

reciso alla potatura.

sargiu, s. m. salice.

sàrica, s. f. 1) manicotto di velluto indossato

dalle donne. 2) indumento indossato

dal prete durante alcune funzioni. Der. di

sargia, che a sua volta deriva dal lat. sarica,

fatto di seta. 3) casacca da cacciatore.

sartore, s. m. sarto. Femm. sartora.

Lavoravano tanto i sarti e le sarte prima

dell’avvento della confezione e dell’abito

bell’e fatto e le loro botteghe-laboratorio

erano sempre frequentate da chi aveva

deciso di farsi un abito nuovo. La prima

operazione era quella di “prendere le misure

che venivano annotate su un quaderno:

la spalla. il gomito, il cavallo ecc. Si succedevano

poi alcune sedute durante le quali il

sarto effettuava le prove e prendeva nota di

eventuali correzioni da apportare e di difetti

da correggere. L’ultima prova precedeva

la consegna del manufatto finito e pronto

per essere indossato. Le botteghe erano

sempre frequentate da ragazzi apprendisti.

Non era facile essere ammessi alla bottega

per imparare il mestiere: venivano interessati


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amici, compari e parenti per la rituale

raccomandazione. Sarti adesso a Zagarolo

non ce ne sono più.

sarzefine, s. f. pl. in it. radice bianca, verdura

commestibile dalla lunga radice carnosa.

Gli zagarolesi la piantano nei terreni

scassati, cioè lavorati in profondità e

costituisce, insieme ai tordi matti, (v.) uno

dei piatti più tipici del paese. Le radici ben

lavate e ridotte a pezzetti di 5-10 cm. Si

mettono in un tegame con olio, aglio,

prezzemolo, pomodoro, sale, peperoncino

unitamente a salsicce o baccalà e si lascia

cuocere a fuoco lento. Si consiglia accompagnarle

con un robusto vino rosso.

sassu bardassa, s. m. erba con effiorescenza

gialla. Usata una volta per confezionare

scope. Con ogni probabilità si tratta

della pianta chiamata sassifraga,

cosiddetta perché si riteneva che fosse in

grado di sciogliere i calcoli (che rompeva

i sassi).

sbannimentu, s. m. vendita all’asta, dove

c’è il banditore che ad alta voce legge le

offerte.

sbarattà, v. tr. sistemare, mettere ordine

eliminando tutto ciò che si ritiene superfluo.

Sbarattare, sbaraccare, sbarazzare.

sbeccà, v. tr. rompere, scheggiare (vasellame,

piatti, bicchieri ecc.).

sbelà, v. tr. scoprire, riportare in superficie,

disseppellire. Contr. rebbelà(v.).

sbidentà, v. tr. preparare il terreno per la

semina (specialmente del mais). L’operazione

veniva praticata con il bidente.

sbillentà, v. tr. allentare, ridurre la tenuta

di qualcosa. Agg. p.p. sbillentatu”.

sbillungone, s. m. spilungone, longilineo.

sbinnonnu, s. m. bisnonno. Femm. sbinnonna”.

sbinnonnema, sbinnonneta,

sbinnonnemu, sbinnonnetula mia e la

tua bisnonna, il mio e il tuo bisnonno.

sbodigà, v. tr. rivoltare, mettere all’esterno

quello che prima era il rovescio.

sbodigarella, s. f. giravolta, il camminare

a zig-zag.

sbracatu, agg. 1) sbracato, sciatto, disordinato.

2) riferito al giorno significa inoltrato,

avanzato.

sbrasone, s. m. spaccone, gradasso.

sbrillentatu, agg. sfilacciato, disfatto,

sfrangiato. “Aveva un cappottino liscio,

sdrucito e sbrillentato(P.P. Pasolini,

Ragazzi di vita).

sbucià, 1) v. tr. bucare. 2) v. intr. sbucare.

sbuciafratte, s. m. piccolo uccello della

famiglia dei passeracei.

scacchià, v. tr. spuntare i tralci della vite.

Pratica agricola estiva che consiste nell’eliminazione

dei germogli improduttivi e

nella preparazione della potatura dell’anno

successivo. Scacchiare.

scacetrà, v. intr. con questo verbo vengono

indicati i versi di alcuni animali dalla cornacchia

alla gallina, dal tordo al fagiano.

scafa, s. f. fava. Dalla forma del baccello

simile ad una imbarcazione.

scafetta, s. f. gesto affettuoso di simpatia

consistente nello stringere delicatamente

la porzione di una guancia tra il dito indice

e il medio.

scafaiolu, s. m. capanno di fortuna usato

dai contadini come ricovero notturno specialmente

al tempo della raccolta del granturco.

In italiano il vocabolo scafaiuolo è

poco usato e indica il barcaiolo, conduttore

di scafa, piccola barca senza vele che ai

tempi dell’antica Roma veniva usata per il

collegamento tra le navi maggiori e la

costa. Questa informazione rende di difficile

lettura il vocabolo usato a Z. e il suo

significato.

scagnatellu, agg. non troppo limpido, un

po’ torbido (del vino).

scaicchià, v. tr. disgiungere, spezzare, schiodare.

Cavicchia significa chiavarda e contiene

l’idea di serrare, chiudere ermeticamente.

La sprivativa-negativa rovescia

il significato della parola senza prefisso.

scaja, s. f. frammento, scheggia.

scajà, v. intr. buscare, essere picchiato.

scalematu, agg. scalmanato, agitato, forsennato.


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scallà, v. tr. riscaldare.

scamà, v. tr. pratica agricola consistente

nel separare i chicchi del grano dalle sue

impurità. Il risultato veniva conseguito

con la ventilazione e con la battitura delle

spighe di grano con appositi bastoni chiamati

frusti e mazzafrusti(v.).

scampisu, agg. sbadato, imprudente,

incauto. Detto soprattutto di bambini e

ragazzi. “oh, che si scampisu!”.

scanajà, v. tr. controllare, misurare, pesare.

scanajata, s. f. scandagliata, sommaria

misurazione.

scanizza, s. f. sonora sconfitta, batosta.

scanzarote, s. f. 1) una sorta di paracarro

situato a livello stradale, agli spigoli dei

fabbricati, per proteggerli dalle ruote dei

carretti. Fr. id. tenè lu muccu comme li

scanzarote” (faccia di bronzo). 2) nel

gioco della briscola è una carta di briscola

di basso valore.

scapezzà, v. intr. si riferisce all’animale

da soma che mostra di non gradire la

cavezza (o capezza) scuotendo la testa. In

senso fig. si riferisce a chi scuotendo il

capo dimostra di disapprovare qualcosa.

In it. scapezzare o scavezzare significa

capitozzare, potare la cima di un albero.

scapicollasse, v. intr. rifl. precipitarsi, correre

a perdifiato.

scaraccià, v. intr. smottare, franare. Di

terreno impregnato d’acqua che scende a

valle.

scarafossu, s. m. strada sconnessa con

buche e sassi.

scaramuzzà, v. intr. raccogliere frutta in

maniera scriteriata tanto da recare danni

alla pianta e addirittura rovinarla.

Ingaggiare una scaramuccia con la pianta.

