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Michele Lacetera Persone Storie Parole IntraText CT - Lettura del testo |
A
Le parole cambiano il senso attraverso il
tempo. (T. De Mauro)
abbacchiasse, v. rifl. demoralizzarsi, sentirsi
abbattuto, sfiduciato.
abbacchiatu, agg. avvilito, demoralizzato.
Il termine abbacchiato è regolarmente
usato nella lingua italiana.
abbacchiu, s. m. agnello macellato.
Probabile derivazione dall’espressione
latina “ad baculum” (agnello legato al
bastone). Qualcuno suggerisce la derivazione
da “abbacchià” nel senso di capo
da abbattere, dato che “bacchiare” significa
percuotere con una pertica (il bacchio)
i rami di un albero per farne cadere i frutti.
Così come a Roma anche a Zagarolo
l’abbacchiu è largamente usato nella
cucina locale.
abbaggiù, s. m. paralume. Dal francese
“abat-jour”.
abbambà, v. intr, avvampare, prendere
fuoco all’improvviso. Notare il fenomeno
fonetico del betacismo che prevede lo
scambio tra le consonanti b e v. Il fenomeno
è riscontrabile in tutte le parlate
centro-meridionali.
abbambatu, agg. p.p. di abbambà.
Avvampato, bruciacchiato, colpito da
improvviso rossore per il caldo, per timidezza
o per paura.
abbannitu, agg. di chi cammina sbandando,
in preda a spavento. Come persona
bandita, messa al bando, esiliata. Fr.
id. “ comme ‘na ‘acca abbannita”.
abbassà le puche, fr. id. calmarsi e anche
sottomettersi, non fare il gradasso. Le
“puche” sono gli aculei appuntiti di cui è
ricoperto l’istrice.
abbastà, v. intr. bastare, essere sufficiente.
abbatozzu, s. m. seminarista, piccolo
abate o prete.
abbeccà, v. tr. picchiare, prendere a ceffoni.
abbeeratore, s. m. abbeveratoio. Sono
praticamente spariti dal panorama zagarolese
insieme a quelli che una volta ne
erano i principali utenti.
abbeorà, v. tr. abbeverare, far bere, dissetare
un animale.
abbià, v. tr. avviare un motore e anche
mettersi in cammino.
abbioccasse, v. rifl. stancarsi, assopirsi,
addormentarsi. Il verbo abbioccarsi è un
regionalismo dell’Italia centrale e probabilmente
deriva da “biocca” (v.).
abbioccatu, agg. p.p. sfinito, stanco,
avvilito.
abbisognà, v. intr. occorrere, essere
necessario, bisognare.
abbisognu, s. m. bisogno, necessità. Fr. id.
“pe’ li boni abbisogni” (per le occasioni
migliori, per quando sarà necessario).
abbitinu, s. m. scapolare cucito su un
indumento in segno di devozione. Si trattava
dell’immagine di un santo, della
Madonna o del Sacro Cuore accompagnata
da una preghiera scritta su un pezzettino
di carta portata soprattutto dalle bambine
(Madonna mia, fammi diventare
buona, Cuore di Gesù fammi trovare un
buon marito ecc.)
abboccà, v. tr. socchiudere, accostare. Es.
“abbocca ssa porta” (accosta la porta).
abboccatu, agg. p.p. 1) socchiuso, accostato.
2) del vino tendente al dolce.
abbodà, v. tr. avvolgere, arrotolare,
avvoltolare.
Fr. id. “va’ a la pizzicheria, t’abboda la
carta e te manna ‘ia”. (se vai dal pizzicagnolo
è più la carta che porti via che ciò
che hai comprato).
abbottà, v. tr. 1) gonfiare, abbottare. 2)
saziare, riempire di cibo.
abbottasse, v. rifl. mangiare tanto da
apparire gonfio.
abbottata, s. f. scorpacciata.
abbozzà, 1) v. intr. abbozzare, far finta di
niente, non reagire di fronte ad una situazione
ritenuta sgradevole. 2) v. tr. ammaccare,
fare i bozzi.
abbraccicà, v. tr. abbracciare strettamente.
abbrilanti, agg. relativi al mese di aprile.
Prov. “Se piove de li quattro abbrilanti,
pioe pe’ quaranta giorni contanti” (se
piove il quattro di aprile, pioverà per altri
quaranta giorni di seguito). Una versione
romanesca recita così “li quattro aprilante/
quaranta dì durante”.
abbrile, s. m. aprile. Prov. “Abbrile non
te mutà, de maggio fa’ comme te pa’” (sii
prudente, nel mese di aprile non ti scoprire,
aspetta maggio per farlo).
abbroccujatu, agg. abbattuto, avvilito.
abbruscà, v. tr. 1) abbrustolire, tostare. 2)
raggrinzire, rendere rugoso, screpolare.
Es. “ssu ‘entu m’abbrusca le mano”
(questo vento mi screpola le mani).
abbuffasse, v. intr. riempirsi di cibo fino
a completa sazietà.
abburrà, v. intr. traboccare. Fr. id. “Lo
ino abburra” si dice quando il vino, per
effetto della fermentazione, fuoriesce
dalla botte o da altro recipiente.
abbuscà, v. tr. guadagnare, procacciarsi
qualcosa. Prov. “Doppo Pasqua ogni
poeta abbusca” (dopo Pasqua, finita la
Quaresima, tempo di penitenza e di sacrifici,
ogni poeta vive tempi migliori).
a bon bisogno, loc. avv. nel caso in cui.
a brutto grugno, fr. id. senza complimenti,
con modi bruschi assai poco gentili.
abusivismo, s. m. Zagarolo ha dovuto
fare i conti con questo fenomeno al quale
ha pagato un pesante tributo a partire
dagli anni Sessanta del Novecento fino ai
nostri giorni. Una mancata politica urbanistica,
un modesto controllo del territorio,
la necessità di avere una casa, l’aspettativa
sempre premiata di condoni edilizi,
la pressione di una città come Roma a due
passi da Z., un permissivismo diffuso e,
infine, la crisi profonda dell’agricoltura
con il conseguente spostamento del valore
della terra dalla vigna alla possibilità di
costruire hanno prodotto negli anni la
effettiva radicale trasformazione di un
territorio, un tempo rigoglioso di vigneti.
Il fenomeno non viene percepito come un
reato contro la collettività e nei suoi confronti
la reazione è molto simile a quella
che si avrebbe verso un parcheggio in
divieto di sosta. Tale amara riflessione,
c’è da dire, riguarda, con rare eccezioni,
tutta la Nazione. Il suolo, il territorio
come preda da assaltare e spogliare.
Si è trattato quasi sempre di abusivismo
familiare, cosiddetto di necessità, qualche
volta con intento speculativo. In alcune
località sono stati perpetrati veri e propri
scempi. Un generale e diffuso Far West.
Tutte le volte che le sanatorie edilizie
sono state approvate dai diversi governi,
gli uffici comunali di Z. sono stati sommersi
da domande di regolarizzazione.
Molte migliaia. Il Comune ha riscosso
ingenti somme e tante di più ne ha dovuto
spendere per dotare le realtà che sorgevano
sui colli, prima semplicemente case
sparse poi veri quartieri residenziali, delle
infrastrutture necessarie, strade, fogne,
illuminazione, e altro. Il fenomeno ha
provocato una vera e propria frantumazione
della comunità che vive sparsa su
un territorio vastissimo in alcuni casi
quasi estraneo alla vita del paese. Molti
nuclei familiari che risiedono nelle campagne,
specie quelle più lontane dal centro
storico, partecipano poco alla crescita
della comunità e spesso finiscono per
considerare il Comune come semplice
erogatore di servizi. Delle circa quindicimila
anime che popolano Zagarolo solo
cinquemila abitano il paese vero e proprio.
Tutto il resto sui colli circostanti.
a cannarella, loc. avv. a garganella (bere).
a capu ficca, fr. id. a testa in giù e, in
senso figurato, di corsa, a tutta birra.
accacasse, v. rifl. accomodarsi, sfruttare
subito una situazione a proprio vantaggio.
Fr. id. “andò arri(v)i t’accachi”.
accaicchià, v. tr. stringere con forza come
in una morsa. Da cavicchia, un tipo di
chiavarda. v. caìcchia.
accalamarata, agg. f. con gli occhi cerchiati,
con i “calamari” (v.) agli occhi.
