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Michele Lacetera Persone Storie Parole IntraText CT - Lettura del testo |
Frasi idiomatiche - 3
Pedalini co’ la staffa: calzini con il rinforzo.
Di una ragazza esperta in lavori
domestici come usare i ferri da calza e
l’uncinetto si diceva, per vantarne i pregi,
che “sapea fa’ li pedalini co’ la staffa”.
Portà la mmerenna a le galline: dar da
mangiare alle galline nelle ore pomeridiane.
Quann’a galli e quann’a grilli: i galli
sono sinonimo di abbondanza, i grilli di
miseria. Nella vita capita di tutto e ci sono
periodi floridi che si alternano con quelli
meno floridi. Una variante di questo
modo di dire mette i tordi al posto dei
galli. Il senso non cambia.
Quann’a unu cià mozzicato la (v)ipera
tè paura puro de la ucerdula: chi ha
attraversato brutti momenti nella vita
resta tanto spaventato che si allarma per
niente, anche in circostanze assolutamente
tranquille. Un altro modo di dire simile
è “L’acqua fredda me coce”.
Qua lu (v)entu ci fa (o ci po): qui il
vento si infila con forza. Al posto del
vento si può mettere anche l’acqua.
Quanno lu porcu à magnato arefuta la
janna: chi è sazio rifiuta anche ciò che
più gli piace.
Quarantacinque cani nati sordi: sono i
cognomi più diffusi a Zagarolo appartenenti
ad antiche famiglie: i Quaranta, i
Cinque, i Cani, i Nati e i Sordi. Ci sono
ancora tutti e ancora abbastanza diffusi
tranne i Cinque dei quali s’è perduta ogni
traccia. Qualcuno, ma sembra una pura
invenzione, ai cani nati sordi aggiunge i
Muti per rendere ancora più scherzosa
l’espressione originale.
Quilli doa se parlano: tra quei due, una
ragazza e un ragazzo, è scoppiata una
scintilla al punto tale…che si parlano. È
bella l’espressione si parlano, una esaltazione
della parola, tramite del sentimento
che legava i forse futuri sposi.
Quillu no’ lu orria manco pe’ fratt’all’ortu:
esprime la totale disistima per una
persona con la quale non si intende avere
alcun tipo di rappoprto.
Quillu se la pretenne: è pieno di boria, si
dà troppe arie.
Quillu tè le felime a lu nasu: ha doppio
significato. 1) persona in preda ad una
irrefrenabile ira. 2) persona assai magra e
fisicamente deperita. Difficile spiegare il
significato dell’espressione qualora si
consideri che per “felime” si intende la
fuliggine.
Raffreddore a commugnone: raffreddori
a catena.
Ronna ronna: (camminare) rasente al
muro.
Se le raccia teneriano la paura dell’occhi,
non faristi mai gnente: quando ci si
rende conto di dover portare a termine un
lavoro che richiede un serio impegno gli
occhi si spaventano nel vedere la grande
mole di lavoro da svolgere. Ciò non accade
alle braccia che non si lasciano scoraggiare
e con pazienza e determinazione
portano a buon fine il lavoro.
Schioppa sempre lu cerchiu cattìu:
quando ci si impegna in un’impresa il
primo a cedere è il più debole, come ad
una botte si spezza il cerchio più malandato.
So’ (v)enutu pe’ l’annu no(v)u: sono
venuto per l’anno nuovo. Lo dicevano i
bambini in visita di auguri ai parenti in
occasione della fine dell’anno. I bambini
non andavano via a mani vuote. I nonni,
gli zii erano generosi e riempivano le loro
tasche con dolcetti fatti in casa, mandarini,
noci e fichi secchi. Il pacco - dono
costituiva “lu zoffiu” (v.).
So’ fenite le messe a San Gregorio: il
detto più che zagarolese è romanesco.
Presso la chiesa di S. Gregorio al Celio, a
Roma, si celebrava all’una del pomeriggio
la messa destinata alla persone pigre.
Quando pure quella era stata celebrata
non ce n’era più nessuna in tutta Roma.
Non ci sono più occasioni utili, i giochi
sono fatti, non c’è altro da fare.
So’ fenite le noci a Batocco: è finito il
tempo dell’abbondanza, è arrivata la carestia.