Agg. p.p. scaramuzzatu”.

scardapuzza, s. f. catapuzia, Euphorbia

lathyris”. Origini Europa e Italia. Ha

infiorescenze circondate da brattee gialle

e compaiono in giugno-luglio. Tutta la

pianta è velenosa e le sue foglie hanno un

potente effetto lassativo.

scarginatu, agg. scalcinato, malridotto,

male in arnese, senza un quattrino.

scarpiàttula, s. f. persona deforme, di

bassa statura.

scartoccià, v. tr. spannocchiare, liberare

dalle brattee la pannocchia del mais.

scarzà, v. tr. scalzare, rimuovere la terra

intorno alle radici di una pianta.

scarzata, s. f. gesto minaccioso consistente

nell’apporre due dita sulla gola di una

persona.

scarzocchiu, s. m. sperma.

scassà, v. tr. dissodare a fondo un terreno

per l’impianto di un nuovo vigneto.

scassato, s. m. terreno dissodato e pronto

per un nuovo vigneto.

scassinu, s. m. 1) gomma per cancellare.

2) cancellino per la lavagna.

scastelluccià, v. tr. disfare una catasta di

oggetti precedentemente ordinati. Come

distruggere un castello.

scatalettu, s. m. scaldaletto, contenitore

di rame riempito di brace ardente per scaldare

le lenzuola.

scatarciu, s. m. sputo catarroso.

scatarru, s. m. come scatarciu.

scatorciu, s. m. 1) pannocchia del mais

senza i grani. 2) torso di mela o di frutto

simile. 3) ferrovecchio, trabiccolo, rottame.

Fig. persona malandata, in cattivo

stato di salute.

scaulà, v. tr. travasare il vino. L’operazione

si effettua aprendo la càula(v.) e permettendo

al vino di fuoriuscire dalla botte.

scauzognu, s. m. scalzo.

scauzone, s. m. trascurato, trasandato,

malvestito.

scauzu, agg. scalzo.

scegne, v. tr. scendere. p.p. scendo”.

scelloni (a), loc. avv. barcollando (camminare).

scenda, s. f. discesa.

scendilena, s. f. lampada ad acetilene.

scendoncella, agg. trasandata, sciatta, trascurata.


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Der. di scendone(v.).

scendone, s. m. gonna ampia e lunga fino

ai piedi.

scenicà, v. tr. ridurre in pezzi, stritolare.

scenicatu, agg. lacerato, triturato, ridotto

in pezzi.

scennicatezza, s. f. apatia, debolezza fisica.

scerne, v. tr. vedere. Scernere nel linguaggio

letterario sta per scernere, scorgere,

der. di discernere con aferesi. Il diz. De

Mauro annota la particolarità del passato

remoto di questo verbo che è scersi, (scernei,

scernetti), scernesti, scerse, (scernè,

scernette), scersero, (scernerono, scernettero.)

Raro il p.p. scernito.

scerre, s. m. 1) usciere. 2) il messo del tribunale

incaricato di notificare i sequestri

patrimoniali e le convocazioni presso i

giudici. 3) messo esattoriale.

schiametta, s. f. bava del cavallo.

schiattà, v. intr. scoppiare, crepare, morire.

Chi muore all’improvviso, per un infarto o

comunque per un malore non annunciato,

si dice che muore schiattatu”.

schiazza, s. f. scheggia di legno che schizza

via sotto i colpi dell’accetta. In senso

fig. “fare le schiazzesignifica furoreggiare,

avere grande successo, suscitare

grande entusiasmo.

schìcchera, s. f. 1) schiaffone, ceffone,

cazzotto. 2) scoppio fragoroso di un tuono

o altro. 3) solenne sbornia.

schioppà, v. intr. scoppiare e anche morire.

schioppetta, s. f. fucile da caccia.

schioppu, s. m. schioppo, fucile da caccia.

schizzu, s. m. rudimentale giocattolo ricavato

da uno spezzone di ramo di sambuco

opportunamente svuotato per formare una

cerbottana munita di un pistone chiamato

ngròccula(v.).

I proiettili sparati erano costituiti o dai

frutti dell’alloro rotondi come pallottole o

da pallottoline di carta pestata in bocca. Il

divertimento consisteva nel sentire il botto

che lo strumento faceva alla fuoriuscita

del proiettile. Si svolgevano vere e proprie

gare a chi copriva la distanza maggiore.

sciacquatore, s. m. lavello, lavandino.

sciacquoni, s. m. uovo guasto.

scialappa, s. f. gialappa (pianta originaria

del Messico da cui si estrae una sostanza

con proprietà purgative). Sta per saporaccio,

sapore assai sgradevole riferito

soprattutto al vino.

sciamannone, s. m. disordinato, dimesso

nell’aspetto complessivo.

sciamannu, s. m. vestito muliebre lungo

fino ai piedi. In romanesco indicaindumento

sgualcito, logoro e di foggia modesta

(De Mauro).

sciarabballe, s. m. calesse. Evidente francesismo

da char e balle(carro e carico).

sciattu, s. m. impiccio, briga, bega.

scicià, v. tr. liberare i legumi dal baccello.

scifa, s. f. vassoio di legno, usato come

piatto, di forma rettangolare. Veniva collocato

al centro della tavola e vi mangiavano

tutti i componenti della famiglia. Dim.

maschile scifellu”. Fig. piede molto

lungo.

In archeologia lo scifo è “un tipo di vaso a

forma di tronco di cono rovesciato, molto

capace, usato nell’antica Grecia”. (De

Mauro).

scingià, v. tr. sgualcire, ridurre in brandelli.

Der. di scindere, frazionare, dividere.

sciorda, s. f. diarrea. In it. nel linguaggio

familiare esiste il vocabolo sciolta.

sciornu, s. m. sciocco, sventato, poco

accorto. Dim. sciornettu”.

sciotu, agg. p.p. sciolto, libero. Di persona

fastidiosa e importuna si suol dire per manifestare

il fastidio arrecato dalla sua presenza

“ma quillu, chi l’à sciotu?”. Il verbo da

cui trae origine è scioje(sciogliere).

sciuglià, v. intr. scivolare.

sciugliosu, agg. scivoloso.

sciugnògnolo, agg. scivoloso. sdrucciolevole.

scoccià, v. tr. 1) disturbare, dare fastidio.

2) rompere, distruggere. Noci, mandorle o


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nocciole scocciatesono quelle liberate

del loro guscio.

scocciapàmpane, s. m. rompiballe, seccatore,

fastidioso, guastafeste.

scocciapiatti, s. m. ciclamino.

scoccione, s. m. operaio addetto alla frantumazione

di grosse pietre. La breccia che

se ne ricavava veniva utilizzata nella

costruzione delle strade.

scognogne, v. tr. disgiungere, spezzare in

più parti. Agg. p.p. scognontue scognògnitu”.

sconfittu, s. m. il suono delle campane

all’ora del vespro. Fr. id. Quanno sona lu

sconfittu, tutti li frati a culu rittu”.

sconocchià, v. tr. ridurre una persona in

cattive condizioni con modi bruschi e violenti

(in uso in tutta l’Italia centrale). In it.

il verbo che appartiene al mondo della tessitura

significa trarre dalla conocchia il

pennecchio che vi è avvolto. È poco usato.

In Toscana, invece, significa mangiare con

gusto e con molta avidità.

scopetta, s. f. dim di scopa. Fig. sfacciata,

birichina, maliziosa, furba.

scopija, s. f. erica, pianta con foglie acuminate

usata per confezionare scope. È

detta anche scopina.

scoppatu, agg. sfaldato, frantumato, disgregato.

scòrfanu, s. m. deforme, di aspetto sgradevole.

scorporisse, v. rifl. 1) spaventarsi a morte.

