Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Michele Lacetera
Persone Storie Parole

IntraText CT - Lettura del testo

Precedente - Successivo

Clicca qui per attivare i link alle concordanze

- 114 -


Frasi idiomatiche - 3

Pedalini co’ la staffa: calzini con il rinforzo.

Di una ragazza esperta in lavori

domestici come usare i ferri da calza e

l’uncinetto si diceva, per vantarne i pregi,

che “sapea fa’ li pedalini co’ la staffa”.

Portà la mmerenna a le galline: dar da

mangiare alle galline nelle ore pomeridiane.

Quann’a galli e quann’a grilli: i galli

sono sinonimo di abbondanza, i grilli di

miseria. Nella vita capita di tutto e ci sono

periodi floridi che si alternano con quelli

meno floridi. Una variante di questo

modo di dire mette i tordi al posto dei

galli. Il senso non cambia.

Quann’a unu cià mozzicato la (v)ipera

tè paura puro de la ucerdula: chi ha

attraversato brutti momenti nella vita

resta tanto spaventato che si allarma per

niente, anche in circostanze assolutamente

tranquille. Un altro modo di dire simile

è “L’acqua fredda me coce”.

Qua lu (v)entu ci fa (o ci po): qui il

vento si infila con forza. Al posto del

vento si può mettere anche l’acqua.

Quanno lu porcu à magnato arefuta la

janna: chi è sazio rifiuta anche ciò che

più gli piace.

Quarantacinque cani nati sordi: sono i

cognomi più diffusi a Zagarolo appartenenti

ad antiche famiglie: i Quaranta, i

Cinque, i Cani, i Nati e i Sordi. Ci sono

ancora tutti e ancora abbastanza diffusi

tranne i Cinque dei quali s’è perduta ogni

traccia. Qualcuno, ma sembra una pura

invenzione, ai cani nati sordi aggiunge i

Muti per rendere ancora più scherzosa

l’espressione originale.

Quilli doa se parlano: tra quei due, una

ragazza e un ragazzo, è scoppiata una

scintilla al punto tale…che si parlano. È

bella l’espressione si parlano, una esaltazione

della parola, tramite del sentimento

che legava i forse futuri sposi.

Quillu no’ lu orria manco pe’ fratt’all’ortu:

esprime la totale disistima per una

persona con la quale non si intende avere

alcun tipo di rappoprto.

Quillu se la pretenne: è pieno di boria, si

dà troppe arie.

Quillu tè le felime a lu nasu: ha doppio

significato. 1) persona in preda ad una

irrefrenabile ira. 2) persona assai magra e

fisicamente deperita. Difficile spiegare il

significato dell’espressione qualora si

consideri che per “felime” si intende la

fuliggine.

Raffreddore a commugnone: raffreddori

a catena.

Ronna ronna: (camminare) rasente al

muro.

Se le raccia teneriano la paura dell’occhi,

non faristi mai gnente: quando ci si

rende conto di dover portare a termine un

lavoro che richiede un serio impegno gli

occhi si spaventano nel vedere la grande

mole di lavoro da svolgere. Ciò non accade

alle braccia che non si lasciano scoraggiare

e con pazienza e determinazione

portano a buon fine il lavoro.

Schioppa sempre lu cerchiu cattìu:

quando ci si impegna in un’impresa il

primo a cedere è il più debole, come ad

una botte si spezza il cerchio più malandato.

So’ (v)enutu pe’ l’annu no(v)u: sono

venuto per l’anno nuovo. Lo dicevano i

bambini in visita di auguri ai parenti in

occasione della fine dell’anno. I bambini

non andavano via a mani vuote. I nonni,

gli zii erano generosi e riempivano le loro

tasche con dolcetti fatti in casa, mandarini,

noci e fichi secchi. Il pacco - dono


- 115 -


costituiva “lu zoffiu” (v.).

So’ fenite le messe a San Gregorio: il

detto più che zagarolese è romanesco.

Presso la chiesa di S. Gregorio al Celio, a

Roma, si celebrava all’una del pomeriggio

la messa destinata alla persone pigre.

Quando pure quella era stata celebrata

non ce n’era più nessuna in tutta Roma.

Non ci sono più occasioni utili, i giochi

sono fatti, non c’è altro da fare.

So’ fenite le noci a Batocco: è finito il

tempo dell’abbondanza, è arrivata la carestia.