L’aggettivo ormai in disuso era usato di
preferenza al femminile riferendosi alle
donne indisposte per le mestruazioni. Nel
linguaggio familiare si riferisce a persona
con le occhiaie livide, per stanchezza o
malattia.
accalecà, v. tr. calcare, pigiare.
accalecatu, agg. p.p. calcato, riempito
fino all’orlo.
accanganà, v. tr. incardinare, fissare una
porta sui cardini.
accappà, v. tr. coprire (con una cappa, un
mantello, una coperta).
accapponatu, agg. rauco, affetto da raucedine.
Con la tonalità voce di un cappone
che per essere stato castrato perde il
suo naturale tono di voce.
accasasse, v. rifl. sposarsi, mettere su
casa. Riferito solo al maschio. Il maschio
si accasa, la donna si marita.
accasatu, agg. p.p. accasato, sposato.
accattà, v. tr. comprare. 2) chiedere l’elemosina.
Es. “jì accattenno” (andare in
giro chiedendo l’elemosina).
accesso, s. m. ascesso.
acchia ‘n po’ escl. boia miseria!
acchiapparella, s. m. gioco infantile che
consiste nel rincorrersi per acchiapparsi.
Chiapparello, acchiapparello.
acchiarà, v. intr. schiarire, diventare limpido.
Usato soprattutto per il vino.
Produrre un vino chiaro, limpido e cristallino
era impegno di tutti i vignaioli zagarolesi.
Per riuscirci spesso al vino veniva
data la “servitù” (v.) che consisteva in una
colla enologica schiarente mescolata con
il vino.
acchittasse, v. rifl. vestirsi con eleganza.
Usato in tutta l’Italia centrale è di etimo
incerto.
acchittatu, agg. p.p. elegante, ben vestito.
“Il Riccetto pareva un pischello quando
se ne va acchittato pei lungoteveri a
rimorchiare” (Pasolini, Ragazzi di vita).
accia, s. f. gugliata di filo. Lat. “acia-ae”
(filo, refe). Prov. “ab acia et acu exponere”
(raccontare per filo e per segno).
acciaccà, v. tr. pestare, calpestare, schiacciare.
Acciaccare è vocabolo italiano.
acciaccata, s. f. azione di schiacciamento,
l’atto di ammaccare. Dare un’acciaccata
ai panni vuol dire stirarli alla meglio, in
maniera approssimativa.
acciaccatellu, agg. malandato in salute.
acciaccatu, agg. p.p. schiacciato, malandato.
Nei forni di Zagarolo si può trovare la
pizza acciaccata, impastata senz’olio.
acciamaccu, s. m. groviglio, intrico,
viluppo (di rami, tralci e simili). Fig. confusione,
garbuglio.
accimà, v. tr. aggiungere il terzo barile ai
due che di solito si legavano ai fianchi
della bestia da soma. Il barile si poneva di
traverso sul basto, al posto del cavaliere.
accimatu, agg. p.p. caricato al massimo.
acciu, agg. scadente, di infima qualità. In
realtà si tratta del suffisso “accio” usato in
italiano per formare il dispregiativo di
nomi e aggettivi.
acciuffà, v. tr. sgualcire, spiegazzare,
sistemare alla rinfusa.
acciuffatu, agg. p.p. spiegazzato, sgualcito.
Nel dialetto romanesco “acciuffato”
significa accigliato, preoccupato.
acciuì, v. intr. defluire, scorrere. Un
lavandino che “acciuisce” consente il
regolare deflusso dell’acqua.
àcciula, 1) asola. 2) ferita, per lo più da
taglio.
accodicchià, v. tr. affilare la lama della
falce o di un coltello usando la “codicchia”
(v.), cote in italiano. I mietitori che
frequentavano Zagarolo prima che si coltivassero
le vigne portavano, legato ad un
fianco, una specie di corno pieno d’acqua
in cui era immersa la “codicchia”.
L’attrezzo, che era una pietra abrasiva,
svolgeva meglio il suo compito se frequentemente
bagnato.
accoje, v. intr. 1) far centro, indovinare,
coglierci. 2) infettare, andare in suppurazione.
Es. “ssu taju me s’è accotu” (questo
taglio mi si è infettato).
accollerà, v. tr. infettare un frutto, specialmente
l’uva, con la “collèra” (v.), in
italiano oìdio.
accolleratu, agg. p.p. colpito dalla “collèra”
(v.) L’uva colpita da questa malattia
si ricopre di macchie polverulente grigiastre
e non giunge a normale maturazione.
Molto temuta dai contadini, la malattia
viene combattuta con prodotti a base di
zolfo.
accondì, v. tr. condire, dare il condimento.
acconditu, agg. p.p. condito, ricco di
condimento.
accorà, v. tr. accorare. 1) dare il colpo di
grazia al maiale colpendolo al cuore. Il
termine è usato molto in tutta la Toscana.
Al bravo norcino serviva un solo colpo.
2) affliggere, disturbare. Si dice di qualcosa
che provoca fastidio fino alla nausea.
Tra le imprecazioni più usate “te pozzano
accorà”.
accorasse, v. rifl. turbarsi, provare un
profondo dolore. Agg. p.p. “accoratu”.
accortatora, s. f. scorciatoia.
accroccà, v. tr. sistemare qualcosa in
modo provvisorio e precario.
accroccu, s. m. lavoro eseguito senza
alcuna precisione e con molta approssimazione.
accucculizzà, v. tr. riempire fino all’orlo,
colmare, comporre oggetti in forma piramidale.
accucculizzatu, agg. p.p. colmo, riempito
fino alla sommità.
a cento, loc. avv. alla cintola. Nel gioco
detto “Mariaccia” (v.) ricorreva il ritornello
“Arrìa Mariaccia co’ lu callarozzu a
cento”.
Anche la fame, quando è tanta, si dice che
è “a cento”.
a ciancarella, espr. avv. del camminare
saltellando su un solo piede. A balzelloni.
a cicciu , loc. avv. a meraviglia, alla perfezione.
acqua ceca, s. f. piatto povero consistente
in acqua bollita e arricchita di un uovo,
un pizzico di formaggio, olio e un ciuffo
di erbetta. Il tutto veniva versato su pezzetti
di pane raffermo posato sul fondo
della “scifa” (v.)
acquanto, avv. soltanto. Es. “Ci stea
acquanto matrema” (c’era soltanto mia
madre).
acquanto acquanto, avv. proprio adesso,
appena.
acquaténgulu, s. m. acquitrino, pantano,
ristagno d’acqua.
acquatu, s. m. vino di modesta gradazione
alcolica perché molto allungato con
l’acqua. Esiste la versione al diminutivo
acquatellu. Prov. “A li pori ‘ignaroli,
acquatellu co’ li fiori” (ai poveri contadini
si dà da bere il vino scadente e quasi
andato a male).
acqua zàzzula, s. f. pianta selvatica
annuale con fusto eretto e foglie alterne
lanceolate. Cresce nei prati e in terreni
umidi. Nome volgare acetosa. Leggermente
acidula un tempo era usata in cucina.
Nome scientifico Rumex acetosa. Nel
linguaggio figurato indica persona di
scarsa personalità.
Si riferisce anche a cibi o bevande senza
alcun sapore.
acquicchiasse, v. rifl. accovacciarsi, piegarsi
sulle ginocchia, accucciarsi.
acquicchiatu, agg. p.p. piegato sulle
ginocchia, accoccolato.
addacia, s. f. audacia, coraggio, sfrontatezza.
Fr. id. “Non tant’addacia” (non
essere così sfrontato, modera i tuoi ardori).
addaciutu, agg. audace, sfrontato.
adda madre, escl. esprime meraviglia e
anche sconforto e scoraggiamento.
addamò, avv. tanto tempo fa.
addannasse, v. rifl. disperarsi, affaticarsi,
impegnarsi allo spasimo in un’impresa.
addannatu, agg. impegnato allo spasimo,
ostinato.
addietratu, agg. rimasto indietro specialmente
in un lavoro.
addimannu, s. m. domanda, richiesta di
matrimonio. Il vocabolo indica il rito che
si celebrava per ufficializzare una richiesta
di matrimonio. In un giorno stabilito il
pretendente, accompagnato dai genitori,
si recava a casa della futura sposa per
chiederne ufficialmente la mano. Il padre
dello sposo portava con sé, legata ad una
catenella, una “cupella”(v.) di vino; la
madre, invece, offriva ciambelle fatte con
il vino. Doni propiziatori.
