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Gasparo Gozzi Prose Varie IntraText CT - Lettura del testo |
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LII.
Rappresentazioni sceniche della Fortuna.
Nil (majores nostri) liberos suos docebant, quod discendum esset jacentibus.
Non insegnavano i nostri maggiori cosa veruna di quelle che s'imparano a sedere.
Vogliono alcuni che l'operare sollecitamente apra la via alla fortuna, la quale ha per usanza di essere liberale delle grazie sue a chi si affatica e si adopera coll'ingegno e con l'arte. Io credo che costoro s'ingannino, e che sia quello stesso starsi a dormire e con le mani alla cintola; essendo la fortuna una certa bestialità cieca, la quale va a cui vuole e quando le vien voglia. Quando nasce un uomo, a me pare che costei sia quale un capo di compagnia di strioni, la quale lo stabilisca a rappresentare in sul suo teatro. Essa da sè a sè fa suo conto e dice: questi rappresenterà tragedia e questi commedia. - Così detto, gli dà la parte, sua in mano, spiccata da tutte quelle degli altri recitanti che hanno a rappresentar seco, e dice: Togli, questa è la tua. - Apresi la scena. Egli incomincia a rappresentare. Gli viene innanzi un attore che parla con esso lui, gli risponde a proposito; quegli ripete, questi ritocca; la scena in faccia agli spettatori fa l'effetto che dee fare, e la riesce o da ridere o da piangere secondo l'argomento; e intanto si apre la via ad un'altra scena. Contuttociò gli attori non credono che la sia cosa imparata a mente, e in cuor loro si sentono tutti accesi, appassionati, sdegnosi, malinconici o altro, secondo la sostanza della rappresentazione; e par loro di avere ben detto o mal detto, e attendono o buona o mala riuscita, secondo le parole che avranno dette o l'azione che avranno fatta. Ma non sapendo i miserelli tutta la concatenazione delle scene che debbono proseguire, vanno innanzi alla cieca; e avviene talvolta, che colui il quale avrà cominciata una scena da ridere, entrerà in un'altra da piangere; e chi avrà cominciato piangendo, anderà oltre ridendo. Bello è che gli spettatori, i quali sono ivi presenti, non fanno come quelli che vanno ai teatri nostrali, e non dicono: Il tale ha recitato male, quegli è un attore che rappresenta bene; ma dicono: Perchè non ha egli fatto sì e sì, che non gli sarebbe accaduta quella disgrazia? Bestia! che poteva egli attendere altro che la sua rovina? Hai tu udito che rispondere fuori di proposito? Dovea egli impacciarsi a quel modo con colui? Vedestu quell'altro con quanta sapienza e prudenza si è diportato? Non è maraviglia che gliene sia avvenuto bene. - Intanto Fortunaccia trista si sta in alto a sedere, spettatrice di recitanti, e di coloro che veggono e ascoltano, e si ride degli uni e degli altri; godendosi, come dire, di una doppia rappresentazione. Anzi di tempo in tempo motteggia gli spettatori medesimi, e dice fra sè: Odi dottori magri, che vogliono giudicare dei fatti altrui. Noi vedremo fra poco il buon garbo che avrete in sul palco. Ciascheduno delle signorie vostre dee andare costassù, e fare la parte sua e sarà giudicato da quelli che al presente vengono giudicati da voi, e ci darà di che ridere. - E così va in fine come la dice. Non si vede mai una scena così ampia e cotanto di varietà ripiena; nè altrove appariscono tante rappresentanze di pianto, di grandezza, di riso, di cose comuni. Ad un tratto vi si veggono vascelli che affondano, legni condotti a porto, capitani, soldati, mercatanti, ricchi uomini, accattapane; scala, dove di continuo montano e scendono uomini che si mordono, si graffiano, si baciano, accarezzano, sberrettansi e scannansi l'un l'altro. E la iniqua Fortuna di ogni cosa sta giubilando. In fine chiudesi, non già la commedia o tragedia generale, ma quella di ciascheduno degli attori, perchè le rappresentazioni della Fortuna non sono divise in tre nè in cinque atti come quelle de' poeti, ma in tanti, quante sono le vite dei rappresentanti, de' quali ognuno fa l'atto suo alla distesa; e quando non esce più in sul palco, egli ha finita la sua commedia, e di lui non si ride più, nè si piange. Egli può essere bensì che di lui rimanga una buona memoria fra i viventi in due modi. Ciò sono s'egli sarà stato amico della fortuna, la quale essendo bene affetta a lui gli abbia dato una parte da valentuomo; o s'egli avrà creduto alle voci della virtù, la quale può dare ai rappresentanti grandissimo ajuto. Io non dico ch'ella possa far sì che alcun uomo faccia a meno di uscire in sulla scena; ma la gli può insegnare a mozzar di tempo in tempo la parte sua; sicchè, fingendo di non saperla, sbrighisi il più presto che può dal viluppo degli altri recitanti, e stiesi piuttosto a passeggiare solitario dietro al teatro, mostrando la faccia talora sul palco, se non può tralasciare affatto. Oltre di ciò, gli potrà ancora empiere l'animo del suo santissimo lume, e fargli comprendere che le cose di questo teatro non sono altro che ombra e vanità che passano; ond'egli rinforzatosi il petto con lo scudo di una mirabile costanza, comporti quelle battaglie, qucgl'inganni, burrasche o altre maladizioni, ch'empiono l'orditura dell'atto suo, sperando sempre in esso qualche scena men fastidiosa; e se la non giunge mai, chiudendolo con quel vigore che dimostri non essere mai la sua parte più nobile stata offesa dalle finzioni e dai giuochi di una scena.
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