Batocco possedeva interi magazzini
colmi di noci. Con il trascorrere degli
anni e diminuendo la produzione di noci
in tutta la zona, anche i magazzini di
Batocco si svuotarono e, se erano finite
pure lì, era segno che erano finite proprio
dappertutto.
Somari ’mpastorati: ignoranti in maniera
impressionante.
Sonà quadunu comme se sona a predica:
picchiare qualcuno di santa ragione,
con la stessa forza con cui si suonano le
campane per invitare i fedeli alla predica
in chiesa.
Sparagnasse la moje a lu lettu e fàssela
fregà pe’ le macchie: al significato letterale
facilmente intuibile c’è da aggiungere
quello figurato che esprime il rammarico
di chi fa tanto per riservare qualcosa
soltanto a sé stesso e non si rende conto
che qualcuno, invece, ne ha approfittato.
Sperticonenno: andando a zonzo, di qua
e di là. Forma gerundiva dell’ormai
dimenticato “sperticonà”.
Squajasse comme ’n Cristo de ne(v)e: il
detto ha questa origine.
Gli abitanti di Capranica prenestina,
paese arroccato a 800 metri di altitudine,
a circa 15 Km da Z. erano disperati perché
la neve che cadeva sempre in abbondanza
finiva per sciogliersi senza lasciare
alcuna traccia. Come fare per conservarne
almeno un po’? Il parroco, interpellato,
emise questo responso: si modelli una
statua di Cristo con la neve e, per una sua
migliore conservazione, la si metta per
qualche minuto in un forno acceso. Detto,
fatto. Il fornaio si prestò alla burla. Al
controllo effettuato dopo il tempo concordato
e alla vista di quanto era inevitabilmente
sussesso il fornaio tra il serio e lo
scherzoso affermò: “A’ fatto ’na pisciatina
e se n’è jitu” (ha fatto la pipì ed è
andato via).
Staccà lu muccu a… avere una fortissima
somiglianza con qualcuno.
Es. “Ssu bardassa à staccato lu muccu a
lu padre” (questo ragazzo è la copia perfetta
di suo padre).
Staccasse ‘n vestitu: acquistare la stoffa
per un vestito.
Stasse a rebbodà: rivoltarsi da una parte
all’altra perdendo tempo.
Tené la pagnotta a lu fornu: essere
incinta.
Tené le ’nfrelle: essere indaffaratissimo,
sbattere da una parte all’altra senza un
attimo di tregua.
Tené lo pa’ a cresce: avere ancora figlie
femmine da sposare. Avere ancora la testa
piena di pensieri e di preoccupazioni.
Tené lo sangue de li cimici: essere senza
cuore, insensibile ai bisogni o alle disgrazie
altrui.
Tené lu muccu comme li scanzarote:
avere una incredibile faccia tosta. “scanzarote”
(v.).
Tené lu (v)iziu de li zagarolesi: avere
l’abitudine di lasciare qualcosa nel piatto
dove si è mangiato. Non si voleva dare
l’impressione di essere affamati e ingordi
ed era anche una maniera di mostrarsi
rispettosi degli altri commensali. Così si
comportavano gli zagarolesi di una volta.
Tené mille lèperi pe’ la coda: avere mille
pensieri e mille cose a cui badare. Essere
nell’imbarazzo della scelta.
Tené ’na fame a cénto: avere fame da
lupo.
Tené ’na occa comme porta ìnfari:
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avere una bocca enorme, come quella dell’inferno.
Di chi mangia esageratamente o
parla ininterrottamente.
Toccu qua, toccu là: fermo, non toccare
nulla.
Tostu comme lu bussu: durissimno
come il legno del bosso.
Tristu lu sòrici che tè ’n buciu solu: disgraziato
colui che ha una sola opportunità
nella vita e non ha la possibilità di fare
altre scelte.
Ventinoi li passa e a trenta non ci
arri(v)a: si dice del mese lunare che
secondo il metodo contadino di “areccoje
la patta”(v.) conta più di ventinove giorni
e meno di trenta.
Verde comme ’n ràganu: verde come un
ramarro. Di frutta non matura o di persona
dal colorito non rassicurante.
Zicchià comme ’n mulu: tirare calci
come un mulo, essere irrequieto.
Zizì e Pupazzella: persone rimaste sole.
Zombà comme lu lèpere a le sarze fine:
camminare saltellando.