Dopo che la proposta di matrimonio era
stata formalizzata, e i due promessi avevano
manifestato il loro reciproco piacere,
la madre della futura sposa esibiva i
capi del corredo, messi insieme spesso
con enormi sacrifici. Il pregio della biancheria
veniva fatto valutare da una “stimatrice”
appositamente convocata.
Tra una ciambella e un bicchiere di vino
veniva stilato un vero e proprio contratto
nel quale venivano espressamente indicate
le volontà dei genitori circa i beni
(casa, terra, cantina, tinello ecc.) che
dovevano essere dati in godimento alla
futura coppia.
Da questo momento iniziava il periodo
del fidanzamento che di solito durava
assai poco. Se si voleva godere della reciproca
vicinanza, non rimaneva altro che il
matrimonio.
addore, s. m. odore, profumo.
addormisse, v. rifl. addormentarsi.
“L’ora s’addorme su ogni foglia e dentro
gli occhi” (Serenata di piazza Massimo
d’Azeglio di Mario Luzi).
adduce, v. tr. trasportare. Chiarissima
appare la derivazione latina (adducere).
Usato nella forma negativa sta ad indicare
persona che non è in grado di operare sforzi
per portare a termine un’azione qualsiasi.
Es. “quillu propio non s’adduce”.
a decorto, espr. avv. per poco, c’è mancato
poco per…
a fette, loc. avv. a piedi. Nell’italiano colloquiale
si usa indicare i piedi, specialmente
quelli spropositatamente lunghi,
con il termine “le fette” (femm. pl.)
affièttite, v. intr. se ne conosce soltanto
questa forma imperativa che corrisponde
a piegati, abbassati. Il probabile infinito è
“affiettasse”.
affiettutu, agg. piegato, chino.
affilatura, s. f. aria che soffia da uno spiraglio
arrecando noia e fastidio.
affittà, 1) v. tr. dare in fitto. 2) terminare,
finire un lavoro. Tipica l’espressione “e
quann’affitti?” (quando porterai a termine
questa impresa?)
affonnà, v. tr. affondare, immergere,
mandare a fondo. Es. “affonnà la pasta”.
E anche “affonnà” la forchetta in un piatto
di maccheroni.
affratà, v. intr. coincidere, concordare,
combaciare. Come essere tra fratelli,
accomunati dai vincoli del sangue.
affratatu, agg. p.p. in perfetta concordanza,
come affratellato.
affrocià, v. intr. bere direttamente dal
recipiente pieno, quasi immergendovi la
testa. Es. “affrocià dentr’a lu secchiu”
(bere direttamente dal secchio senza
usare bicchiere o altro).
affrontà, v. intr. riuscire in qualcosa,
indovinare. Es. “ci so affrontato subbito”
(ci sono riuscito subito).
affucì, v. tr. rimboccare, ripiegare le
estremità delle maniche di una camicia o
dell’orlo dei pantaloni.
affucitu, agg. p.p. ripiegato, arrotolato.
aggratis, avv. gratuitamente, senza sborsare
nulla.
a gniciùn situ, loc. avv. in nessun posto,
da nessuna parte.
a grifi ritti, loc. avv. a muso duro, senza
mezzi termini.
agrummeste, agg. inv. aspro, cattivo (si
dice del vino). Evidente derivazione dal
latino “acris est”. (è amaro, è aspro).
aguiolu, s. m. setaccio a maglie larghe
per il grano. Sin. “triellu”(v.)
ainasse, v. rifl. sbrigarsi, agire con sveltezza.
Imp. “aìnate” (sbrigati). Voce
arcaica del dialetto romanesco.
Aiuta un amico, associazione costituita
nel 2002 allo scopo di fornire aiuto alle
popolazioni dello Sri Lanka e in particolare
a bambini orfani in gravissime difficoltà.
Sono state effettuate molte adozioni
a distanza e, con il passare degli anni, i
soggetti che hanno beneficiato degli aiuti
si sono sempre più diversificati fino a
comprendere interi piccoli villaggi di
pescatori. Periodicamente i responsabili
dell’Ass. ne si recano presso le popolazioni
cingalesi portando con sé beni di
diversa natura raccolti a Z., vestiario, cancelleria
e materiale scolastico, medicinali,
alimentari. I fondi necessari all’acquisto
di questo materiale vengono raccolti con
manifestazioni periodiche quali mercatini,
aste di beneficenza e simili.
Le persone che hanno aderito all’Associazione
sono diventate alcune centinaia
nel giro di pochi anni. Ideatore, motore e
anima dell’Associazione il signor Tito
Livio Novelli, impiegato delle poste in
pensione.
aju, s. m aglio. Fr. id. “Riconsolasse co’
l’ajettu” lett. riconsolarsi con l’aglietto.
Lo dicevano i contadini e gli ortolani
quando le annate erano sfavorevoli. Il
raccolto era scarso, ma almeno si raccoglieva
l’aglio perché più resistente alle
avversità climatiche. In senso figurato la
frase si pronuncia quando le aspettative
per qualcosa sono andate deluse e tuttavia
si trova il modo di accontentarsi che le
cose non siano andate peggio.
alà, v. intr. sbadigliare.
a la bon’ora, escl. si dice allorché si verifica
qualcosa che si aspettava da tempo,
come a dire finalmente! Era ora!.
a la mani, loc. avv. in successione regolare.
Vendemmiare a l. m. significa raccogliere
l’uva seguendo l’ordine dei filari
senza operare alcuna selezione.
Raramente la vendemmia si svolgeva in
tal modo. Per garantirsi un raccolto
migliore, si procedeva a “capare” l’uva,
raccogliendo prima quella più matura e
rinviando ai giorni successivi la raccolta
generale. In tal modo la vendemmia si
svolgeva quasi a singhiozzo, un po’ per
volta, giorno dopo giorno.
a la rierza, loc. avv. a rovescio, al contrario.
alberi pizzuti, s. m. cipressi, detti “pizzuti”
per le loro cime a punta. Fr. id. “Jì a
l’alberi pizzuti” significa andare al cimitero,
morire.
àlepe, agg. inv. fragile, senza consistenza.
Il termine, ormai poco usato, indicava
l’uovo senza guscio, protetto solo da una
sottile pellicola quasi inconsistente. Fr. id.
“fa’ àlepe quadunu” (privare qualcuno di
tutto, spogliarlo dei suoi averi).
alestru, s. m. piccola formazione erbacea
a forma di spiga di avena. I bambini se li
lanciavano addosso per sapere quante
mogli avrebbero avuto. Tante quanti gli
“alestri” rimasti attaccati ai vestiti.
allaccà, v. tr. stancare, sfinire, demoralizzare.
allaccatu, agg. p.p. stanco morto, sfinito.
all’amprescia, loc. avv. in fretta, sbrigativamente,
di corsa.
all’ancaccia, avv. in fretta, di corsa.
allappà, v. tr. 1) allappare (di cibi e
bevande dal sapore asprigno che lega i
denti). 2) trascinare, coinvolgere.
‘Allecchia, s. f. Vallecchia, toponimo di
una località di campagna. Uno dei tanti
colli. Prov. “A la ‘Allecchia, o ci sta la
grandine o ci sta la secca” (il posto non è
adatto alla produzione agricola).
allecconì, v. tr. adulare, fare moine per
attirare simpatia e assenso. In Toscana il
sostantivo leccone significa adulatore,
vagheggino.
allocchitu, agg. stordito, ridotto come un
allocco. Nel linguaggio figurato l’allocco
sta per grullo, babbeo, sciocco. In italiano
esiste sia il verbo allocchire (rimanere
attonito, sbalordito) che l’aggettivo allocchito.
allogà, v. tr. sistemare, collocare, allogare.
Prov. “Chi ne tè cento l’alloga, chi ne
tè una l’affoga” (è più facile sistemare
cento figlie che una sola dato che per sposarne
tante non si va tanto per il sottile e
si accampano meno pretese).
allumà, v. tr. illuminare, intravedere.
alluscà, v. intr. vedere furtivamente, spiare.
allustrasse, v. rifl. lustrarsi, lucidarsi,
farsi bello, mettersi in ghingheri.