2) impegnarsi in un lavoro totalmente inutile

e infruttuoso.

scortà, v. intr. finire. Il regionalismo centrosettentrionale

scortaresta per rendere

corto, accorciare. Si nota chiaramente

l’idea di ridurre e da qui al nostro “finire

il percorso è molto breve. Dal lat. “ex curtare

(assottigliare, ridurre, amputare).

scorzu, s. m. unità di misura di superficie

agraria equivalente a 1. 000 mq. In realtà

lo scorzo equivaleva ad un sedicesimo del

rubbio (v. rubbiu).

scoticà, v. tr. rosicchiare la carne intorno

all’osso. Il regionalismo toscano scoticare

significa privare della cotenna, ripulire

della carne che vi è rimasta attaccata.

scotrinà, v. tr. scrutare, guardare con

attenzione, probabile deformazione di

scrutinare che nel linguaggio della burocrazia

vuol dire esaminare.

screpante, s. m. bello ma di modi volgari,

arrogante, smargiasso, vestito in maniera

vistosa. Pijjava li bburini ppiù screpanti

(G.G. Belli, Santaccia de piazza Montanara).

Probabile derivazione di Sacripante,

personaggio di poemi cavallereschi.

scrià, v. tr. annullare, distruggere, far

venire meno qualcuno per la paura, per la

disperazione, per il dolore. Der. da un inesistente

screare, il contrario di creare.

scrocchià, v. intr. scricchiolare, produrre

un rumore secco.

scrocchiarellu, agg. che scrocchia, croccante

(pane, biscotti, pizza, grissini e altro).

scrocchiu, s. m. rumore secco, scricchiolio.

Di origine onomatopeica.

scucchia, s. f. mento sporgente e appuntito.

In uso in tutta l’Italia centrale.

scucchione, s. m. fornito, dotato di scucchia

(v.).

scujasse, v. rifl. farsi male a seguito di uno

sforzo fisico eccessivo. Letteralmente

farsi venire l’ernia.

scujatu, agg. p.p. sofferente di ernia.

scuju, s. m. spicchio di noce, il quarto del

gheriglio.

scuppulà, v. tr. scoperchiare, mettere allo

scoperto.

scurìa, s. f. peto, scoreggia.

scurià, v. intr. scoreggiare.

sdelamatu, agg. (terreno) franato.

sdelamu, s. m. frana, smottamento.

sdeloffatu, agg. p.p. stanco morto, sfinito,

senza più forze.

sdelongasse, v. rifl. cadere lungo per terra,

allungarsi, sdraiarsi comodamente. Agg.

p.p. sdelongatu”.

sdeluffà, v. tr. rompere la schiena, picchiare

di santa ragione, rompere i lombi


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(v. luffu).

sdeluffasse, v. rifl. stancarsi fino a rompersi

i reni.

sdemette, v. tr. distruggere, rovinare,

estirpare, annientare.

sderazzà, v. intr. allontanarsi dalla propria

razza perdendone le caratteristiche.

sderenà, v. tr. picchiare, spossare, sfiancare,

spezzare la schiena.

sderenasse, v. rifl. stancarsi a morte,

sfiancarsi, spezzarsi i reni. Agg. p.p. sderenatu”.

sderuzzà, v. tr. togliere, liberare dalla ruggine

(ruzza, v.) Termine usato per specificare

la necessaria operazione sulla vanga

che, per risultare efficiente, deve essere

sempre lucida e tagliente.

sdeusatu, agg. abbattuto, spossato, affranto.

sdignà, v. tr. rendere indegno, violare. Se

qualcuno tocca le uova riposte in un nido

si dice che quelle uova non si schiuderanno

mai perché, essendo state sdignate,

saranno abbandonate e non più covate.

sdòlega, v. impers. usato alla terza persona

singolare e, riferito per es. ad un arto

dolorante, significa che il dolore non

accenna a sparire. Ssu racciu non se sdòlega

(questo braccio continua a dolermi).

Il verbo sdogliarsi, poco usato, ha un

significato simile.

sdongu, agg. stanco, malfermo sulle gambe.

sdrucione, s. m. trasandato nell’abbigliamento,

sciatto, che ha poca cura della propria

persona. Da sdrucio, sdrucito, scucito,

strappato, usato in Toscana.

secca, s. f. 1) siccità. 2) gelata.

seccatìa, s. f. siccità, lungo lasso di tempo

senza piogge.

sècina, s. f. segale. Era considerata il

grano dei poveri. Se ne ricavava una farina

scura e un tipo di pane quasi nero.

sèllaru, s. m. sedano. In tutta l’Italia centrosettentrionale

si usa sellero”.

sèmmula, s. f. semola.

semmulosu, agg. lentigginoso. I dizionari

italiani registrano il terminesemoloso

nel senso che contiene semola. In senso

fig. assume lo stesso significato che ha nel

dialetto di Z.

senato, agg. lesionato, danneggiato. Di

bicchiere, tazza, piatto. muro e altro.

sensala, s. f. erba selvatica che infesta i

campi di grano.

senzarìa, s. f. senseria, attività mediatrice

del sensale (v. cupella).

serciarolu, s. m. selciatore, operaio addetto

a mettere in opera le pietre per la pavimentazione

delle strade. In Toscana dicono

selcino”.

serciu, s. m. pietra, sasso, sampietrino. Il

sampietrino a Roma era sia l’operaio

addetto alla manutenzione della Basilica

di San Pietro che la pietra usata per la

pavimentazione delle strade di Roma e di

piazza San Pietro.

serementà, v. intr. pratica agricola che

consiste nel raccogliere i tralci della vite

sottoposta a potatura. Si raccolgono in

fasci destinati al fuoco e si chiamano

fascinelle(v.).

serrà, v. tr. chiudere.

serro, s. m. siero.

serta, s. f. treccia di aglio, cipolla e altro.

Da serto che nel linguaggio letterario

significa ghirlanda, qualcosa di intrecciato.

Dal lat. sèrere, intrecciare.

servitù, s. f. l’insieme delle sostanze chimiche

usate durante la lavorazione del

vino e in modo particolare la colla schiarente

che si al vino per farlo diventare

limpido e brillante.

seta, s. f. setaccio, utensile da cucina per

separare la farina dalla semola. Anche

setaccettae setacciu”.

sètula, s. f. setola di maiale, cinghiale ecc.

seu, agg. pr. poss. m. s. suo. Le altre forme

sono: sea, see, sei (sua, sue, suoi).

sfioccà, v. intr. bollire.

sfogatellu, s. m. sfogatello, fungo novembrino

che nasce alla base di alberi, specie

secchi. Si sviluppa in famigliole.

sfonnone, s. m. errore madornale, sfondone.


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sformà, v. intr. restare attonito tanto da

perdere la forma e non riconoscersi più.

sfornaticciu, s. m. residuo di calore nel

forno sfruttato per la cottura dei dolci.

sfraujà, v. tr. spappolare, sbriciolare. Agg.

p.p. sfraujatu”.

sfresura, s. f. fessura.

sfrézzula, s. f. sasso piatto di forma tondeggiante

particolarmente adatto ad essere

lanciato con la mazzafionna(v.).

sfrìzzulu, s. m. frammento di grasso di

maiale. Cicciolo.

sfrocià, v. intr. starnutire, soffiare dalle

narici proprio del cavallo. Emettere rumore

dalle frogie.

sfruuià, v. tr. 1) sfrondare, sfoltire. 2)

stuzzicare. Dal napoletano sfruculiare”.

sgagnulà, v. intr. guaire del cane. Da

gagnolare.

sgamà, v. tr. 1) vedere. 2) accorgersi di

qualcosa volutamente nascosto.

sganassone, s. m. ceffone. In it. anche

sganascione.

sgarà, 1) v. intr. sbagliare. 2) strappare,

lacerare. In uso in tutta l’Italia centro

meridionale.

sgargamella, s. f. manrovescio.

sgattameu, s. m. fannullone, buono a nulla.

sghemma, s. f. 1) colpo, urto, scontro. 2)

schiaffone.

sgommarà, v. tr. spostare messerizie, traslocare,

sgombrare.

sgommarellu, s. m. mestolo.

sgraà, v. intr. sgravarsi, partorire. Si partoriva

in casa e spesso in condizioni igieniche

precarie. In molte case mancava

l’acqua corrente e quando era il momento

occorreva industriarsi alla meglio.

