Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Gasparo Gozzi Prose Varie IntraText CT - Lettura del testo |
|
|
XLIX.
Quando Demócrito disse questa sentenza, volle notificare agli uomini che la verità era occulta, stavasi in una grandissima profondità, e ch'era una fatica e uno stento gravissimo il ripescarla e il trarnela fuori di quelle tenebre e scoprirla agli occhi de' mortali. Egli dovea dire piuttosto, non ch'essa fosse in un pozzo, ma che gli uomini scienziati l'aveano a poco a poco rinchiusa dentro ad un edifizio, col voler sapere più di quello che importa all'umana generazione, e salendo col cervello più su di quello che doveano salire. Quando io fo il novero di tanti filosofi che sono stati in tanti secoli, da Talete in qua, per non andare a' tempi più remoti, e veggo che ognuno di essi ha fatto professione di trovare la verità, e che ognuno si credea di averla trovata, e che in fine siamo oggi a quel medesimo, nè la possiamo vedere ancora, a me pare che l'abbiano coperta più che mai fosse. Immagino che la sia rinchiusa, non in un pozzo, ma in un edifizio, nel quale si fosse quivi rinserrata da sè, per fuggire dalla curiosità degli uomini, lasciandosi solamente vedere ad alcuni, forse di quelli che a noi parrebbero i più goffi, fuori per certe inferriate. Certi grand'ingegni, con le loro continue perscrutazioni, fecero intorno al palagio della verità non so quali inferriate di qua dalle prime, e parendo loro di avervi aggiunto lume, fecero per modo che l'occhio, in iscambio di penetrare un'inferriata, dovea passare oltre a due, e la vedea meno. Di poi vennero altri, e vi aggiunsero graticci e gelosie, e poi altre, e poi altre; tanto che la verità è rimasa sì addentro e sì internata e incentrata nella sua abitazione, che fra tante incrocicchiate finestre o la non si può più veder punto, o la ne viene veduta un attimo di passaggio. Un solo finestrino vi rimane ancora, non impedito dai lavori altrui, dov'ella si affaccia talvolta. Questo guarda verso ad una parte del mondo, ove sono campi e boscaglie; sicchè la ne viene veduta da pecorai, da guardiani di buoi, coltivatori di terreni, e da altre sì fatte genti che sono tenute la feccia della terra; nè mai si arrischiarono di cavarla fuori di là, ma la guardano senza punto sapere chi ella si sia; ed ella in iscambio insegna loro in qual modo debbano vivere per esser contenti, senza punto dir loro le cagioni e i fondamenti del suo parlare; essi l'ubbidiscono, e operando secondo il giudizio della verità, fanno una vita meno affannata di tutti gli altri, e muojono quasi senza avvedersene. Non so in che meglio ci potesse ammaestrare la verità che in questi due punti, nè quello che ci debba importare il sapere altro. Noi abbiamo a vivere in questo mondo o molti o pochi anni, e appresso a partirci. La sanità è uno de' primi beni che dobbiamo cercare, e la tranquillità dell'animo il secondo. I corpi di coloro che manco sanno, e questi sono certamente i lavoratori della terra, sono veramente i più robusti, e gli animi de' più idioti sono i più quieti; dunque si può trarre una conseguenza, che l'esercizio del corpo, e il dare al cervello manco briga che altri può, saranno cagione di sanità e di quiete. Nè voglio perciò che si dica: Oh! che vuoi tu? che il mondo sia tutto addormentato? - Non io non intendo questo: anzi all'incontro affermo che gli uomini allevati in questa guisa saranno mille volte più operativi e di grande animo, di quel che sono oggidì andando alle scuole ove s'impara la scienza. Altro è scienza, altro è virtù: quest'ultima è necessaria. Una squisita manteca è la scienza, disse già un valentuomo, ma difficilmente si conserva senza corruzione o mal odore, secondo il vizio del vaso in cui è riposta. Molti popoli che dagli Ateniesi erano chiamati barbari, lasciate del tutto le scienze, attendevano alla virtù