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Michele Lacetera Persone Storie Parole IntraText CT - Lettura del testo |
Frasi idiomatiche - 2
’Gni vecchiu ‘n s’arecorda Pasqua, lett.
i vecchi non ricordano la Pasqua, laddove
la ricorrenza religiosa rievoca la giovinezza.
I vecchi spesso dimenticano di
essere stati giovani e di conseguenza si
rivelano troppo severi e poco disposti a
perdonare le sventatezze dei giovani.
Grezzu comme lo piommo, di persona
poco gentile, dai modi volgari.
Ha cantato deggià lu porcu, la battuta,
che sa di rimprovero, è rivolta a chi indugia
molto a intraprendere la giornata lavorativa.
(V)igna mea, olìa de papà, castagnu de
nonnu, ogni piantagione richiede i suoi
tempi: la vigna può godersela chi la pianta,
l’ulivo deve averlo piantato il padre e
il castagno addirittura il nonno.
I’ po’, guarda un po’: Espressione di
meraviglia.
Jì a bommardu, andare a scatafascio,
andare in rovina.
Jì a ’mparà lu credo a l’apostuli, presumere
di insegnare qualcosa a chi ne sa più di te.
Jì cerchenno ’na sega da giru oppure Jì
cerchenno Ceccu pe’ l’ordicara, hanno
ambedue il medesimo significato che è
quello di andare per punti, andare cercando
rogna. Uno che cerca una sega da giro
cerca qualcosa di inesistente e perciò stesso
provoca irritazione e fastidio. Chi, invece,
cerca Cecco per l’ordicara (v.), si infila
tra le ortiche che, come è noto, provocano
infiammazione e problemi sulla pelle.
Jì ’nnopera, lavorare a giornata per conto
di altri.
Jì pe’ lena, lett. andare a cercare legna.
Andare in giro perdendo tempo senza
nulla concludere.
Jì pe’ punti, cercare pretesti per passare
dal torto alla ragione.
Jì pe’ tetti, non avere via di scampo.
Jottu, bruttu e mardiotu, ghiotto, brutto
e senza Dio. A persona capace di combinarne
di tutti i colori.
L’acqua fa lo fume, ne viene giù tanta,
temporale furioso.
La Domenica de le mmerenne, la Domenica
in Albis, quella successiva a Pasqua,
detta così per la consuetudine di andare in
campagna a consumare il pranzo.
La fame fa li fochi, la fame è tanta, non
c’è nulla da mangiare.
La morte che (v)a pe’ u(v)a, la morte
che va per uva è la mantide religiosa, l’insetto
simile ad una cavalletta dal corpo
snello e allungato. Si dice di persona che
in stato di evidente agitazione è all’affannosa
ricerca di qualcuno o qualcosa.
La(v)orà comme ’n cane attaccatu, di
chi non ha alcuna voglia di lavorare.
La otti canta (e anche “la càula canta”),
indica il tipico gorgoglio che annunzia
che il vino sta per finire. La botte è ormai
quasi vuota.
L’aria à rendorgito, la temperatura si è
fatta più dolce, non fa più tanto freddo.
Lassà la (v)igna ’n sodo, abbandonare la
vigna, non coltivarla, lasciare il terreno
incolto.
La Zeppa e Lu Chiodu, i nomi di due
bande musicali che anni fa operavano a
Zagarolo. Bande rinomate, chiamate ad
esibirsi anche a Roma, presenti in alcuni
concorsi nazionali. In anni più recenti l’esperienza
della banda locale si è rinnovata,
ma solo per poco.
Li recagni: se pio(v)e so’ danni, era consuetudine
tra i contadini scambiarsi giornate
di lavoro per aiutarsi a portare avanti
le necessarie pratiche agricole. Era “lu
recagnu”. La frase esprime il rammarico
di chi deve ricevere l’aiuto nel lavoro in
un giorno di pioggia, circostanza che metteva
a rischio la conduzione del lavoro
programmato.
Lo pa’ de ’n giornu, lo ino de ’n annu,
per essere buoni il pane deve essere di
giornata e il vino di almeno un anno.
Madre mea, madre mia, comunissimo
intercalare usato anche senza un particolare
stato d’animo.
Magnà a cottimu, mangiare senza sosta,
quasi a finire un lavoro preso a cottimo.
Magnasse le fascinelle, parlare, esprimersi
con un linguaggio ricercato dandosi
arie di persona acculturata.
Mannà ’n puzza, provocare risentimento,
fare arrabbiare.
Mette ’na zèppula, parlare male di qualcuno,
dire una maldicenza, una cattiveria.
Mette ’n faccia, intestare, con regolare
atto notarile, un bene come case, terreni
ecc. Un regolare passaggio di proprietà.
Mettese la coda de lu somaru, lett. indossare
la coda dell’asino. La frase viene
rivolta, come una critica, alla donna che,
per apparire bella e comunque per farsi
notare, indossa di tutto non badando affatto
alle esagerazioni. Esiste una variante del
detto che sostituisce la coda con “lu pèndulu”,
laddove il pendolo è manifestamente
l’organo sessuale del somaro.
’Mpicci e ’mbroji, serie di oggetti messi
insieme a casaccio, alla rinfusa.
Muccu de pippa, insolente, sfacciato,
spudorato.
’Na bbona fatta de…una bella quantità di…
Non ci sse po toccà lu culu manco co’ ’na
pertica, meglio stargli alla larga, è tanto
permaloso da non consentire nessun tipo di
confidenza, manco a debita distanza.
Non lassà quadunu de pedata, tenere
qualcuno sempre sotto tiro, non perderlo
mai di vista.
Nonnu ’n carozza, si dice ai bambini per
intendere il rumore del tuono, simile a
quello prodotto dalle carrozze che si muovevano
sulle strade acciottolate.
Non sa né de mi, né de ti, non sa di niente,
non ha alcun sapore, è insignificante.
Non se scerne ’n apostolu, è buio pesto,
non si vede assolutamente nulla.
Non so’ pedi da stuali, lett. non sono
piedi da stivali. Se fino a ieri ti sei comportato
in un certo modo, non cambiare
improvvisamente abitudini. Fa’ le cose
che si confanno al tuo modo di essere.
Non cercare di diventare un’altra persona.
Non te pijà ssi sciatti, non impicciarti di
queste faccende, non son cose che ti
riguardano.
Occa d’ìnfari, bocca d’inferno, irrefrenabile
nel dire cattiverie e maldicenze.
Occhia po’, guarda un po’.
Osse e terenosse, si riferisce a commensali
avidi che hanno letteralmente divorato
quanto era imbandito senza lasciare nulla
sulla tavola. Curiosamente questa espressione
deriva dalla deformazione di una
frase latina contenuta nel Pater noster: da
et ne nos inducas in tentationem.
Ostio! espressione di meraviglia e di stupore.
Parlà quanto ’na trònita de marzu,
brontolare quanto il tuono nel mese di
marzo. Per incorreggibili chiacchieroni.
Partì ’n tromba, agitarsi, muoversi velocemente
come lo squillo improvviso di
una tromba.
Passà de longu, passare velocemente,
tirare dritto.
Pettine a tredici, accessorio del telaio, pettine
a tredici denti. Veniva evocato dinanzi
a capigliature arruffate e inestricabili.
Pijà d’aceto, adombrarsi, aversela a
male, risentirsi, seccarsi.
Pijarla a pettu, iniziare un lavoro dispiegando
il massimo dell’energia disponibile,
impegnarsi al massimo.
Pizzabiocca, questa espressione veniva
usata nel gioco del nascondino allorchè un
giocatore veniva scambiato per un altro.
(continua)