Le partorienti erano seguite durante tutti i

nove mesi della gravidanza dall’ostetrica

condotta che naturalmente le assisteva

durante il parto e nel primo periodo dell’allattamento.

L’ostetrica condotta era

una dipendente del Comune assunta per

concorso pubblico. L’assistenza era gratuita.

Era ai primi passi il servizio sanitario

nazionale. A Z. si ricordano due ostetriche

che prestarono il loro servizio

durante gli anni duri della seconda guerra

mondiale e in quelli successivi: madre e

figlia, Cecilia Fontana (sora Cicia) e

Angela Minetti (sora Angelina). Sono

state le ultime due levatrici di condotta

prima che si prendesse la sana abitudine di

andare a partorire negli ospedali. La condotta

intesa come assunzione di un professionista

in un pubblico ufficio venne abolita

negli anni Ottanta del Novecento. La

sua abolizione fu inserita nella riforma

complessiva del servizio sanitario.

Per un certo tempo presso l’ospedale di

Zagarolo ha funzionato un piccolo reparto

di ostetricia e ginecologia e le donne vi

partorivano. Dopo la sua chiusura, (il servizio

fu trasferito presso l’ospedale di

Palestrina) avvenuta nei primi anni

Ottanta si partorisce a Palestrina, a

Frascati o a Roma. Da allora a Zagarolo

non è più nato un bambino.

sgraffignà, v. tr. graffiare.

sgraffignu, s. m. graffio.

sgramiccià, v. tr. liberare il terreno dalla

gramigna (ramiccia, v.), bonificare un terreno.

sgricià, v. tr. graffiare, segnare con un’incisione.

sgriciu, s. m. graffio.

sgrignarellu, s. m. vortice di vento, mulinello.

sgrignu, s. m. scrigno, cassetta, cofanetto.

Più in generale indicava anche generici

contenitori di oggetti casalinghi.

sgrìgnula, s. f. scricciolo, piccolo e paffuto

uccelletto bruno dal trillo prolungato.

sgrinfia, s. f. bambina dispettosa, irritante,

molesta. In it. grinfia significa artiglio.

sgrinfiu, agg. difettoso.

sgrotta, s. f. lavoro praticato su un terreno

con il bidente (v.) per consentire di rivoltarlo.

sgrottà, v. tr. 1) portare il vino fuori dalla

grotta. 2) dissodare un terreno e fare in


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modo da rivoltarlo a fondo. La pratica veniva

attuata quando occorreva predisporre un

terreno all’impiamto di un nuovo vigneto.

sgrugnà, v. tr. rompere il grugno, colpire di

santa ragione. In uso nella lingua italiana.

sgrugnasse, v. rifl. scontrarsi, picchiarsi,

darsele di santa ragione.

sgrugnonottu, s. m. schiaffone.

sgrullà, v. tr. sgrullare, scuotere, agitare.

sgrullone, s. m. violento rovescio d’acqua,

acquazzone di forte intensità. In it.

scrollone significa scossone, strattonamento

violento.

signòre, s. f. pl. l’insieme dei chicchi del

granturco soffiato ottenuto ponendoli su

un fuoco assai vivace in un recipiente

coperto in un filo d’olio. (pop corn) I chicchi

del granturco così trattati assumono

forme strane e capricciose tanto da sembrare

delle signore guarnite per di più di

cappello. Degno di nota l’accento grave

sulla penultima sillaba se si consideri che

lo zagarolese per indicare il plurale di

signora dice signore non signòre. Forse

per un’avvertita necessità di operare una

distinzione tra i due significati.

SINDACU, s. m. sindaco. Finita l’epoca

dei prefetti e dei podestà che erano di

nomina governativa è iniziata, appena

chiuse le ostilità di quel grande massacro

che fu la seconda guerra mondiale,

quella dei sindaci eletti dai cittadini in

libere competizioni elettorali, che si

sono succeduti nel seguente ordine:


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I sindaci di Zagarolo dal 1944 ad oggi

De Rossi Cesare, professione sarto (nominato sindaco con decreto prefettizio del 13.12.1944 e successivamente

eletto nelle prime libere elezioni del dopoguerra per due legislature e rimasto in carica fino al

1954). Una strada di Zagarolo porta il suo nome.

Zintu Antonello, professore di storia dell’arte (assume la carica il 15 settembre del 1954). Appassionato

cultore della classicità latina e greca provò a restituire agli zagarolesi l’orgoglio delle proprie origini

legate, in qualche maniera alla storia di Roma. Gli è stata intitolata una strada.

Borzi Giuseppe, funzionario INPS (vince le elezioni del 1956). Nelle elezioni politiche del 1978 per il

rinnovo del Parlamento venne eletto senatore.

Zintu Antonello (rieletto nel 1960).

Sacco Felice, ingegnere (elezioni del 1964). A lui è intestato il nuovo palazzetto dello sport.

Caramanica Tarquinio, professore di musica (nominato sindaco nel marzo del 1967). Gli sono state

intitolate una strada e una scuola comunale d’arte che avvia i giovani allo studio della musica e del canto.

Rinaldi Michele, geometra presso la Provincia di Roma (sindaco dal 22.7.1970 al 19.8. dello stesso

anno).

Caramanica Tarquinio (sindaco dopo le elezioni del 1971).

Mastrangeli Elio, coltivatore diretto (nominato sindaco il 26.4.1973). A lui è stato intitolato il campo

sportivo. Affettuosamente soprannominato Lu magu.

Panzironi Laura, commerciante (sindaco dopo le elezioni comunali del 20 giugno 1976).

Pisa Antonio, impiegato delle poste (diventa sindaco il 13 gennaio del 1978).

Quaranta Franco, avvocato (nominato sindaco l’11 febbraio 1981).

Mariani Marcello, medico chirurgo (sindaco dopo le elezioni del giugno 1981).

Calzoletti Edoardo, funzionario Ministero del lavoro (sindaco dal 1987 al 1993). Ha ricoperto anche la

carica di assessore provinciale al Bilancio.

Vallerotonda Sandro, funzionario ACI (eletto sindaco per la prima volta nel giugno del 1993 e riconfermato

per due legislature fino al 2000). Nel 1995 eletto con la nuova legge elettorale che prevede l’elezione

diretta del sindaco.

Leodori Daniele, funzionario Regione Lazio eletto nel 2000 e riconfermato nel 2005. Ricopre anche la

carica di consigliere provinciale.

 

sinende, prep. avv. fino. Indica il limite al

quale si arriva sinende a dimà(fino a

domani). Si usa anche finende(v.).

