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Michele Lacetera
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T

 

“ Me ne accorgo ora, mentre accordo la

chitarra del dialetto, che perde una

corda al giorno. (Ignazio Buttitta)

tabacchina, s. f. lavoratrice presso la

manifattura dei tabacchi.

Grande importanza ha avuto negli anni

trascorsi, dagli anni Trenta del Novecento

fino al 1970, il lavoro della tabacchina.

Funzionò a Z. un vero e proprio opificio

situato nei pressi della stazione delle ferrovie

dello stato. L’iniziativa industriale

fu avviata e gestita dagli imprenditori

marchigiani Lamberto e Luigi Donati,

originari di Mercatello sul Metauro in

provincia di Pesaro.

La manodopera era esclusivamente femminile

e il lavoro consisteva nel selezionare

le foglie del tabacco e dividerle

secondo la qualità. Le operaie, che raggiunsero

il numero di 200, venivano

addestrate da altre donne che avevano

acquisito una certa esperienza chiamate

“le maestre”. Lavorare e assumere la qualifica

di tabacchina era un privilegio e,

per quanto le condizioni di lavoro non

fossero le migliori e il salario fosse modesto,

le tabacchine erano invidiate perché

portavano a casa la paga sicura tutti i

mesi. Non bisognava sottostare ai capricci

del tempo che, o per una rovinosa grandinata

o per un lungo periodo di siccità o

per altri accidenti naturali poteva vanificare

un intero anno di fatiche. Il tabacco

solo in minima parte veniva prodotto

nelle campagne zagarolesi. Proveniva da

alcuni paesi vicini e dalle campagne del

viterbese. Alla selezione delle foglie e

alla loro classificazione facevano seguito

il processo di essiccazione e l’invio, attraverso

la ferrovia, alla manifattura dove il

tabacco, ulteriormente lavorato, veniva

trasformato in sigari e sigarette. Un devastante

incendio, la cui natura non fu mai

accertata fino in fondo, arrecò gravissimi

danni alla struttura e mise a rischio il

lavoro per gli anni successivi. L’incendio

avvenne nel 1939.

Una interessante mostra fotografica, curata

dall’Associazione “Sinergie” (v.) ha

illustrato il lavoro delle tabacchine e ha

riportato all’attenzione dei giovani una

pagina importante della vita lavorativa

della comunità zagarolese. La stessa

Associazione ha curato la pubblicazione

di un pregevole volume dal titolo

“Tabacchine, sviluppo del territorio ed

emancipazione. Zagarolo, 1930. 1970” di

Maura Borzi e Antonella Della Bella che

traccia un’esauriente storia della vicenda

lavorativa legata all’esperienza delle

lavoratrici del tabacco.

tacch’e tira, s. m. corteggiatore, fidanzato.

A Roma la stessa espressione significa

nulla, niente.

tàfanu, s. m. pianta erbacea rampicante

con fusti lunghi fino a tre metri, commestibile.

I frutti sono bacche ovoidali lucide,

rosse a maturazione. Sono irritanti per

l’apparato gastrointestinale. Li mangiano

i merli. Fig. sciocco, persona poco avveduta.

tanfettanu, agg. che sa di tanfo, di muffa.

Del vino che per difetto di cure ha preso

sapori sgradevoli.

tappaculu, s. m. fregatura, inganno.

tarpànu, s. m. rozzo, irsuto, selvatico.

Tartaruga volante, associazione culturale

fondata nell’anno 2000. Si è distinta

nell’organizzazione e nell’attuazione delle

serate cinematografiche estive nell’ambito


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dell’Estate di Palazzo Rospigliosi. Ha

promosso periodicamente raccolte di

fondi a favore di enti benefici e di organizzazioni

umanitarie.

tascapà, s. m. tasca per il pane, tascapane.

tasciu, s. m. tasso. Fig. sprovveduto,

sconsiderato.

tata, s. m. babbo, padre. Voce del linguaggio

infantile.

tavanu, s. m. insetto le cui punture provocano

fastidiosi gonfiori. Tàfano.

tavola, s. f. unità di misura di superficie

in uso prima dell’adozione del sistema

metrico decimale ed equivalente a 1.000

mq. Era in uso in molte regioni italiane

con valori diversi.

tavola a scroccu, s. f. tavolo rettangolare

allungabile, che fa lo scrocchio.

tega, s. f. baccello delle leguminose

(fave, piselli ecc.) In uso in tutta l’Italia

centrosettentrionale.