Batocco possedeva interi magazzini

colmi di noci. Con il trascorrere degli

anni e diminuendo la produzione di noci

in tutta la zona, anche i magazzini di

Batocco si svuotarono e, se erano finite

pure lì, era segno che erano finite proprio

dappertutto.

Somari ’mpastorati: ignoranti in maniera

impressionante.

Sonà quadunu comme se sona a predica:

picchiare qualcuno di santa ragione,

con la stessa forza con cui si suonano le

campane per invitare i fedeli alla predica

in chiesa.

Sparagnasse la moje a lu lettu e fàssela

fregà pe’ le macchie: al significato letterale

facilmente intuibile c’è da aggiungere

quello figurato che esprime il rammarico

di chi fa tanto per riservare qualcosa

soltanto a sé stesso e non si rende conto

che qualcuno, invece, ne ha approfittato.

Sperticonenno: andando a zonzo, di qua

e di là. Forma gerundiva dell’ormai

dimenticato “sperticonà”.

Squajasse comme ’n Cristo de ne(v)e: il

detto ha questa origine.

Gli abitanti di Capranica prenestina,

paese arroccato a 800 metri di altitudine,

a circa 15 Km da Z. erano disperati perché

la neve che cadeva sempre in abbondanza

finiva per sciogliersi senza lasciare

alcuna traccia. Come fare per conservarne

almeno un po’? Il parroco, interpellato,

emise questo responso: si modelli una

statua di Cristo con la neve e, per una sua

migliore conservazione, la si metta per

qualche minuto in un forno acceso. Detto,

fatto. Il fornaio si prestò alla burla. Al

controllo effettuato dopo il tempo concordato

e alla vista di quanto era inevitabilmente

sussesso il fornaio tra il serio e lo

scherzoso affermò: “A’ fatto ’na pisciatina

e se n’è jitu” (ha fatto la pipì ed è

andato via).

Staccà lu muccu a… avere una fortissima

somiglianza con qualcuno.

Es. “Ssu bardassa à staccato lu muccu a

lu padre” (questo ragazzo è la copia perfetta

di suo padre).

Staccasse ‘n vestitu: acquistare la stoffa

per un vestito.

Stasse a rebbodà: rivoltarsi da una parte

all’altra perdendo tempo.

Tené la pagnotta a lu fornu: essere

incinta.

Tené le ’nfrelle: essere indaffaratissimo,

sbattere da una parte all’altra senza un

attimo di tregua.

Tené lo pa’ a cresce: avere ancora figlie

femmine da sposare. Avere ancora la testa

piena di pensieri e di preoccupazioni.

Tené lo sangue de li cimici: essere senza

cuore, insensibile ai bisogni o alle disgrazie

altrui.

Tené lu muccu comme li scanzarote:

avere una incredibile faccia tosta. “scanzarote”

(v.).

Tené lu (v)iziu de li zagarolesi: avere

l’abitudine di lasciare qualcosa nel piatto

dove si è mangiato. Non si voleva dare

l’impressione di essere affamati e ingordi

ed era anche una maniera di mostrarsi

rispettosi degli altri commensali. Così si

comportavano gli zagarolesi di una volta.

Tené mille lèperi pe’ la coda: avere mille

pensieri e mille cose a cui badare. Essere

nell’imbarazzo della scelta.

Tené ’na fame a cénto: avere fame da

lupo.

Tené ’na occa comme porta ìnfari:

115

avere una bocca enorme, come quella dell’inferno.

Di chi mangia esageratamente o

parla ininterrottamente.

Toccu qua, toccu là: fermo, non toccare

nulla.

Tostu comme lu bussu: durissimno

come il legno del bosso.

Tristu lu sòrici che tè ’n buciu solu: disgraziato

colui che ha una sola opportunità

nella vita e non ha la possibilità di fare

altre scelte.

Ventinoi li passa e a trenta non ci

arri(v)a: si dice del mese lunare che

secondo il metodo contadino di “areccoje

la patta”(v.) conta più di ventinove giorni

e meno di trenta.

Verde comme ’n ràganu: verde come un

ramarro. Di frutta non matura o di persona

dal colorito non rassicurante.

Zicchià comme ’n mulu: tirare calci

come un mulo, essere irrequieto.

Zizì e Pupazzella: persone rimaste sole.

Zombà comme lu lèpere a le sarze fine:

camminare saltellando.




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License