Sinergie, associazione culturale fondata

nel 2000 con lo scopo di valorizzare la

storia, la cultura, la tradizione del paese

onde evitare che una cospicua parte della

vita di un’intera comunità cada nell’oblio

e cessi di essere patrimonio comune.

Esplica la sua attività attraverso mostre,

pubblicazioni e ricerca sul territorio.

smarzà, v. intr. superare il mese di marzo.

smelatu, agg. smielato, eccessivamente

dolce.

smicià, v. tr. frugare, indagare, adocchiare,

sbirciare. Con lo stesso significato i

dizionari italiani registrano il termine

smicciaree lo classificano un regionalismo

dell’Italia centromeridionale.

smiciata, s. f. sguardo sommario, sbrigativo.

smogne, v. tr. rovistare, mettere a soqquadro.

smonicasse, v. rifl. abbandonare lo stato

monacale e tornare allo stato laicale. Agg.

p.p. smonicatu. In italiano spretarsi e

spretato.

smorganà, v. tr. livellare un terreno servendosi

del mòrganu(v.).

smucinà, v. tr. smuovere, mettere sottosopra,

rovistare. Da rimuginare.

smunnulà, v. tr. indossare degli indumenti

per poco tempo e poi rimetterli a posto.

Gli abiti così trattati vengono detti smunnulati”.

sobboticà, v. tr. rigirare, rivoltare. Forma

rifl. sobboticasse”.

soccia, s. f. la cliente del fornaio.

Quando il pane veniva confezionato in

casa, il fornaio, all’ora stabilita, “dava una

voce” alle sue clienti e le invitava a portare

il pane al forno per l’infornata. Quando

questa operazione aveva inizio, ancora in

piena notte, si diceva che il fornaio andava

“a commannà(v.) Una sorta di chiama

o appello nominativo che avveniva in

due tornate successive. Le cose andavano

così: le donne prenotavano la cottura del

loro pane e il fornaio ne prendeva diligentemente

nota sul suo quadernetto. Quando

durante la notte il forno veniva aperto, il

fornaio faceva il primo giro e avvisava le

donne invitandole, ad alta voce, ad alzarsi

per iniziare le operazioni di impasto

(Nannì, fa’ lo pa’). Intanto era stato acceso

il fuoco nel forno e quando il calore era

sufficiente il fornaio faceva la seconda

uscita per la chiamata definitiva (Nannì,

porta!). L’operazione di cottura poteva

avere inizio.

Il posto migliore all’interno del forno era

considerato quello al centro dove il calore

era più uniforme e per tradizione spettava

a chi aveva effettuato per prima la prenotazione.

Non mancavano i battibecchi che

toccava al buon senso del fornaio sedare.

Per riconoscere il proprio pane le donne

usavano un segno di riconoscimento che

poteva essere il disegno di una lettera dell’alfabeto

o altro simile praticato sulla

pagnotta appena impastata.

socciu, s. m. amministratore di un’azienda

agricola. La sòccida è un contratto agrario

di tipo associativo e il soccio è colui che

stipula la sòccida.

soccupatu, agg. indica la condizione di

disagio di chi si trova in un ambiente troppo

angusto, soffocato.

sodo, agg. incolto, terreno abbandonato.

Un terreno non lavorato sta “’n sodo”.

sòera, s. f. inv. l’albero del sorbo e il suo

frutto. Una delle piante praticamente sparite

dalle campagne zagarolesi.

soerchiu, s. m. agg. superfluo, soverchio.

sòla, s. f. regionalismo centromeridionale,

fregatura, truffa.

solaru, s. m. solaio. Poco usato in italiano

il vocabolo solaro.

sòlegu, s. m. solco. Al pl.le sòlega”.

solu, s. m. tortiera, recipiente metallico

dal bordo basso per cuocere biscotti o

altro al forno. Quando nelle case non si


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disponeva ancora degli elettrodomestici,

per cuocere dolci come torte o ciambelle,

patate, zucche o altro bisognava rivolgersi

al fornaio.

somaracci (a), loc. avv. gioco infantile a

coppie. Ogni coppia era formata da un

somaro (da cui il nome del gioco) e da un

fante. Il somaro doveva cercare di disarcionare

il fante in modo da prenderne il

posto.

sonnà, v. tr. sognare.

sopre, prep. avv. sopra.

sore, s. f. sorella. Unito all’aggettivo possessivo

assume le seguenti forme: sòrema,

sòreta, sòreme, sòrete(mia sorella,

tua s. le mie sorelle, le tue s.).

sorellu, s. m. mestolo di rame con lungo

manico per attingere acqua dalla conca.

sorgente, s. m. luogo da cui sgorga una

vena d’acqua. Una volta erano tenute in

gran conto e i contadini provvedevano a

mantenerle pulite e sgombre dalle erbe

infestanti in maniera da potervi attingere

l’acqua necessaria ai lavori agricoli, alla

propria igiene personale e per dissetare le

bestie. Adesso sono del tutto abbandonate,

sommerse dalle erbacce e praticamente

introvabili. Le più note e frequentate

erano quelle della Ulica, di colle Saelli,

di Fossu scuru, di Occa piana e di

Mainellu”.

sòrica, s. f. 1) grosso topo di fogna. 2)

volgarmente designa l’organo sessuale

femminile.

sòrice muscarolu, s. m. rosso topolino di

bosco, topo muschiato.

sòrici, s. m. topo, sorcio.

sorrecchiu, s. m. falcetto.

sorricchiola, s. f. falcetto, roncola.

spaccapicculi (a), loc. avv. gioco di bambini

(v. picculu”).

spaccarella, s. f. un tipo di pèsca che si

divide in due metà con le mani senza l’uso

del coltello.

spacciu, s. m. 1) tabaccheria. 2) spaccio.

spalà, v. tr. togliere le canne (i pali) dal

vigneto. L’operazione veniva eseguita

dopo la potatura e consisteva nella sostituzione

delle canne andate a male e non più

in grado di fare da sostegno alle viti. Le

canne nuove venivano deposte in terra tra

i filari e formavano le poste(v.).

spallà, v. tr. demolire, distruggere.

spallato, s. m. zona del paese in vicolo

Brembi, pieno centro storico.

spanne, v. tr. stendere, spargere in modo

uniforme. I panni per farli asciugare al

sole o le canne nei filari della vigna.

spannitore, s. m. luogo adatto a stendere i

panni. Le donne che li frequentavano usavano

prenotare” il posto ponendovi dei

segni di riconoscimento.

spasetta, s. f. vassoio di legno munito di

bordo usato per esporre frutta da essiccare

al sole. Vi si preparavano le zuzzine

(v.).

spauracchiu, s. m. 1) spauracchio. 2) spaventapasseri.

spegne, v. tr. 1) spegnere. 2) spingere.

spendulione, s. m. spinta, scontro, urto.

spenta, s. f. spinta.

spera, s. f. lancetta dell’orologio.

sperella, s. f. tenue raggio di sole. Dal lat.

sperulapiccola sfera. In Toscana dicono

sperata di soleuna breve apparizione

di sole.

spergia, s. f. acquazzone, improvviso e

violento scroscio d’acqua. Probabile derivazione

dell’italiano aspergere.

spernuccià, v. tr. liberare dal peduncolo

un frutto.

spernucciulatu, agg. 1) frutto senza

peduncolo. 2) grappolo d’uva mancante di

molti acini.

sperticonà, v. intr. zigzagare, girovagare

senza meta, gironzolare.

spetturià, v. intr. liberarsi di indumenti,

mostrare il petto nudo. Agg. p.p. spetturiatu

(scollato, discinto).

spezzinu, s. m. venditore ambulante.