Prov. “Esce la bella,
lu sole se ‘ncappella,
esce la brutta,
lu sole s’allustra”
(davanti ad una bella donna perfino il sole
si fa da parte. Di fronte ad una brutta il
sole riprende tutto il suo splendore).
a mercu, loc. avv. (sparare) ad un bersaglio
fisso non in movimento.
amici di Zagarolo, associazione culturale
nata nel 1991 con la finalità di divulgare
notizie utili alla conoscenza del paese e
delle sue bellezze naturali, artistiche, per
una complessiva rivalutazione dell’intera
area in cui insiste il territorio di Zagarolo.
Nel corso degli anni l’Associazione ha
curato la pubblicazione di numerose
opere relative a chiese, monumenti,
reperti archeologici, guide turistiche e
altro che hanno sempre riscosso unanimi
consensi. A ciò si deve aggiungere la realizzazione
di visite guidate all’interno del
paese e in particolare al Palazzo
Rospigliosi e l’organizzazione di innumerevoli
convegni e mostre - enogastronomia,
fotografia, archeologia - che hanno
avuto il merito di portare all’attenzione di
una vasto pubblico le tematiche proprie di
un territorio che negli ultimi anni ha scoperto
la sua vocazione turistica.
La sua attività ha costituito uno stimolo
alle diverse Amministrazioni comunali
per la messa a disposizione di risorse
indirizzate alla valorizzazione di un patrimonio
che altrimenti sarebbe stato del
tutto disperso e dimenticato.
ammaì, voce eufemistica del verbo
“ammazzà”, usata all’infinito e al p.p.
“ammaitu”.
ammannatu, agg. contuso, che sta
andando a male (della frutta).
ammannì, v. tr. preparare, mettere in
ordine. Ind. pr. “eo ammanniscio” (io
preparo).
ammappete, esclamazione che sostituisce
il verbo “ammazzà”. Si tratta di un
eufemismo. L’espressione originale è
“ammazzete”, l’interiezione con la quale
si esprime meraviglia o ammirazione. In
realtà, dal punto di vista della grammatica,
si tratta della II persona s. dell’imperativo
presente di ammazzare.
ammarmottitu, agg. stordito, confuso,
rincretinito. La radice del vocabolo coincide
con la parola marmotta che ricorre
anche nel detto largamente usato un po’
dappertutto “dormire come una marmotta”.
La marmotta è un mammifero roditore
che trascorre tutto l’inverno in letargo.
ammarrà, v. intr. dare, provocare la sgradevole
sensazione che si avverte quando
si mangia un frutto assai acerbo. Es. “ Ssu
melu ammarra li denti”.
ammarvà, v. tr. ammorbidire, intenerire
un cibo con una prima sommaria cottura.
Sbollentare.
ammassà, v. tr. impastare, amalgamare
farina, acqua e altri ingredienti per confezionare
pane focacce pasta o dolci.
ammattonà, v. tr. percorrere infinite
volte la stessa strada nel tentativo di conseguire
un dato risultato. Sta ad indicare il
tentativo di ottenere esiti impossibili da
un’azione ripetuta fino all’ossessione.
ammazzatora, s. f. mattatoio. Fino a
qualche anno fa Zagarolo aveva il suo
mattatoio in Via delle Fontanelle. Per
motivi igienico-sanitari e per razionalizzare
la spesa necessaria alla macellazione
degli animali il mattatoio è stato chiuso e
attualmente i macellai zagarolesi macellano
i loro animali a Gallicano (v.), a
pochi chilometri da Zagarolo, dove c’è
una struttura comprensoriale che serve
l’intera area prenestina.
ammenà, v. tr. picchiare, menare. Prov.
“chi ammena prima, ammena do ‘oti” (in
una rissa chi è lesto a menare le mani è
come se picchiasse due volte).
ammentuà, v. tr. nominare. Dall’it. letterario
mentovare. Fr. id. “Lu pecoraru
ammentua acquanto abbrile”. (per i
pastori il mese di marzo, tradizionalmente
capriccioso e instabile, è un brutto
mese, tanto che nel conteggio dei mesi,
marzo non viene nemmeno nominato,
quasi per scongiurarne l’arrivo. In senso
figurato la frase viene riferita alla persona
che in un discorso si sofferma solo sulle
faccende che gli fanno comodo).
amminestrà, v. intr. guadagnare, ricavare
un vantaggio. Prov. “Chi amministra
amminestra”. Il proverbio che pur con
qualche differenza si usa in altre parti
d’Italia la dice lunga sulla stima e la fiducia
dei cittadini nei riguardi dei propri
amministratori, trattati come profittatori
del bene pubblico a proprio esclusivo
vantaggio.
ammollà, v. tr. 1) ammorbidire bagnando.
2) appioppare, affibbiare. In it. “mollare”
nel senso di dare, assestare (mollare
un pugno, un calcio ecc. ).
ammontinà, v. tr. ammonticchiare, affastellare,
accumulare fieno, paglia e simili.
ammorgiasse, v. rifl. calmarsi dopo una
sfuriata o una lite.
ammostatura, s. f. strofinamento di un
grappolo d’uva sul volto di una persona.
Lo si faceva a mo’ di scherzo. Era cosa
aspettata da alcuni, temuta da altri ad ogni
vendemmia. Bambini in lacrime tra i filari
della vigna con il volto impiastricciato
d’uva.
ammottà, v. tr. trasferire il mosto e le
vinacce da un piccolo tino alla botte.
Trasferire liquidi servendosi di un imbuto,
“mottatore” (v.).
ammuffà, v. intr. ammuffire.
ammusatu, agg. imbronciato, immusonito.
Con il significato di imbronciarsi c’è il
regionalismo toscano ammusarsi con il
conseguente participio passato ammusato.
Anagni, cittadina in provincia di
Frosinone, che conserva uno splendido
centro storico medioevale, nota per l’oltraggio
a papa Bonifacio VIII da parte di
Sciarra Colonna (1303) inviato dal re di
Francia Filippo IV il Bello all’epoca delle
guerre tra il Papato e l’Impero. (lo schiaffo
di Anagni).
Prov. “Anagni, se te lo porti te lo magni”
(gli Anagnini non sono generosi, se vuoi
mangiare devi pensarci da solo).
ancinu, s. m. uncino, bastone ricurvo utile
a raccogliere la frutta dai rami più alti.
andò, avv. dove. Fr. id. “andò cojjo
cojjo” di un’azione compiuta a casaccio,
senza un obiettivo o un bersaglio precisi.
’anga, s. f. vanga.
Una volta oggetto cult nella vita di ogni
zagarolese, indispensabile attrezzo per la
lavorazione della vigna, nell’epoca dei
lavori fatti a mano, con la schiena piegata
fino a terra, dalla mattina alla sera, dall’alba
al tramonto. Terreni da lavorare ce
n’erano tanti, alcune migliaia di ettari. I
vangatori venivano fatti arrivare dai paesi
vicini, compresa Palestrina, e dalla non
lontanissima Ciociaria. Formavano squadre
nutrite e oltre alla paga giornaliera
avevano diritto al vitto (tre pasti al giorno)
e all’alloggio.
’angà, v. tr. vangare.
’angatore, s. m. vangatore, colui che
vanga. Intere generazioni di zagarolesi si
sono dedicate all’arte del vangare nei
vigneti. Il territorio appartenente al comune
di Zagarolo è sensibilmente più esteso
di quello dei comuni vicini. Vastissima
porzione di questo territorio era occupato
da vigneti dai quali la maggior parte delle
famiglie ricavavano il necessario per
vivere: l’uva, il vino.
