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Gasparo Gozzi
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    • XLI.   L'Omeoemeria di Anassagora, e Sogno sullo stesso argomento.
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XLI.

 

L'Omeoemeria di Anassagora, e Sogno sullo stesso argomento.

 

Nunc et Anaxagorae scrutemur Homoeomeriam.

Lucr.

 

Ora esaminiamo anche l'Omeoemeria d'Anassagora.

 

Anassagora fu uno de' più begli umori dell'antichità; cioè di que' tempi ne' quali gl'intelletti si sfogavano a dire le più strane opinioni che potessero entrare in capo umano. Costui volendo dimostrare altrui di che fossero fatte tutte le cose del mondo, inventò una certa faccenda nominata le Omeomerie, come chi dicesse minutissime particelle somiglianti, le quali andavano a ritrovarsi insieme in questo modo. Tutte le minuzie dell'ossa, o vogliam dire gli ossicini invisibili s'accozzarono insieme, e si legarono per forma che n'uscirono le ossa; le venuzze andarono a ritrovarsi, e composero le vene; i sassolini si visitarono, e n'uscirono i sassi; e, in breve, tutte le particelle somiglianti con dolcissima amicizia si collegarono, e fecero tutto quello che si vede. E però, diceva egli, se voi volete vedere che così sia, notate quello che noi mangiamo. Agli occhi nostri il pane parrà tutto una cosa, l'acqua lo stesso; e tuttavia tanto nel pane, quanto nell'acqua, comechè le non caggiano sotto gli occhi nostri, ci debbono essere infinite di queste particelle, una porzione delle quali, somigliando alle ugne, corre alle cime de' piedi e delle mani, e fanno crescere l'ugne; altre, che somigliano a' capelli, vanno alla cotenna del capo, e s'aggiungono alla capellatura; e così dite de' nervi, de' muscoli, dei polmoni e di quanto altro abbiamo nel corpo. Di questo trovata parlano Lucrezio, Plutarco, e altri che ci hanno lasciato qualche memoria degli antichi filosofi. Io credo che Anassagora si prendesse un bel passatempo a studiare la varietà delle raschiature che concorrono a formare uomini e donne; quali particelle fabbricassero il cervello e il cuore degli avari, de' liberali, de' femminaccioli, degli studiosi, e in somma d'ogni genere di persone; perché certamente non potrebb'essere che tanta varietà fosse composta d'una medesima pasta. Di questo sollazzo io ne ho avuto una parte stanotte dormendo, perché dopo d'aver letto il verso da me allegato di sopra, m'addormentai col pensiero dell'Omeoemeria, e feci il sogno che segue.

Entrai, non so come quando, in un'ampia e bella campagna, circondata da tutti i lati di verdi alberi, e innaffiata da ruscelli, e sopra tutto sì risplendente, che da niun lato vedevasi la menoma nuvoletta che sopra d'essa l'aria occupasse.