Forse il vocabolo si spiega con il fatto che

sul banco del venditore era possibile trovare


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stoffe ridotte in pezzi o scampoli di

tessuto che si potevano acquistare a prezzi

più convenienti rispetto a quelli praticati

nei negozi.

spianatora, s. f. spianatoia, tagliere sul

quale si impasta la farina per confezionare

dolci, pane e simili. Vi si mangia la polenta

dopo che è stata spianata”. (v. pulenta).

Da spianare, lat. explanare.

spiccà, v. tr. spiccare, staccare, togliere.

spiccià, v. tr. 1) ordinare, pulire, rassettare.

2) sciogliere nodi, liberare qualcosa da

impacci.

spicciatore, s. m. pettine a denti larghi e

sottili. Che spicciai capelli.

spidale, s. m. ospedale. Spedale è un

regionalismo toscano, da ospedale con il

fenomeno dell’aferesi.

Le prime notizie storiche dell’esistenza di

un ospedale a Z. risalgono agli inizi del

1500. Dedicato fin da allora a S. Giovanni

Battista doveva trovarsi in piazza Santa

Maria e disponeva di pochissimi posti

letto. In seguito ad accordi intervenuti tra

i Priori della Confraternita del SS.

Sacramento e l’allora signore di Z.

Principe don Giuseppe Rospigliosi, l’ospedale

venne trasferito in piazza

Massimo d’Azeglio dove è tuttora. (notizie

ricavate da OspedaleSan Giovanni

BattistaZagarolo, di Eugenio Loreti dal

volume “Gli ospedali della melagrana”)

A causa di vari tentativi aventi lo scopo di

razionalizzare la spesa sanitaria l’ospedale

è passato attraverso varie vicissitudini e

più volte è stato sul punto di cessare la sua

attività. Ciò non è accaduto e l’ospedale,

pur ridimensionato e privato di alcuni servizi,

continua ad essere un presidio importante

per la salute degli zagarolesi.

Sono in via di realizzazione due nuove

importanti strutture sanitarie: una situata a

Colle del pero che diventerà una clinica

specializzata nelle cure per la riabilitazione

motoria e l’altra nei locali della ex

scuola “De Amicis” in via di borgo San

Martino che ospiterà ambulatori specialistici

per diagnosi e terapie.

spidaliere, s. m. lavoratore dipendente

dell’ospedale.

spidu, s. m. spiedo.

spighetta, s. f. lavanda. Vocabolo mutuato

dal termine scientifico che è

Lavandula spica”.

spilà, v. tr. sturare, trarre un liquido contenuto

in un recipiente. Spilare la botte. In it.

spillare.

spinosa, s. f. istrice. Il vocabolo fa chiaro

riferimento al corpo del mammifero ricoperto

di aculei appuntiti ed erettili.

Animale assai ricercato dai cacciatori che

per aumentare le possibilità di successo

addestravano cani molto piccoli, in grado

di infilarsi nelle tane usate come rifugio

dall’istrice. Chiamati cani da buca.

spinureticu, s. m. biancospino.

spirolà, v. intr. gironzolare, correre di qua

e di .

spiziale, s. m. farmacista. In realtà lo speziale

è il venditore di spezie, di preparati

medicinali e di erbe medicamentose.

spizzicà, v. intr. 1) trovare piccoli vantaggi,

rimediare. 2) mangiucchiare, sbocconcellare,

spizzicare.

spòdicu, agg. libero da ipoteche (terreno).

All’atto della donazione di un appezzamento

di terreno ai futuri sposi, i genitori

ci tenevano a sottolineare che la terra

donata era spodica”, libera da vincoli e a

totale disposizione dei nuovi padroni.

spondone, s. m. terreno che termina ad

angolo acuto, propaggine.

spozzatu, agg. che ha perduto le sue qualità

caratteristiche. Per es. si dice del vino

difettoso che dopo qualche tempo perde le

sue qualità organolettiche.

sprefonnà, v. intr. sprofondare.

sprefonnu, s. m. 1) baratro, precipizio,

sprofondo. 2) per antonomasia luogo lontano,

quasi irraggiungibile.

sprocedatezza, s. f. incontinenza, ingordigia,

incapacità di moderarsi nel mangiare.


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sprocedatu, agg. insaziabile, ingordo,

mangione, vorace.

spullà, 1) v. intr. andare via, togliersi di

mezzo, alzarsi dal letto. 2) ripulire una

persona al gioco delle carte, toglierle tutto.

spungicà, v. tr. assaggiare il vino nuovo

praticando un forellino nella bigoncia o

nel tino.

spurgià, v. tr. 1) spulciare, scegliere in un

mucchio di cose. 2) vincere al gioco

spurgu, s. m. azione di ripulitura di un

terreno per liberarlo dai rovi.

ssa, avv. qua, il luogo in cui si trova chi sta

parlando.

ssaffora, avv. qui fuori.

ssu, agg. dim. m. s. questo. Le altre forme

sono ssa, ssi, sse (questa, questi, queste).

stabbio, s. m. letame di animali allevati in

stalla usato come fertilizzante. In italiano

stabbio è l’appezzamento di terreno in cui

viene fatto pernottare il bestiame affinchè

lo concimi con le sue deiezioni.

stabilì, v. tr. intonacare.

stabilitura, s. f. intonaco.

stazione ferrovie dello stato, a circa due

Km. dall’abitato di Z. sorge la stazione

delle ferrovie dello stato, sulla linea

Roma-Napoli via Cassino. Importante

nodo ferroviario già da molti anni, ha

acquistato negli ultimi tempi una rilevanza

sempre maggiore e oggi la stazione di

Z. viene giustamente considerata come la

più importante dell’intera area prenestina.

Frequentata giornalmente da alcune

migliaia di viaggiatori diretti a Roma, la

loro sede di lavoro. Il pendolarismo, da

sempre una costante del territorio, si è

ulteriormente intensificato a seguito dell’espulsione

di manodopera dall’agricoltura

che una volta, bene o male, garantiva

occupazione e reddito prodotto sul luogo.

La grande massa di questi viaggiatori proviene

anche dai paesi limitrofi dato che la

maggioranza dei treni effettua la fermata a

Z. I collegamenti con le località vicine

sono assicurati dai pulman e la stazione di

Z. è la zona cosiddetta di scambio tra il

trasporto su gomma e quello su rotaia.

L’altro fenomeno che contribuisce a dare

rilievo alla presenza della stazione è la

fuga dalla città e la ricerca di un altro

modello di vita in un centro come Z. raggiungibile

da Roma in meno di mezz’ora.

Sempre più frequente il fenomeno di intere

famiglie che da Roma si trasferiscono a

Z. Questo dato consente alla popolazione

di far registrare costanti incrementi numerici

nonostante il fatto che il rapporto

nascite-morti a Z. non si discosti dal dato

nazionale che vede il numero dei morti

superare quello dei nati, anche se c’è da

dire che questa realtà tende e modificarsi

per l’arrivo a Z. di molte coppie di giovani

stranieri, in genere più prolifiche delle

coppie locali. La popolazione zagarolese

fa registrare annualmente un saldo attivo

di circa 500 unità.

La qualità del trasporto ferroviario da e

per Roma non è eccellente e spesso il

viaggio, per fortuna assai breve, è fatto in

condizioni di assoluta precarietà. Si

lamentano frequenti ritardi, superaffollamento

e sporcizia. Non sono mancati negli

anni alcuni gravi incidenti dovuti spesso

alla scarsa idoneità del materiale ferroviario

che non viene rinnovato e viene usato

a volte in condizioni di grave inefficienza.