I lavori fino ai primi anni Sessanta erano
eseguiti tutti manualmente e i proprietari
delle vigne facevano spesso ricorso ad
operai provenienti dai paesi vicini e perfino
dalla Ciociaria. Si lavorava dall’alba al
tramonto.
anghetta, s. f. attrezzo di ferro detto anche
cartoccia dal lungo manico e dall’estremità
tondeggiante ma dal profilo molto
tagliente. Usato per scavare buche profonde
nel terreno. Non è una piccola vanga
come si potrebbe credere pensando alla
parola italiana vanghetta. Commercialmente
viene chiamata palotto di palizzata.
annà buca, fr. id. fallire, mancare il risultato.
annacquà, v. tr. annaffiare. Il vocabolo
per i contadini zagarolesi non aveva il
significato generico che ha in italiano e
indicava espressamente l’operazione di
dare il solfato di rame, sciolto in acqua
insieme ad altri preparati, alla vigna per
difenderla dalla peronospera e da altre
malattie. Prima dell’avvento dei motorini
elettrici o a scoppio, l’operazione veniva
fatta manualmente con la pompa a spalla.
annasa, s. m. fiuto, odorato, istinto.
annasà, v. tr. e intr. annasare, fiutare.
annecciasse, v. intr. dimagrire, perdere
peso.
annecciatu, agg. p.p. dimagrito, fisicamente
deperito.
annecitu, agg. magrissimo, rinsecchito.
annette, forma ormai desueta del verbo
“annà” (andare). Si tratta della III pers. s.
del passato remoto (andò). Si usa anche
andiede.
anninnà, v. tr. stordire, far addormentare.
anninnasse, v. rifl. addormentarsi.
anninnatu, agg. p.p. addormentato, stordito.
annitu, s. m. nido.
Annunziata (chiesa dell’), s. f. situata
nella parte nord del paese sulla via Borgo
di S. Martino, risale al 1580. Fu costruita
per volontà di Pompeo Colonna. A pianta
latina, con cupola circolare e con una
torre campanaria a forma ottagonale, di
struttura vagamente orientaleggiante. Una
Natività di Maria, con le immagini degli
Evangelisti attribuite a Pietro da Cortona,
una Flagellazione e una Resurrezione di
Marcantonio del Forno sono le opere di
maggior pregio all’interno della chiesa.
anticajje, s. f. pl. cose, oggetti, attrezzi
fuori moda, antiquati. Fr. id. “anticaje e
petrelle”. Da “La lingua di Roma” di
Lino Cascioli “Era l’antico grido (Anticajje,
petrelle e boccajje pe’ li lumi) che
lanciavano per le strade gli anticagliari, i
venditori ambulanti di oggetti antichi e di
reperti archeologici con il quale invitavano
la gente a vendere quello che avevano
trovato nelle case o nelle campagne”.
Anche a Zagarolo, come in tante altre
parti d’Italia, le cose antiche, le anticaglie,
sono state oggetto di attenzione da
parte di antiquari e collezionisti che ne
hanno fatto incetta negli anni immediatamente
successivi alla fine del secondo
conflitto mondiale. In cambio di qualche
oggetto di plastica luccicante sono stati
dati via oggetti di autentico valore prodotti
dalla maestria di valenti artigiani locali.
Antonio Abate (sant’), s. m. sicuramente
un lascito della civiltà contadina che non
c’è più il culto del Santo protettore degli
animali che viene solennemente celebrato
nel fine settimana dopo il 17 di gennaio.
Messa solenne nella basilica di S. Pietro
(v.), benedizione degli animali, ormai
solo cani e gatti, sfilata di macchine agricole
e, in serata a Palazzo Rospigliosi,
(v.) asta per la bandiera del Santo. Per
aggiudicarsi il diritto di custodire per un
anno il vessillo benedetto e portafortuna
occorre partecipare ad un’asta pubblica
con offerte in busta chiusa. La somma
raccolta viene utilizzata per l’organizzazione
della festa e per opere di beneficenza.
In origine il denaro veniva usato per
fare la dote alle giovani appartenenti a
famiglie disagiate. Per avere a disposizione
somme di un certo riguardo le persone
intenzionate a concorrere all’asta costituiscono
delle Associazioni o Società abbastanza
numerose che riescono a mettere
insieme diverse migliaia di euro. Per
aggiudicarsi la bandiera occore disporre
di somme tra i trenta e i quarantamila
euro. Chi provvede a promuovere il culto
del Santo e decide le modalità relative
all’uso delle somme raccolte è la
Confraternita di Sant’Antonio Abate la
cui vita è regolata da uno Statuto che
viene fatto risalire addirittura al XIV
secolo. A capo della Confraternita c’è il
Priore, che resta in carica per tre anni.
L’azione del Priore viene coadiuvata dal
Cappellano che è il padre spirituale della
Confraternita, dal Camerlengo, una sorta
di amministratore delegato e dagli Alfieri
o portabandiera.
Una norma dello Statuto prevede che la
bandiera del Santo non possa essere
custodita in una casa fuori dal centro storico.
Il giorno della festa i fornai, una
volta lo facevano le mamme in tutte le
case, confezionano le pagnottelle, piccoli
pani che poi si fanno benedire. Si regalano
ai bambini e sono considerate portafortuna.
Prov. “Sant’Antogno co’ la barba bianca
/o fa la née o fa la fanga.
Sant’Antogno co’ la barba bianca/
se non pioe poco ci manca”.
La storia completa della bandiera del
Santo attraverso gli anni è raccontata nell’agile
volumetto a cura di Antonio
Fiorito, Giorgio Senesi e Eugenio Loreti
dal titolo “Sant’Antonio Abate e la bandiera”.
(a cura della Società La Cometa).
Altre confraternite svolgono una certa
attività nel territorio e sono tutte iscritte
all’albo delle confraternite della diocesi
di Palestrina. Sono: La Confraternita
della Madonna della Divina Provvidenza,
la C. di Sant’Antonio di Padova, la C.
della Natività di Nostro Signore Gesù
Cristo, la C. del SS. Salvatore e San
Lorenzo, la C. del SS. Sacramento.
a pedagna, loc. avv. a piedi.
a pedi pari, loc. avv. con tutto l’impegno
possibile.
a pettorina, loc. avv. con il viso rivolto al
sole ristoratore durante le giornate d’inverno.
apostema, s. m. ascesso. Si tratta di un
termine medico, regolarmente riportato
nei dizionari della lingua italiana, di uso
non comune nemmeno tra gli addetti ai
lavori stranamente finito tra le parole dialettali.
Completamente dimenticato.
appalloccà, v. tr. appallottolare, aggomitolare.
In senso figurato due persone che
litigano e, caduti per terra vi si rotolano,
si “appalloccano”.
appasematu, agg. affannato, sofferente
di asma (pàsema) (v.)
appecennà, v. intr. provare.
appellà, v. tr. cominciare un’opera, intraprendere
un nuovo lavoro.
appennicasse, v. rifl. appisolarsi, fare la
pennichella.
appennizzicà, v. intr. attaccare, appendere,
arrampicarsi. Fil. “Pioe, pioìzzica,
la gatta s’appennizzica,
s’appennizzica pe’ le mura,
e a chi passa ci mette paura”.
appennulioni, avv. appeso, penzoloni.
In romanesco appennolone.
appetà, v. intr. riuscire a fare in tempo.
Es. “N’appeto a parà acqua” (non faccio
in tempo a raccogliere acqua).
appettata, s. f. salita molto ripida.
appezzutà, v. tr. appuntire, temperare, rendere
pizzuto, appuntito. Es. “appezzutà li
pali” (fare la punta alle canne, per poterle
infilare più agevolmente nel terreno).
appiccà, v. tr. appendere, attaccare qualcosa
perché rimanga sospesa. Il termine è
registrato nei vocabolari di italiano. Nel
Dizionario di T. De Mauro si legge alla
voce appiccare: “dalla parte di dentro
appiccano alla punta di ciascuna trave
una catena” (Machiavelli).
appiccapanni, s. m. attaccapanni. Questo
nome, durante gli anni della seconda
guerra mondiale quando il paese fu sottoposto
a pesanti bombardamenti, fu dato
dagli zagarolesi alla particolare struttura
che avevano le bombe dette “a grappolo”,
unite insieme e destinate ad esplodere in
luoghi diversi. La composizione delle
bombe e il disegno che formavano scendendo
verso terra ricordavano la forma di
un attaccapanni.
appiccasse, v. rifl. 1) cadere inciampando,
sbattere in un ostacolo. 2) impiccarsi.
Prov. “Chi ‘a pe’ ministru e non s’arricca,
pija la corda e s’appicca” (chi diventa
ministro o persona che conta e non si
arricchisce, si impicchi. Non sprecare le
tue opportunità). Cinismo allo stato puro.
appiccià, v. tr. accendere. Appicciare è un
regionalismo dell’Italia centro-meridionale.
appiccicasse, v. rifl. litigare, azzuffarsi.