tené, v. tr. tenere. Come in tutti i dialetti

meridionali fa le veci del verbo avere e

quindi una persona tiene fame, freddo,

sete, sonno, figli, fratelli ecc.

tenne, v. tr. tendere. Nelle campagne quando

un vigneto veniva impiantato si “tennèano

li campanili” (v.) sistemando ad

arte le canne che facevano da sostegno alle

viti.

tera, s. f. 1) terra. 2) il rione del paese

compreso tra la piazza del Comune e

Piazza Indipendenza. Chi vi abita è un

“terese”.

testa, s. f. l’inizio del filare delle viti.

tèttera, s. m. pl. tetti. Al sing. “tettu”.

teu, agg. pr. poss. II pers. s. tuo. Le altre

forme sono “tea, tee, tei” (tua, tue, tuoi).

ti, pr. pers. II pers. s. inv. te.

tiana, s. f. tegame. Anche al maschile

“tianu” con il dim. “tianellu”. Di terracotta.

“Lu tianu” era quello usato dal calzolaio

per mettere a mollo la suola per

renderla più morbida e lavorabile.

ticchettaulu, s. m. curioso strumento

usato durante la settimana santa per

annunciare le cerimonie religiose. In pratica

sostituivano le campane che in quel

periodo, in segno di lutto per la Passione

del Signore, non vengono suonate.

Costituito da una tavoletta fornita di un

incavo per farci entrare la mano e dotata

di alcune maniglie mobili che, all’agitare

della tavoletta e sbattendo sulla stessa,

provocano un forte rumore. In dotazione

alle chiese i parroci le davano ai ragazzi

che in giro per il paese annunciavano i riti

che si celebravano nelle chiese.

tiella, s. f. teglia (regionalismo centromeridionale).

tigama, s. f. tegame, padella.

tigna, s. f. cocciutaggine, testardaggine.

tignà, v. intr. insistere ostinatamente.

tigne, v. tr. tingere.

tignosu, agg. cocciuto, testardo.

tinellu, s. m. tinello, casetta di campagna,

una volta il cuore stesso della vita che il

vignaiolo conduceva nel suo podere.

Costruito per lo più con la pietra locale

consisteva in un unico ambiente con una

superficie media di 35-40 mq. Ai due lati

correvano, appoggiati su tufo o su apposite

postazioni di legno, quelli che in gergo

si chiamavano “posti” (v.): due lunghe

travi sistemate in parallelo sulle quali

venivano poggiate le botti, i tini e i caratelli.

Nel tinello si svolgevano tutte le

operazioni necessarie alla vinificazione.

Magazzino per gli attrezzi agricoli, per i

concimi e quant’altro utile allo svolgimento

dei lavori stagionali. Quasi tutti i

tinelli avevano il camino dove il fuoco era

perennemente acceso durante la stagione

fredda. Venivano allestiti letti di fortuna.

Uno di questi era la “ruazzola” (v.).

Annessa al tinello spesso c’era la grotta

(la rotti, v.), scavata nel tufo e molto profonda.

I tinelli, come tutto, hanno subito

profonde trasformazioni e oggi sono

diventati accoglienti locali, con angolo

cottura, bagno, televisore e telefono e

hanno perduto la loro funzione originaria.


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tingolo, s. m. variante del gioco del

nascondino.

tingulà, v. tr. nel gioco del nascondino

scoprire un giocatore nascosto e gridarne

il nome a gran voce.

tinocchiu, s. m. ginocchio. Al pl. “le

tinocchia”.

tinozzu, s. m. v. pozzolu, n. 1.

tintàula, s. f. altalena.

tippitì (a), loc. avv. gioco di bambini consistente

nel guidare, a colpi di dita, dei

tappi di latta rotondi attraverso un percorso

obbligato che portava ad un traguardo

prestabilito. I tappi erano la posta in gioco

e vinceva chi raggiungeva il traguardo con

il minor numero di colpi. Il tiro era nullo

se il tappo usciva dal percorso segnato.

tiratore, s. m. cassetto, tiretto. In it. un

tempo era usato il vocabolo tiratoio ora

scomparso.

tiratu, agg. avaro, spilorcio. Usato anche

in italiano (tirato).

tocca, 1) forma impersonale per esprimere

la necessità ed equivale a “occorre, è

necessario”. 2) espressione di incoraggiamento

per spingere qualcuno ad un’impresa.

toccasana, s. m. unguento antinfiammatorio.

tofata, s. f. sassata, lancio di un pezzo di

tufo.

tofu, s. m. tufo. In molti libri scritti su Z.

le prime righe dicono che il paese si

estende su un banco tufaceo. In effetti è il

tufo la pietra tipica del luogo, quella usata

per la costruzione delle vecchie case del

centro storico e di tutti i tinelli di campagna.