Tutta l’area nei pressi della stazione è

stata sottoposta a lavori di restauro, di

ampliamento e di generale risistemazione.

Ampi parcheggi consentono la sosta, in

gran parte a pagamento, per circa 1. 500

autovetture.

stazione ferrovie vicinali, inaugurata nel

1916 era una stazione intermedia sulla

linea Roma-Fiuggi. Abbastanza utilizzata,

in direzione Roma da studenti e lavoratori

pendolari, fino all’avvento dell’automobile

di massa e al potenziamento della linea

ferroviaria statale. Per gli zagarolesi il trenino

che vi passava era lu tranvettu(v.).

Ora la stazione è stata dismessa e l’intera


- 157 -


linea completamente disattivata. Lo stabile

della ex stazione è in attesa di una

nuova destinazione.

stazzola, s. f. piccolo riquadro di terreno

destinato ad una particolare coltivazione.

stazzu, s. m. cortile antistante il tinello

della vigna. Lo stazzo in it. è il recinto

all’aperto dove si ricovera il bestiame di

notte. Ora in terra d’Abruzzo i miei

pastori lascian gli stazzi e vanno verso il

mare(G. D’Annunzio, I pastori).

Lu bicchiere de lu stazzuè l’ultimo bicchiere

di vino bevuto con gli amici prima

di rientrare a casa dalla vigna.

In tutte le campagne zagarolesi lu stazzu

è stato sempre luogo di incontri dove,

quasi sempre all’ombra di un pergolato, si

usava scambiare chiacchiere, fatti e opinioni

e dove il contadino si godeva un po’

di riposo dopo la giornata di lavoro.

stegà, v. tr. liberare i legumi dal baccello.

Sin. scicià(v.).

stemperone, s. m. violento attacco di

diarrea. Nel linguaggio burocratico stemperarsi

significa sciogliersi (stemperarsi in

lacrime). Naturale stabilire un rapporto

con il vocabolo usato un tempo a Z. e con

il suo significato.

stennardone, s. m. persona di statura

molto alta e di grande corporatura.

stennardu, s. m. stendardo, vessillo, bandiera.

stenne, v. tr. 1) porgere. 2) stendere, spargere

panni al sole.

stennerellu, s. m. mattarello.

stera, s. f. paletta metallica per togliere il

terriccio rimasto attaccato alla vanga o

alla zappa. Raschietto.

stimatrice, s. f. estimatrice, la donna chiamata

a stimare e valutare il corredo della

sposa. (v. La dote) Aveva un ruolo ufficiale

e la sua azione era altamente considerata

in paese. Si trattava di persona stimata e

rispettata che riscuoteva la fiducia generale.

Dalle sue parole poteva dipendere un

matrimonio:potevano agevolarlo o mandarlo

a monte. Di lei si faceva espressa

menzione quando si compilava la carta

totale(v.) In tale occasione la stimatrice

diventava una specie di pubblico ufficiale

e la sua figura veniva ricordata come quella

della pubblica stimatrice”.

stingà, v. tr. estirpare una vigna, distruggere.

stira, s. f. l’azione di stirare, allungare, stiracchiare.

Si trattava di uno scherzo piuttosto

pesante praticato dai ragazzi ad un

malcapitato coetaneo oggetto delle loro

attenzioni. Costui veniva sdraiato per terra

e tenuto fermo con la forza. Gli si calavano

i pantaloni e qualcuno afferrava il suo

pene e lo stiracchiava con violenza. Il

malcapitato, finito il trattamento, veniva

lasciato a terra con la sua rabbia la sua

vergogna e il suo dolore.

stoccà, v. tr. spezzare, fratturare, rompere,

frantumare. Molto in uso l’espressione

minacciosa: “te stocco mmezzo” che equivale

a “ti spezzo in due”. In italiano il

verbo stoccare ha significati diversi.

stoccu, agg. rotto, fratturato.

stoppicciu, s. m. stoppino, lucignolo,

stoppaccio.

stordona (a la), loc. avv. distrattamente,

sbadatamente, come uno stordito.

stortignacculu, s. m. storpio. Stortignaccolo

è nel dialetto romanesco.

stozza, s. f. il cibo che i lavoratori giornalieri

consumavano in una giornata di lavoro.

Oggi indica semplicemente qualcosa

da mangiare. Der. di tozzo.

straccale, s. m. inizialmente finimento di

cuoio per bestie da soma atto a reggere il

basto e successivamente bretelle per i calzoni.

stracciambrache, s. m. cespuglio assai

spinoso.

stracinà, v. tr. 1) trascinare. 2) ripassare in

padella pasta o altro.

stracinu, s. m. carretto per il trasporto del

vino o altro. Erano tanti i carrettieri che

tutti i giorni caricavano sul carretto i barili


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del vino per trasportarli a Roma nelle

osterie o in case private. La partenza avveniva

quando era ancora notte in modo da

raggiungere la città a giorno fatto.

Stradarolo, festival internazionale di artisti

su strada che si svolge nei mesi di settembre

o ottobre.

Interamente dedicato all’arte su strada,

che negli ultimi anni è stata rivalutata e

che tanti consensi continua a ricevere, il

festival coinvolge principalmente i comuni

di Genazzano e Zagarolo e marginalmente

altri centri che ricadono sulla direttrice

Roma-Fiuggi.

Per tre giorni consecutivi le piazze, le vie,

i vicoli dei paesi coinvolti sono animati

dalla presenza di centinaia di artisti che si

esibiscono ognuno nella sua arte. Il poeta

improvvisa versi a volontà, il giocoliere

stordisce con i suoi trucchi misteriosi, il

pianista suona Chopin, l’attore recita

monologhi o favole per bambini, l’uomo

sui trampoli avanza pericolosamente in un

frastuono di luci, suoni e canti.

Un’ atmosfera di festa e di grande partecipazione

collettiva. L’ideazione e la direzione

artistica è stata sempre affidata al

gruppo Tetes de bois, “una band molto

speciale, un sestetto composto di voce,

tromba, contrabasso, piano, fisarmonica e

chitarra. Una storia fatta di strade e svincoli,

di luoghi impropri, di Berlino e di

Parigi, di concerti sulle scale mobili e nei

sotterranei dei metro…” (da Cose di musica

on line).

stradone, s. m. la via che collega la piazza

del Comune (P. Marconi) a quella dell’ospedale.

È via Giuseppe Calandrelli.

stramà, v. intr. operare parzialmente l’azione

di asciugatura dei panni stesi al sole.

stramatu, agg. quasi asciutto.

stramicione, s. m. disordinato, trasandato

nell’abbigliamento.

stranieri, una nutrita comunità di stranieri

si è insediata da alcuni anni a Z. Da notizie

assunte presso gli uffici comunali si

ricava che il loro numero, tra regolari e

irregolari, varia tra 1.500 e 2.000.

Provengono da tutte le parti del mondo,

Europa, Asia, Africa, America. Moldavi,

Ucraini, Rumeni, Cinesi, Peruviani,

Algerini e via cantando. La comunità più

folta è rappresentata dai cittadini rumeni

che occupano vaste aree del paese, sia nel

centro storico che nelle vicine campagne.

