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Gasparo Gozzi
Prose Varie

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    • XXXIX.   Discorso morale sull'ostinazione d'un cieco.
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XXXIX.

 

Discorso morale sull'ostinazione d'un cieco.

 

....Jupiter alme, tonans in nubibus atris,

Da sapere.

 

O benigno Giove, che nelle negre nubi

tuoni, a noi sapienza.

 

Scendendo jeri dal ponte di Rialto, mi abbattei a vedere un cieco guidato a mano da una femmina alquanto di lui più giovane, la quale volea guidarlo da quella parte dove i gradini sono più bassi e spessi, ed egli volea a forza andare per la via di mezzo. Adduceva ella per ragione che in que' gradini uguali il piede, misuratosi al primo, trovava la stessa proporzione negli altri tutti, laddove nei maggiori, e che hanno quell'intervallo piano di mezzo, ella era obbligata di tempo in tempo ad avvisarnelo, ed egli vi scappucciava. Non vi fu mai verso che quel bestione volesse intenderla; e mentre ch'ella con la sua poca forza donnesca lo tirava da un lato, egli con le sue nerborute braccia la fece andar dove volle; tanto che la cosa andò come avea detto la femmina, ch'egli incappò ad un passo, e cadde come una civetta stramazzata, tirando seco la poverina che non vi avea colpa; e l'uno e l'altra ne rimasero malconci, e si levarono in fine dicendo: Tu fosti tu, anzi tu; e s'accagionavano l'un l'altro della caduta. Io feci appresso un buon pezzo di via, entrato in una fantasia poetica, e dissi fra me: Vedi ostinazione! se quel cieco bestiale avesse prestato orecchio alle parole della donna, che pure avea gli occhi, non si sarebbero rotti la faccia l'uno l'altra. Ma che? l'uomo bestia, per essere più vecchio d'anni, avrà creduto d'intenderla meglio di lei. - Ma che vo io farneticando intorno ai fatti altrui? Non ha forse ogni uomo, che vive, in medesimo l'uomo cieco e la donna che vede? Non avvisa forse la buona donna l'ostinato cieco mille volte, ch'egli faccia o non faccia una cosa, ed egli non le ubbidisce mai, onde tocca alla poverina di cadere in compagnia di quella bestia con tanta furia, che talvolta si rompono il collo l'uno e l'altra? Egli è pur vero che ci par d'essere tutti di un pezzo e interi; e siamo divisi in due porzioni, l'una delle quali è cuore, e l'altra mente. Il primo voglioso, infocato in ogni suo volere, senza occhi, vigoroso e pieno di stizza; l'altra d'acuta vista, giudiziosa, maestra del vero, ma per lo più vinta dalla bestialità del compagno. Vegga chi legge, dove mi condusse a passo a passo il pensiero! Egli è pure una gran cosa, diceva io, che si sieno aperte tante scuole nel mondo per ammaestrare la mente, e che con infinite diligenze, esercizio, pratiche e mille sudori si sieno ordinate tante cose, cominciando dall'alfabeto, per insegnarle ogni scienza; e che l'altro si allevi da a qual ne viene, senza altra cura, tanto che gli par buono e bello solo quello che vuole. E tuttavia pare a me che si dovrebbe prima insegnare a lui che all'altra, dappoichè si può dire ch'egli sia il figliuolo primogenito, e venuto in vita avanti di lei. Non ha ancora la mente accozzati due pensieri insieme, ch'esso mostra le voglie sue e il suo vigoroso furore; e dove sono gli apparecchiati maestri per indirizzarlo? Intanto così zotico va acquistando di giorno in giorno maggior forza e più sorti di volontà, e già avrà cominciato a fare a suo modo, che la sorella appena avrà dato segno di vita. Eccoti a campo i maestri. Chi le fa entrare pegli orecchi del capo il latino, chi il greco; uno la tempesta con la Geometria; un altro con la Logica, chi la flagella con l'Aritmetica, sicchè a poco a poco la giungerà a conoscere quelle poche e scarse verità che sono al mondo. Ma mentre ch'ella si sta in qualche sottile contemplazione, il cuore sviluppato in certe sue perscrutazioni grossolane, suona, come dire, un campanelluzzo, e la chiama a sé. Ella, ch'è la padrona e sa, prima se ne sdegna e non vuole udire; ma egli ritocca e tanto suona, che la stordisce; per istracca la comincia a piegarsi a lui, e finalmente gli ubbidisce; e sì va oltre la cosa, ch'ella s'immerge tutta in lui, ricordandosi più dello studiato, la ne va seco; sicchè di guida che dovea essere, si lascia guidare per mille laberinti e ravvolgimenti da fiaccarsi il collo. Avviene anche talora un altro caso, che s'ella negli studj suoi diverrà troppo altamente contemplativa, e quasi uscita di , tanto che non oda mai il chiamare del fratello, questi rimane uno sciocco, un dappoco, e come un pezzo di carne infradiciata, ed ella è una cosa senza calore e fuori dell'umana conversazione. Bisognerebbe fare un bell'accordo di due scuole almeno insieme, sicchè cuore e mente facessero come la bocca e le dita col flauto; io vorrei che il cuore soffiasse a tempo, e la mente reggesse il fiato con la sua bella cognizione, e creasse una dolce armonia nel vivere umano. Perchè tuttadue garbatamente si concordassero, io vorrei che, siccome si procura col mezzo delle scienze d'insegnare la verità a lei, si aprissero alcune scuole assai per tempo da ammaestrar lui in un certo amore delle cose in natura semplici, buone, misurate, ordinate, e tali, che serbassero in una certa garbatezza di gusto, la quale avesse somiglianza e parentela con quelle verità che vengono dalle scienze alla mente insegnate, e si potessero legar facilmente insieme e far palla come l'argento vivo. Se l'armonia ch'esce dalla mente e dal cuore ben concordati a suonare ordinatamente, fosse cosa che potesse pervenire agli orecchi, s'empierebbe il mondo di dolcezza, ci sarebbe musica più soave di questa.

 

 

 




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