Da tutte le parti di quella menavano le braccia quasi innumerabili lavoratori, i quali tuttavia non adoperavano altri strumenti, fuorchè seghe e lime, e aveano dinanzi a molte materie, sopra le quali esercitavano le mani e i ferri, riducendole in minuzie; e ognuno separatamente collocava la sua limatura e segatura per modo, che qua e colà si vedeano apprestati infiniti monticelli di quelle. Mentre ch'io stava tutto attento, e quasi fuori di me, ad osservare quella nuova generazione di lavoro, ecco ch'io vedea aprirsi nell'Olimpo una grandissima porta, da cui vedea innanzi a tutti uscire Giove, e dietrogli una lunga schiera di Deità; e a poco a poco ne vennero a terra, e giunti nella campagna in ch'io mi trovava, si posero in un bell'ordine a sedere. Voi vedete, o compagni, diceva il padre de' Numi, che le cose del mondo coll'andare del tempo si sono invecchiate, ed è nato un miscuglio tale, che la stirpe degli uomini sembra fatta di tutt'altra materia, e affatto diversa da quella che Prometeo adoperò nell'edificarli; e non so come nelle particelle d'alcuni si sono mescolate quelle degli altri; anzi sono entrate oggidì a formare corpi d'uomini e donne di quelle minuzie, ch'erano riserbate solo a comporre altre cose nell'universo. Peli di lione, artigli di nibbio, code di volpi, nervi di bertuccia, becchi di civette e lingue di papagalli si sono mescolate a formare uomini e donne, i quali non sanno più quello che si vogliano, quello che si sieno, a cagione di così fatta misura. Ma sopra tutto mi sbigottisce che Momo notomizzando sottilmente a questi passati di un corpo di femmina, per riferirmi di che fosse fatto, mi disse che la maggior porzione di quello era composto di muscoli gagliardi e vigorosi, di che si vedea ch'erano nelle femmine passate le particelle de' maschi; e che sopra tutto giurerebbe d'avervi trovato nel mento alquante minuzie che gli pareano uno strato di barbe. Tanto m'atterrì questa novità, che io non volli vederne altro, andar più oltre col ricercare, tenendo per cosa ferma che se le porzioni stabilite a formare il maschio, erano passate nella femmina, doveano all'incontro quelle della femmina essere nel maschio passate. Io so bene che lasciando correre la faccenda a questo modo, a capo d'un lungo tempo il mondo tornerebbe allo stato di prima; altro avverrebbe, se non che quando tutte le particelle avessero scambiato luogo, quelli che si chiamano ora maschi, sarebbero femmine affatto, e quelle che si chiamano femmine, sarebbero maschi del tutto. Ma voi vedete che a ciò è necessario qualche migliajo d'anni ancora, e che frattanto questo scompiglio e miscuglio disordinato è cagione non solo di cose straordinarie sopra la terra, ma che noi medesimi siamo continuamente chiamati in ajuto da que' pochi che non hanno ancora in mistura che li offende. Per la qual cosa, o Mercurio, ora subitamente nella tromba, e fa un bando che debbano qui venire uomini e donne, perch'io intendo che sieno rigovernati di nuovo. - Appena egli ebbe così favellato, che Mercurio, posto bocca alla tromba, fece un altissimo suono, e da tutti i lati si videro a comparire uomini e femmine ad udire la volontà di Giove. Il primo ch'egli si facesse andare avanti, fu un cert'omicciattolo che avea più figura d'arpia che d'uomo, il quale, dopo un breve esame fattogli da Momo, si scoperse ch'era il più tristo taccagno, e il più misero avaro che fosse al mondo. Io vidi allora una mirabile sperienza, che soffiandogli Esculapio da quella parte dove sta il cuore, gli uscì incontanente fuori per la bocca un sottilissimo fumo, il quale si divise in più parti in aria, e in alto formò una certa pioggia, che cadendo poscia in terra, e da Momo disaminata sottilmente, fu ritrovato che quelle minutissime gocciole erano particelle che naturalmente doveano concorrere a formare armi, uncinetti, catenelle, e zanne di cinghiale, e s'erano non so come introdotte a formar il cuore di quello infelice; a cui Esculapio ne fece incontanente un nuovo, traendone la materia dalle limature ch'erano quivi state apprestate, di cui fece una morbida pasta e di carne. La seconda che s'appresentò a Giove, fu una giovane ariosa e gentile, a cui soffiando Esculapio, come avea fatto al primo, le uscì di bocca un certo fumo di colore grigerognolo, il quale non si divise, come il primo, per l'aria, ma all'incontro si raunò e collegò tutto insieme, indi cominciò a volare, diventato una civetta. Di subito venne, come il primo, anche costei provveduta d'un cuore, qual si conveniva alla sua condizione. Non so quante penne mi sarebbero sufficienti a descrivere tutte le riformagioni ch'io vidi in quel luogo; di quante ragioni fumo scorgessi innalzarsi verso al cielo; ma sopra tutto mi ricordo, ch'essendo andato io medesimo dinanzi a Giove, Esculapio affermò che, quanto al cuore, egli giudicava ch'io non avessi in esso porzione alcuna che non appartenesse ad un cuore umano; ma che qualche particella avea nel cervello, che dovea concorrere a formar grilli e farfalle. Mentre ch'egli avea fatta la bocca tonda, e cominciato il soffio, un altissimo scroscio di tabelle mi percosse gli orecchi, ond'io destatomi all' improvviso, non potei ricevere la grazia del mio scambiamento, né di veder quello di tanti altri ch'erano dinanzi a Giove apparecchiati.

 

 

 




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