Appiccicarsi è un regionalismo meridionale
con il significato di attaccar briga.
appignoccatu, agg. confezionato con i
pinoli. In alcune regioni italiane c’è la
pignoccata, un dolce a base di zucchero e
pinoli.
appilà, v. tr. otturare, ostruire.
“Gente ve pare ca nun ce ne sta; ma che
puzza! Appilateve lu nase!” (S. di
Giacomo, ‘O Fùnneco. )
appilatu, agg. otturato.
appilottà, v. tr. riempire, farcire. In italiano
appillottare è termine usato in gastronomia
per indicare la preparazione di un
ripieno.
appilozzà, v. tr. riempire un recipiente
fino alla sommità.
appizzà, 1) v. tr. tendere (le orecchie); 2)
venire, farsi vedere. Es. “A casa mea non
ci appizza mmai gniciunu” (a casa mia
non viene mai nessuno).
Con il significato di “tendere le orecchie” in
romanesco si usa il verbo “appizzutà”. “…e
appizzuta l’orecchia come un bracco”
(Mario Dell’Arco pseudonimo di Mario
Fagiolo - 1905. 1996 - La peste a Roma).
appizzutà, v. tr. appuntire, fare la punta.
appo, s. m. deformazione del vocabolo
napoletano guappo con il significato di
arrogante, bullo, elegante di un’eleganza
pacchiana e cafona.
apportasse, v. rifl. comportarsi.
appostematu, agg. guasto, andato a male
(si dice specialmente dei fichi). Aggettivo
composto di apostema (v.).
appresciasse, v. rifl. sbrigarsi, affrettarsi.
Composto di prescia (v.).
appullasse, v. rifl. addormentarsi, ritirarsi
per la notte (delle galline e di altri volatili).
Da appollaiarsi.
appullu, s. m. il posto dove gli animali,
specie la cacciagione, vanno a trascorrere
la notte. Oltre a ciò indica anche la condizione
dell’animale in stato di riposo.
Prov. “‘A a l’appullu quann’appulla la
gallina, e quanno canta lu gallu tu cammina”
(va’ a letto presto la sera e svegliati
altrettanto presto quando è mattina).
appurritu, agg. troppo maturo, sfatto.
Ricorda il vocabolo purulento.
ara, s. f. l’aia dove si battevano i cereali
per liberarli dalle impurità.
Fr. id. “jjì comme lu entu all’ara” (veloce
come il vento nell’aia).
a rauju, loc. avv. alla rinfusa, a casaccio.
arazzà, v. tr. eccitare sessualmente. In italiano
arrazzare significa far esplodere e
quindi accendere, incendiare.
arbacchiu, s. m. abbacchio, agnello
(voce antiquata, non più in uso).
àrboru, s. m. albero.
archettu, s. m. trappola per uccelli.
arcone, s. m. madia, cassone rettangolare
usato per impastare il pane e per conservare
il pane stesso, la farina e altro. Di
legno, con coperchio ribaltabile.
ardare, s. m. altare.
ardarinu, s. m. altarino. L’addobbo degli
altarini coincideva con le celebrazioni del
mese mariano che, come si sa, è il mese
di maggio. Venivano allestiti negli androni
dei portoni e ornati con i fiori di ginestra
e festoni di carta colorata appositamente
preparati. Nei vicoli del vecchio
paese si possono ancora notare delle edicole
con le immagini della Madonna
intorno a cui ci si riuniva per la recita del
rosario e di altre preghiere in onore di
Maria. L’abitudine di allestire gli altarini
cominciò a venir meno durante la seconda
guerra mondiale dato che, per effetto
dell’oscuramento, era proibito accendere
luci dopo il tramonto.
arebatte, v. intr. riuscire in tutto, essere in
grado di fare più cose contemporaneamente.
Es. “Quillu arebatte a tutto”
(quello è in grado di fare tutto, non gli
sfugge nulla).
arebbelà, v. tr. coprire con la terra, seppellire.
arebbenedì, v. tr. benedire, dare la benedizione.
arebboccà, v. tr. riempire un recipiente
fino all’orlo (una botte, un secchio, un
sacco ecc.) Rabboccare.
arebbodà, v. tr. arrotolare, avvolgere.
arebbodasse, v. rifl. indugiare, perdere
tempo.
arebbommà, v. intr. rimbombare, risuonare,
echeggiare in modo fragoroso.
arebbuttu, s. m. eccedenza, sopravanzo,
supero (specialmente dell’acqua che fuoriesce
da un recipiente o da un fosso o
canale di contenimento).
arecaccià, v. tr. 1) dare il soprannome a
qualcuno, chiamare qualcuno con il
soprannome. 2) tirare fuori qualcosa (il
vino dalla grotta, la legna dal bosco).
arecascà, v. intr. ricadere, cascare.
Fr. id. “chi sputa pe’ ll’aria, ‘n faccia ciarecasca”
(attento a ciò che dici, ti si
potrebbe rivolgere contro).
areccapezzà, v. tr. raccogliere (frutta,
panni e altro). Raccattare, racimolare,
raccapezzare.
areccognitu, agg. stordito, frastornato,
rimbecillito.
areccomannà, v. tr. raccomandare.
areccota, s. f. raccolto.
arecoerà, v. tr. ricoverare, accogliere,
alloggiare, ospitare.
arecotà, v. tr. seminare il grano sullo stesso
pezzo di terra per due anni consecutivi.
Il grano che non si coltiva più ha portato
via anche il vocabolo.
arecquistà, v. tr. riacquistare, riguadagnare.
Prov. “ Canta l’usignolu e ne canta
‘n bel versu, non s’arecquista più lu
tempu persu” (il tempo che perdi lo perdi
per sempre).
aredduce, v. tr. radunare, raccogliere,
mettere insieme. Dal lat. redùcere.
areddunà, v. tr. radunare.
areenì, v. intr. ritornare. Prov. “Jì a laorà
co’ le canne e areenì co’ le stelle” (andare
a lavorare facendosi luce con un mazzetto
di canne accese e ritornare alla luce
delle stelle). La frase tende a mettere in
evidenza il fatto che il lavoro iniziava già
prima che sorgesse il sole e terminava
molto dopo che il sole stesso era tramontato.
areescì, v. intr. riuscire, avere attitudine.
areestisse, v. rifl. rimettersi a nuovo,
indossare i vestiti della festa. Prov. “ De
Pasqua e de Natale s’areesteno le ‘illane”
(le contadine aspettano Natale e
Pasqua per indossare i loro abiti migliori).
arefà, v. tr. rifare, ripetere. Fr. id. “Sta
sempre pe’ arefà lo resto”(di persona litigiosa
che ha sempre qualcosa da ridire).
arefattu, agg. rifatto, rimediato. Fr. id.
“pedocchiu arefattu” (miserabile improvvisamente
arricchito. Che si dà arie eccessive.
Colui che, per la sua nuova condizione
di arricchito, ha dimenticato le sue
umili origini).
arefiatà, v. intr. respirare, prendere fiato.
arefiatatu, agg. rinvigorito, ristorato,
risollevato.
arefonnà, v. tr. rimettere il fondo alla
botte. Una delle tante operazioni preparatrici
della vendemmia. Fr. id. “Arefonnà
quadunu” (conciare qualcuno per le
feste).
arefutà, v. tr. rifiutare. Prov. “Quanno lu
porcu à magnato, arefuta la janna” (solo
chi è sazio rifiuta il mangiare).
aregazzà, v. tr. accumulare terra vicino
allo stelo di una pianta.
areggiustà, v. tr. rimettere a posto, sistemare.
Fr. id. “areggiustate e mettite a
postu” (tra una cosa e l’altra…)
areiempì, v. tr. riempire. Prov. “Chi
magna co’ lu cortellu, non s’areiempe lu
budellu. (colui che mangia servendosi del
coltello, non potrà mai saziarsi del tutto.