Nei pressi del paese erano in attività

alcune cave che provvedevano alle necessità

dei costruttori di un tempo. Si trattava

di una specie di tufo particolarmente

resistente alle ingiurie del tempo e delle

intemperie e se ne ha prova nei muri dei

vecchi tinelli ancora esistenti ben saldi

nelle campagne zagarolesi. Questo particolare

tipo di tufo era chiamato “cacata di

passero”. La pietra una volta estratta dalle

pareti rocciose veniva lavorata a mano e

modellata secondo le necessità da artigiani

di comprovata bravura. Gli operai che

lavoravano le pietre destinate all’esterno

erano denominati “affacciatori”, erano

loro che modellavano le pietre che dovevano

apparire, destinate all’affaccio.

tombula, s. f. tombola. Appuntamento

fisso, importante e da tutti atteso in occasione

delle feste di mezzo agosto, quando

si celebra la festa del patrono San Lorenzo.

Organizzata con sistemi artigianali vedeva

i bambini sciamanti per le strade con cartelle

da compilare con numeri scelti da

ogni singolo giocatore. Dall’ambo alla

tombola con i numeri estratti nella piazza

brulicante di gente. E a coprire il brusio la

gran voce di Celestino. Un rito collettivo

con festosa e spiritosa partecipazione.

Primo premio poche centinaia di migliaia

di lire e poi la macchina, la Seicento o la

Centoventisette. La tombola è stata organizzata

anche recentemente e si è fatto il

tentativo di ridarle un’anima. Il gioco è

riuscito ma è un’altra cosa.

tonnu, agg. rotondo.

Tonnu (lu), s. m. costruzione di forma

rotonda di epoca romana su Colle del

pero. Si tratta di un ludus romanus che

aveva la funzione di palestra per la preparazione

fisica dei gladiatori e fungeva

anche da piccolo anfiteatro per spettacoli

circensi. Ripulito dai rovi che lo avevano

sepolto sembrava avviato ad una sicura

rivalutazione con un lavoro di restauro

serio e accurato, portato avanti da tecnici

ed esperti della Sovrintendenza ai monumenti

del Lazio. Del restauro non c’è più

alcuna traccia e i resti, ricoperti ormai da

erbe infestanti, sono praticamente lasciati

ad un destino di abbandono e di incuria.

topa, s. f. fig. volg. organo genitale femminile.

toppa, s. f. zolla di terra con annesso

ciuffo d’erba.


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topu, s. m. talpa.

torcellu, s. m. grappoletto d’uva, racimolo.

tordu mattu, s. m. involtino di carne

equina condito con grasso di prosciutto,

coriandolo e alloro e cotto alla brace. È

alquanto misteriosa la ragione di tale

denominazione e non si riesce a scorgere

il rapporto tra ciò che il nome realmente

indica e il tordo per giunta matto!

Eugenio Loreti così racconta: “Durante le

fasi del sacco di Roma (1527) ad opera

dei lanzichenecchi alcuni soldati mercenari

sbandati cominciarono a sciamare

nelle campagne di Z. Uno di questi, affamato

e in pessime condizioni di salute,

trovò rifugio presso una famiglia di contadini

insieme al suo cavallo. Nel delirio

della febbre il soldato non fece altro che

gridare a gran voce la parola “drossel”

che nessuno conosceva. Durante la malattia

del soldato morì il suo cavallo e la circostanza

venne accolta come una benedizione.

L’animale venne scuoiato e ridotto

in bistecche e involtini. Questi ultimi vennero

conditi con grasso di prosciutto e

grani di coriandolo. Tutti apprezzarono la

nuova pietanza che venne ripetuta nei

giorni successivi. Quando il soldato,

rimesso in sesto salutò la compagnia, si

seppe che la parola che aveva ripetuto

fino all’ossessione non significava che

tordo. La carne di cavallo, così come era

stata preparata, divenne il tordo del matto

e di qui, per semplificazione, tordo

matto”. (Il racconto di Eugenio Loreti è

tratto dal volume “Insorgenza e brigantaggio

nel Lazio dal XVI al XX secolo”)

La spiegazione non pare del tutto convincente

ma è sempre meglio di niente.

tornalettu, s. m. guarnizione sotto forma

di ricamo che si applicava a coperte o lenzuola.