solamente. I Persiani, secondo quello che ne dice Zenofonte, insegnavano a' loro figliuoletti le virtù appunto con que' metodi coi quali le altre nazioni ammaestrano nelle scienze. Fino il primogenito del re ne veniva in questa guisa allevato. Ai più virtuosi uomini della corte era consegnato il bambino[A]; ed essi prendevansi cura che quel corpiccino crescesse quanto si potea bello e sano; e quando era pervenuto a' sett'anni, lo facevano cavalcare e andare a caccia fino a' quattordici anni. Allora lo consegnavano a quattro uomini de' più celebrati nel paese, l'uno in sapienza, l'altro in giustizia, l'altro in temperanza e il quarto in valore. Il primo gli confermava l'animo nella sua religione, il secondo gl'insegnava ad essere verace sempre, il terzo a temperare i suoi desiderj, e il quarto a non temere di veruna cosa. Oh! trovasi egli neppure una menoma menzione di dottrina nelle leggi date da Licurgo a' Lacedemoni, i quali riuscirono quelli che ognuno sa, senza altri maestri che di valore, di giustizia e prudenza? Ma io non voglio aggirarmi più oltre negli Antichi, avendo sotto agli occhi gli effetti delle diverse scuole che si fanno oggidì, nelle quali si cerca solamente di empiere il cervello e non altro. La stizza della lingua latina, imparata per dispetto da' teneri fanciulletti in un tempo in cui nulla intendono, a poco a poco è quella prima che guasta loro il temperamento; perchè dovendo starsi a sedere continuamente in un tempo che sono tutti anima e movimento, si disperano [Footnote A: Platone nell'Alcibiade, primo.] intrinsecamente di quella schiavitù, e scoppiano di dispetto. Oh! non sarebbe forse il meglio che ne' loro primi anni, senza punto avvedersene, avessero intorno chi passeggiando e scherzando con essi, favellasse correttamente l'italiana lingua, della quale si debbono valere un giorno in lettere, in iscritture o in altro, secondo la condizione di loro vita? Ecco quello che ne avviene. Sono sempre infermicci per dispetto fino a tanto che sono giunti ad intendere le pístole di Cicerone; cresciuti, lasciano quella lingua abbandonata da parte, tanto che in due anni non se ne ricordano più; e scrivendo per necessità in italiano, non sanno dove si abbiano il capo. Dopo la grammatica entrano nella rettorica, nella logica, nella filosofia; empionsi l'intelletto di un fastello di cose che per lo più non appartengono punto alla vita che debbono fare nel mondo: onde di là a non molti anni, entrati chi in un uffizio, chi in un altro, secondo che la loro condizione richiede, quello che hanno imparato, o non giova punto, o non serve ad altro che a guastare con le sottigliezze tutto quello che fanno. Oltre a tutto ciò, sono gli uomini così accostumati da' loro primi anni fino a venti o ventidue a starsi a sedere a forza in sulle panche delle scuole, che si movono poi a grandissimo stento, e pare che il mondo caggia loro addosso quando debbono andare alle faccende. All'incontro l'insegnare la virtù, oltre all'essere di maggiore utilità, non richiede tanta fatica. Ci sono gli esempi de' buoni, i quali basterà che dal maestro ci vengano notificati; ci sono quelli de' tristi. Li mostri il maestro, e li faccia abborrire. Nel leggere le storie, facciansi osservazioni, non sopra un elegante squarcio rettorico, o sopra la forza di un vocabolo, come si usa per lo più, ma sopra le azioni degli uomini. Scopransi le passioni che diedero movimento all'opera; non si lusinghi che del bene operare nasca sempre la gloria, ma sì bene la consolazione della coscienza; nè si dia ad intendere che il male operare sia ognora cagione di calamità evidenti, ma sì bene sempre di rodimento al cuore del tristo operatore. Io sono più che certo che sì fatta scuola farebbe meglio scoprire la verità seppellita, di tutte le scienze del mondo.
|
Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License |