Se vuoi saziarti non andare tanto per il
sottile!)
aremette, v. tr. 1) sistemare, mettere a
posto. Es. “S’aremette” l’orologio affinché
segni l’ora esatta. 2) chiudere, mettere
dentro. La macchina nel garage.
aremmammì, v. intr. rimbambire, rincretinire,
perdere la testa.
aremmannafonni, s. m. bastone ricurvo
usato nei tinelli per rimettere a posto il
fondo della botte e sistemarlo bene nella
“crapòla” (v.). Attrezzo che rimette a
posto i fondi della botte.
aremmerzà, v. tr. piegare. Si dice soprattutto
del ferro.
aremmezzà, v. tr. sistemare le canne nella
vigna tenuta “ a campanili” (v.)
aremmiatu, agg. resuscitato, rimesso in
vita.
aremmoccà, v. tr. rovesciare, capovolgere.
Fr. id. “Aremmoccà quadunu” (far
cadere qualcuno durante una colluttazione).
aremmoccasse, v. rifl. cadere rovinosamente.
aremmorì, v. tr. spegnere.
aremmunnà, v. tr. mondare, togliere la
corteccia, sbucciare un frutto.
aremòese, v. rifl. lett. rimuoversi. Il termine
indica l’uso di una briscola di basso
valore nell’omonimo gioco di carte.
aremoìnu, s. m. briscola di basso valore.
arempònese, v. intr. andare di traverso,
avere un esito negativo, spiacevole.
aremutà, v. tr. cambiare vestito. Prov.
“De Natale s’aremutano li ‘illani, de
Pasqua Befania s’aremuta la signoria”.
(a Natale i contadini indossano i vestiti
nuovi, il signore, invece, li indosserà in
occasione della festa dell’Epifania. Solo
in tal modo lo noteranno tutti).
arencapoccià, v. intr. ammalarsi nuovamente,
avere una ricaduta.
arencappellà, v. intr. coprirsi di nuvole.
Prov. “Quann’arencappella la Faiola,
pija lu saccu e portalu a la mola” (se
nubi minacciose coprono la Faiola, prendi
il sacco del grano e portalo al mulino).
La Faiola è una località a metà strada tra
il comune di San Cesareo e quello di
Rocca Priora.
arencicciulà, v. intr. riprendere vigore
dopo un periodo di crisi. Lett. riprendere
un po’ di ciccia. In it. il verbo incicciare
vuol dire ingrassare.
arencicciulatu, agg. p.p. rinvigorito,
ritemprato, potenziato.
arengarzà, v. tr. sistemare a puntino i
vestiti che si indossano o le coperte del
letto. Rincalzare.
arengolefà, v. tr. bagnare la botte asciutta
per farne rigonfiare le doghe.
arengolefatu, agg. p.p. del legno bagnato
e gonfiato.
arengommà, v. intr. il chiudersi, il saldarsi
di una ferita o di un innesto. Da gommare,
spalmare, ricoprire di gomma.
arengrujà, v. tr. aggrovigliare, fare nodi.
arennaccià, v. tr. rattoppare, aggiustare
indumenti, vestiti.
arennecitu, agg. deperito, dimagrito.
arenneticciu, agg. che si arrende facilmente,
debole di carattere.
arennuolà, v. intr. coprirsi di nuvole,
diventare nuvoloso.
Prov. “Se arennuola sopre a la brina, se
non pioe la sera pioe la mmatina” (se il
cielo diventa nuvoloso dopo una brinata,
da un momento all’altro arriverà la pioggia).
areocà, v. intr. riprovarci. Imp. “areòcaci”(
riprovaci).
areoccognu, agg. insolente, sgarbato.
areomità, v. tr. vomitare.
areotà, v. tr. rivoltare, girare, capovolgere.
Prov. “Palestrina passa e cammina,
non t’areotà che te la faco pagà”. (se
passi dalle parti di Palestrina (v.) non ti
fermare, se solo ti giri a dare uno sguardo
te la fanno pagare).
a reòticu, loc. avv. a catinelle, a rovescio
(della pioggia).
arepassà, v. intr. pratica agricola che
segue la legatura delle viti e consiste in un
controllo più accurato dell’opera già svolta
in modo da sistemare le piante con la
vegetazione necessaria.
arepenetitu, agg. disgraziato, derelitto.
arepijàccila, v. intr. prendere le difese di
qualcuno.
arepone, v. tr. mettere da parte, riporre.
Fr. id. “jirsi arepone”, levarsi di mezzo.
areppecennà, v. intr. riprovarci. Imp.
“areppecènnaci”.
areppezza, s. m. gioco di bambini. Con
della creta si confezionava una sorta di
piatto che veniva poi sbattuto per terra
con forza tanto da provocare delle crepe
nell’oggetto. L’avversario nel gioco
doveva cercare di “rappezzare” le crepe
con la sua creta. Durante il lavoro di riparazione
si usava dire, rivolti a chi lo eseguiva,
“areppezza ssu ventre”. Bisognava
far consumare agli avversari la maggiore
quantità di creta possibile.
areppezzà, v. tr. rattoppare, riparare
panni strappati.
arescanajà, v. tr. riconoscere.
arescapà, v. tr. raccapezzare, racimolare,
mettere insieme a fatica.
arescenne, v. tr. ridiscendere, scendere.
areschiarà, v. tr. risciacquare il bucato,
rischiarare
aresponne, v. intr. rispondere. Fr. id.
“aresponne a furmini” (dare risposte
risentite e sgarbate). .
arestregne, v. tr. travasare il vino in recipienti
più piccoli. Il vocabolo non è usato
soltanto per il vino, ma per qualunque
altro prodotto che da contenitori più grandi
passi in altri più piccoli. Restringere.
aretirà, v. tr. far rientrare, tirare dentro.
Fr. id. “aretirate capocciò, che dimà so’
maccarò”(si diceva durante le fasi del
gioco del nascondino per invitare a
nascondersi meglio).
aretoccasse, v. rifl. lett. ritoccarsi, toccarsi
di nuovo. Si dice di situazioni che si
verificano senza soluzione di continuità,
con un andamento circolare per cui l’inizio
coincide con la fine in continuazione.
Es. la fame, lo freddo, lo callo, s’aretocca.
arettrajà, v. intr. non mentire, individuare
tracce di consanguineità, riconoscere
un carattere ereditato. Fr. id. “Lo sangue
arettraja” (sangue non mente, tale padre
tale figlio).
ariècchime, lett. rieccomi. Gioco di
ragazzi consistente nella formazione di
vere piramidi umane. Un giocatore, che
prendeva il nome di madre, si poneva con
le spalle al muro e intrecciava le mani, a
formare una base di appoggio. Un gruppo
di giocatori, il primo dei quali poggiava la
sua fronte sulle mani intrecciate della
“madre”, scelti con il sistema delle conte,
si sistemava in fila, a schiena ricurva e
altri si preparavano a saltarci sopra. Di
gran corsa e al grido di “ariècchime” si
balzava sul dorso dei giocatori piegati a
schiena d’asino. Quando la piramide crollava
si riprendeva il gioco a ruoli invertiti.
arigalà, v. tr. regalare.
arile, s. m. ghiro. Fr. id. “Dormì comme
’n arile”. Con diversi accomodamenti
intervenuti nel tempo potrebbe derivare
dal latino “glis-gliris” (ghiro).
aripensacce, v. intr. ripensarci.
arnellu, s. m. gonna molto lunga.
arollu, s. m. gruppo di bambini.
aroplanu, s. m. piccola bacca che cresce
in formazioni simili ad aerei.
arrajatu, agg. affamato.
arramà, v. tr. irrorare con il solfato di
rame.
arramatu, agg. p.p. irrorato con il solfato
di rame. Di solito si riferisce alla vigna.
arrancatu, agg. stanco morto, che arranca,
che ha i crampi.
arrancinatu, agg. raggrinzito, rattrappito,
avvizzito. In particolare si riferisce
all’uva.
arrarinatu, agg. danneggiato dalla grandine.
arrecannatu, agg. circondato di canne.
arrecchjtu, agg, attentissimo, con le
orecchie tese.
arriccà, v, tr. arricchire.
arriccasse, v. rifl. arricchirsi.