torta d’abbio, s. f. arbusto o piccolo

albero molto ramificato. Si tratta della

“Clematis vitalba” della famiglia delle

“Ranunculacee”, nome volgare Vitalba. I

rametti più giovani, quasi vuoti al loro

interno, venivano fumati dai ragazzi che

volevano imitare i grandi e darsi un contegno.

tortorata, s. f. randellata.

tortore, s. m. randello, bastone pesante e

nodoso. Il nome discende dal fatto che

una volta tale bastone era usato per torcere

le funi.

torvidone, s. m. scolatura della botte,

vino torbido, torbidume.

torzata, s. f. torsolata, lancio di un torso

di cavolo. “Vierà con una faccia da torzate/

er corpo da ggigante e l’occhio tristo…”

(G.G. Belli, La fine der monno).

torzu, s. m. torso, fusto del cavolo e di

altre piante erbacee senza foglie. Fig.

impacciato, goffo, insicuro.

Totu, s. m. dim. di Antonio. Vezz.

Totarello.

Touro University, istituzione culturale

statunitense fondata dalla comunità israelitica

americana che opera nel settore universitario

e organizza regolari corsi di

studi di altissima specializzazione e qualità.

Un’intesa intercorsa tra questo Ente, il

Comune di Z. e la provincia di Roma prevede

che nella nuova ala ristrutturata di

Palazzo Rospigliosi (v.) vengano istituiti

corsi di laurea in scienze economiche, psicologia

e fisioterapia per studenti di qualsiasi

provenienza. Se ci sarà richiesta verrà

organizzato un corso superiore di studi

biblici. Per dirla con gli americani alcuni

uffici saranno a Roma mentre il campus

principale a Z. a Palazzo Rospigliosi. La

struttura dovrebbe consentire la frequenza

a circa 200 studenti. Gli accordi tra il

Comune, la provincia di Roma e la Touro

sono stati perfezionati e i corsi dovrebbero

iniziare a partire da settembre del 2007.

trafoju, s. m. trifoglio.

tramutà, v. tr. travasare, versare un liquido

(vino, olio) da un recipiente in un altro.

tranvettu, s. m. trenino in attività sulla


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linea ferroviaria, ora dismessa, Roma -

Fiuggi. (v. stazione delle vicinali). Anche

per i romani il tranvetto era il trenino che

portava ai Castelli per le rituali gite fuor

di porta.

Tre cannelle (fontana delle), nell’omonima

piazza a ridosso del Palazzo e di

porta Rospigliosi c’è una caratteristica e

artistica fontana che risale al 1877.

treppiedrucciu, s. m. piccolo treppiede.

tretticà, v. tr. 1) agitare, muovere. 2) v.

intr. traballare.

tribbulà, v. intr. tribolare, patire, soffrire.

tribbulatu, agg. p.p. sofferente, sconsolato,

afflitto.

tricà, v. intr. darsi da fare, mostrarsi attivo

e operoso.

triellu, s. m. arnese con una piccola punta

di trapano per praticare piccoli fori sul

legno. Piccolo trapano manuale. Trivello

o succhiello.

triòrvere, s. m. pistola. Contaminazione

di revolver.

trippa, s. f. addome, pancia.

tristo, s. m. solletico.

tristu, s. m. colui che soffre il solletico.

trocciu, s. m. 1) truciolo. 2) pezzettino di

legno. Fr. id. “Fa’ quadunu a trocci” dargliele

di santa ragione, ridurlo in pessimo

stato.

trònita, s. f. tuono. Pl. “le tronite”.

tronità, v. intr. tuonare.

tropea, s. f. solenne sbornia. Nell’Italia

meridionale indica un improvviso temporale

estivo che poi, nel linguaggio figurato,

significa ubriacatura.

troppa, s. f. tronco della vite. Simbolo

stesso della vigna per la quale il contadino

era disposto a tutto. Assai frequenti

erano le liti tra confinanti per reciproche

invasioni di campo o presunte tali che

ponevano in discussione il possesso di

alcune “troppe”. Qualcuno dice che tali

questioni, che spesso si trascinavano per

anni nelle preture, hanno fatto la fortuna

di intere generazioni di avvocati!

trucchiasse, v. rifl. scontrarsi (specialmente

di oggetti di vetro).

truffetta, s. f. bottiglietta.

truficcià, v. intr. emanare cattivo odore di

difficile definizione. Alcuni preferiscono

la forma “tuficcià”.

tunzicà, v. tr. provocare, stuzzicare.

tunzichinu, s. m. provocatore.

tutu, s. m. pannocchia del mais. In botanica

c’è il termine tutolo che indica il torsolo

legnoso della pannocchia del granturco.




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