La maggior parte degli uomini, per lo più

molto giovani, sono occupati nell’edilizia,

sia in loco che a Roma dove nei cantieri si

parla più rumeno che italiano. Moltissime

donne sono sistemate presso famiglie

dove una persona anziana ha bisogno di

assistenza. La badante a Zagarolo fa parte

del panorama sociale già da alcuni anni

con reciproca soddisfazione delle assistenti

e degli assistiti. A loro affidiamo le

cose più care che abbiamo. A loro consegnamo

le chiavi delle nostre case. A loro

chiediamo di fare quello che noi non sappiamo

più fare.

In linea generale la famiglia degli stranieri

rimane come un corpo estraneo con

tutte le sue diversità e peculiarità, vive ai

margini del tessuto sociale paesano anche

se nel complesso predomina un atteggiamento

di rispetto e di attenzione reciproca.

Gli zagarolesi si sono dimostrati tolleranti

e poco preoccupati dalla presenza degli

stranieri che tendono essi stessi ad isolarsi

e a cercare soltanto i propri simili. I risentimenti

profondi, viscerali e irrefrenabili,

mossi il più delle volte dalle emozioni più

che dai fatti e dalla ragione, non si sono

posti in evidenza e non si sono verificati

casi gravi di razzismo. La realtà è spesso

maledettamente difficile da vivere. Lo

dicono quotidianamente le cronache dei

giornali. A Z. le cose vanno un po’ meglio

che altrove forse perché si è capito, come

da più parti è stato detto e scritto, che l’immigrazione

è un fenomeno importante,

troppo importante, per il nostro presente e

per il nostro futuro.


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In tutte le classi delle scuole di Z. dove la

presenza di alunni stranieri provenienti da

ogni parte del mondo è ormai una costante

che si verifica da più anni, la convivenza

tra locali e stranieri è un fatto compiuto

e non sono mai stati segnalati fenomeni

di intolleranza. Il più delle volte l’unico

vero impedimento che rende problematica

la reciproca comprensione è la lingua, fino

a quando i ragazzi stranieri non si impadroniscono

dell’italiano. E quasi tutti ci

riescono abbastanza in fretta. Lo spaesamento

linguistico non dura a lungo.

Con ogni probabilità l’avvenire sarà nella

mescolanza di diversi colori, di diversi

sapori e diversi linguaggi. Già adesso i

fornai hanno imparato a fare il pane rumeno,

sono sorti phone center per effettuare

telefonate oltre confine, alcuni titolari di

negozi espongono avvisi scritti in rumeno

e nelle edicole sono comparsi quotidiani e

settimanali stampati in Romania o altrove.

Segno dei tempi: si è svolta una importante

manifestazione definita del dialogo tra

Zagarolo e la Romania, con la partecipazione

di personalità rumene e italiane.

La presenza di tante persone bisognose di

alloggi ha prodotto il fenomeno del ripopolamento

di zone del paese che sembravano

destinate al degrado e all’abbandono.

Molte case anche piccole, si tratta a

volte di cantine e locali di fortuna, sono

state ristrutturate, in qualche caso decorosamente

in altri meno, e ampie parti del

paese, son tornate a vivere e a conoscere

la presenza di giovani coppie e di bambini.

Un grande patrimonio urbanistico che,

valorizzato e riqualificato, certamente concorre

al benessere della popolazione zagarolese.

Anche perché, e il fenomeno va

denunciato, in pochi metri quadrati vengono

stipate molte persone alle quali vengono

chieste somme certamente non eque per

il pagamento della pigione. Come fenomeno

collaterale e strettamente collegato a

quello ora descritto va segnalata l’escalation

dei prezzi degli alloggi, quasi allineati

a quelli praticati in alcune zone di Roma.

stranutà, v. intr. starnutire.

stranutu, s. m. starnuto.

stregulà, v. tr. strofinare, frizionare.

strenga, s. f. laccio per le scarpe, stringa.

streppà, v. tr. estirpare (specie la canne).

streppone, s. m. zappa di grandi dimensioni.

streppongellu, s. m. piccola zappa usata

per lo più per l’estirpazione delle canne

dal canneto.

stréppula, s. f. in maniera imprecisata si

riferisce a gambe e piedi malfermi che

non consentono un incedere regolare.

strina, s. f. freddo pungente, vento di tramontana.

Si tratta di un regionalismo centrosettentrionale.

stròlega - stròliga, s. f., zingara, gitana. Il

vocabolo richiama il termine astrologia e

appare evidente il legame tra le parole

dato che le zingare molte volte leggevano

la mano e, in qualche modo, avevano a

che fare con l’astrologia e gli oroscopi. In

italiano esistono i termini strologare e

strologo.

strozzapreti, s. m. frutti del Prunus spinosa

consistenti in drupe sferiche, blu -

violacee a maturità. Da un arbusto, talvolta

albero, con rami spinosi. Fioritura

marzo-aprile. Se ne cibano molti uccelli.

In it. gli strozzapreti sono gnocchi in uso

nel sud d’Italia e altresì un tipo di pasta

alimentare corta.

strucinà, v. tr. trascinare. In Toscana

strucinaresignifica consumare usando

senza riguardi.

strumentu, s. m. atto notarile di compravendita.

Andare dal notaio per certificare

un passaggio di proprietà con un atto di

donazione ad un figlio che si sposava era

un fatto importante che veniva celebrato

con la dovuta solennità, abbondantemente

annaffiato con generose libagioni.

struppià, v. tr. storpiare, rovinare, sfigurare,

deturpare.


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struppiu, s. m. storpio, deforme.

struppione, s. m. erba selvatica spinosa.

È il Cirsium arvensedetto volgarmente

stoppione o cardo campestre.

stuale, s. m. stivale.

stuccà, v. tr. ingannare qualcuno non restituendogli

denaro preso a prestito.

stuccatore, s. m. chi di solito non paga i

debiti contratti.

stufarolu, s. m. pentola di terracotta,

munita di manici, adatta a cuocere lo stufato.

sturbà, v. intr. perdere i sensi, svenire,

sentirsi male.

stutà, v. tr. staccare la pannocchia del

granturco dal gambo.

stuzzasse, v. rifl. intirizzirsi per il freddo,

gelarsi, ghiacciarsi. Agg. p.p. stuzzatu”.

stuzzu, s. m. 1) freddo, gelo. 2) malattia

da raffreddamento tipica del gatto.

Impropriamente detto cimurro del gatto,

in realtà è una rino-tracheite o rino-congiuntivite

in quanto interessa la trachea o

gli occhi o entrambi gli organi.

suatta, s. f. pelle di bufalo non conciata

usata in calzoleria, per confezionare lu

frustu(v.) e per fissare il battaglio alla

campana.

subbia, s. f. lesina del calzolaio usata per

forare il cuoio. Lat. sùbulamconnesso

con suere, cucire.

subbullì, v. intr. fermentare.

sucamele, s. m. Pulmonaria saccharata

detta Polmonaria chiazzata. Pianta

erbacea perenne dal fusto setoloso. Si credeva

avesse effetti benefici e curativi per

malattie polmonari. Fiore dalla corolla

regolare con petali di colore rosso vivo.

Fiorisce verso la fine dell’estate.

suerchiu, agg. v. soerchiu.

suppegnu, s. m. soppalco, palchettone.

svagulà, v. tr. mangiare un grappolo d’uva

staccandone i chicchi a uno a uno.

Piluccare.

sveja, s. f. sonoro ceffone.

svèntula, s. f. schiaffone. Fig. donna prosperosa

e procace.

svijà, v. tr. svegliare.

svinverà, v. tr. spifferare, spiattellare,

rivelare, riferire.




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