Prov. “Chi sta co’ lu principe e non s’arricca,
pija la forca e se va a ‘mpicca” (chi
non sa approfittare delle ricchezze del
padrone è meglio che vada ad impiccarsi).
arrignà, v. tr. digrignare (i denti). Fare
smorfie con il viso come in conseguenza
di uno sforzo prolungato.
arrizzà, v. tr. alzare, sollevare.
arrizzasse, v. rifl. alzarsi.
arrobbà, v. tr. rubare.
arroganatu, agg. rauco, affetto da raucedine.
arronzà, v. tr. eseguire un lavoro senza
alcuna precisione. Arronzare è un regionalismo
centro-meridionale.
arrota, escl. crepa!
arrotino, s. m. si diceva del vino con bassissimo
contenuto alcolico, buono per
l’arrotino, molto più simile all’acqua che
al vino.
arte, s. f. nome generico con cui si intendono
tutti i mestieri e tutte le operazioni
necessarie per tenere in ordine un vigneto.
arruinà, v. tr. rovinare, danneggiare,
mandare in rovina. Prov. “Pallaicini,
Pallaicini, li ‘ecchi l’ammazzi e li giòani
l’arruini” (la contrada Pallavicini è tanto
lontana dal paese che accorcia la vita agli
anziani e la rovina ai giovani).
arullu, s. m. il seme contenuto nel chicco
dell’uva. Vinacciolo.
àrvora, s. f. valvola.
arzasse a culu rittu, fr. id. lett. alzarsi
con il culo all’insù. Essere litigioso e
pronto all’alterco già di primo mattino,
appena alzato.
’arzone, s. m. operaio salariato fisso,
l’uomo di fiducia del padrone. Garzone.
a scelloni, loc. avv. sbandando, zigzagando.
ascellu, s. m. attrezzo. “L’ascelli” sono
l’insieme dei recipienti di legno in dotazione
del tinello, indispensabili per tutto il
ciclo della lavorazione dell’uva e del vino.
àschia, s. f. uovo di pidocchio, lendine.
’ascona, s. f. vasca grande.
’ascone, s. m. grande vasca, il lavatoio
coperto da fogli di lamiera ondulata situato
alle pendici di Colle Barco e demolito
per far posto ad un supermercato.
àspidu sordu, s. m. l’ultimo nato della
vipera. Si favoleggia che il serpente nato
dall’ultimo uovo deposto sia il più
aggressivo e il più velenoso. Temuto dalla
sua stessa madre.
assajà, v. tr. assaggiare.
assamà, v. intr. sciamare, costituire uno
sciame.
assamu, s. m. sciame.
assemà, v. tr. 1) mettere insieme (come
assemblare). 2) pigiare l’uva nella bigoncia
per aumentarne la portata.
assettasse, v. rifl. sedersi. Assettarsi è un
regionalismo meridionale.
assisu, agg. seduto. p.p. di assidersi. Fr.
id. “Se pioe e sta assisu, te s’enfonne lu
culu” (se quando piove stai seduto per
terra ti si bagna il sedere. Di qualcosa di
assolutamente normale e inevitabile).
Associazione artistico-culturale “Pittori
di Zagarolo”, nata come scuola di pittura
nel 1983 per iniziativa dell’Amministrazione
comunale e collocata all’interno
delle attività culturali che si tenevano a
Palazzo Rospigliosi, si è trasformata successivamente
nell’attuale Associazione
con regolare statuto. Anima della scuola
prima e dell’Associazione adesso è il
prof. Giuseppe Serra. (v.) Gli associati
sono persone appassionate di pittura che
ogni anno espongono in una mostra i
risultati, spesso apprezzabili, del loro
lavoro e della loro passione.
assogna, s. f. sugna, grasso del maiale
usato un tempo in cucina al posto dell’olio.
Era usato anche per lubrificare e
ammorbidire gli scarponi da campagna
che altrimenti si indurivano fino a diventare
inutilizzabili.
assorve, v. tr. assolvere. Prov. “Chi tè lu
commedu e nun se ne serve, nun c’è confessore
che l’assorve” (assolutamente
imperdonabile è colui che pur disponendo
di propri beni non li utilizza).
assuccamani, s. m. asciugamano, strofinaccio
da cucina (assuccamani de lu
chiodu).
Assunta (festa dell’), s. f. festività religiosa
che il calendario celebra il 15 di
agosto. Il giorno prima, la gente accendeva
dei lumi che venivano collocati sui
davanzali delle finestre e, disseminate per
tutta la campagna, si accendevano delle
grandi croci. L’usanza è stata disattesa
ormai da molti anni.
Atletica, società sportiva che per alcuni
anni ha svolto una funzione importante
nel panorama dello sport zagarolese in
quanto ha avviato molti ragazzi alla pratica
sportiva aiutandoli a crescere. Gli anni
in questione sono quelli che partono dai
primi ’80 e fino ai primi ’90. Una decina
in tutto. Negli anni d’oro si contarono
quasi duecento tesserati. A livello dirigenziale
si distinsero i signori Elio
Mastrangeli, già sindaco di Zagarolo e il
signor Carlo Frati. Il settore tecnico fu
guidato dai tecnici nazionali Bernardo
Donfrancesco e Fausto Passeri. Numerosi
gli allori conquistati in tutte le categorie e
in tutte le specialità: velocità, mezzofondo
e fondo, a livello provinciale, regionale e
anche nazionale.
a trocci, loc. avv. a pezzi, un po’ per
volta. Fr. id. “magnà a trocci e mocconi”.
a trottu battutu, loc. avv. di gran carriera,
a tutta corsa.
atru, agg. pr. indef. altro.
attaccà, v. tr. 1) attaccare, legare. Fr. id.
“attaccà lu buzzicu”, lett. attaccare il
barattolo, in realtà vuol dire schernire e
dileggiare pesantemente qualcuno. Si
usava una volta legare alla coda dei cani
un barattolo, il cane poi veniva aizzato
dagli schiamazzi. Il rumore provocato dal
barattolo induceva il cane a correre sempre
di più. 2) cominciare, dare inizio.
Anche in italiano è frequente la frase
“attaccare una canzone, un lavoro, una
giornata ecc.”
attaccà appresso, v. intr. legare i tralci
della vite alle canne o ai fili di ferro.
attediu, s. m. ansia, preoccupazione. Da
tedio.
atterzà v. intr. restringere, diminuire di
volume. Del sugo o del brodo. Il poco
usato verbo italiano atterzare significa
ridurre di un terzo o anche superare la
terza parte. Nel Dizionario De Mauro si
legge questo esempio “già eran quasi che
atterzate l’ore / del tempo che onne stella
n’è lucente” (Dante).
atterzatu, agg. consumato, ristretto.
attonnà, v. tr. dare forma rotonda a qualcosa.
attoppacciu, s. m tappo malandato, consunto.
attorratu, agg. ricoperto di zucchero
(fichi, mandorle).
attrippà, v. tr. saziare. Rifl. attrippasse.
Prov. “Chi magna da solu se strozza, chi
magna ’n compagnia non s’attrippa”
(colui che mangia senza offrire nulla agli
altri rischia di strozzarsi, chi invece mangia
in compagnia difficilmente si sazierà).
attufà, v. tr. stufare, cuocere in una pentola
o in un tegame, specie di verdure.
attufatu, agg. cotto, ripassato in padella.
Più o meno equivale all’italiano stufato.
a tuttu buzzicu, loc. avv. al massimo, a
tutto volume.
a tuttu ittu, loc. avv. l’espressione in uso
nel mondo contadino veniva usata per
indicare un particolare rapporto di lavoro
in virtù del quale il prestatore d’opera non
percepiva denaro ma soltanto il vitto e
l’alloggio per tutto il periodo pattuito.
Lett. a tutto vitto.
aussà, v. intr. abbaiare.
auzzà, v. tr. sollevare, tirare su.
auzzu, agg. vispo, arzillo.
a viale, loc. avv. a confine, proprietà
separate solo da un filare di viti. In senso
fig. stare a viale significa essere vicini di
casa.
avventatu, agg. affetto da bolsaggine
(grave malattia degli animali, specie del
cavallo, che colpisce l’apparato respiratorio).
Bolso.
azzà, v. tr. alzare.
Prov. “Tramontana,
a le femmine ci dà pena
e ci azza la sottana”.
azzeccà, v. tr. salire.
azzinnà, v. tr. attaccare il lattante al seno
materno (zinna). Nella forma riflessiva e
in senso scherzoso “azzinnasse” significa
attaccarsi al fiasco del vino.
azzittà, v. tr. zittire.
azzittasse, v. rifl. tacere, azzittirsi.