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Gasparo Gozzi
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    • LVII.   Aneddoto di un Ciurmatore.
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LVII.

 

Aneddoto di un Ciurmatore.

 

Ragionava uno poche sere fa in una conversazione con tanta furia e con un diluvio tale di parole, che le lingue di quanti quivi si trovavano erano inutili affatto; e se vi fu alcuno che articolasse una sillaba, quella era un appicco e un argomento nuovo al valentuomo per ciaramellare di nuovo. Ma mi parea pur cosa da ridere a veder dipinte negli occhi di tutti l'astrattaggine e la noja, ed egli pur proseguiva come se le parole sue fossero state dalla compagnia avidamente bevute; anzi di tempo in tempo chiedeva ad alcuno dei circostanti. Eh? che ve ne pare? Dico io bene? - E comechè non vi fosse chi gli rispondesse mai, prendeva quel silenzio per un assenso, e voltando il suo favellare a colui cui avea interrogato, seguiva a ragionare così di buona voglia e vivo, come se egli avesse cominciato in quel punto. Io non credo che vi fosse alcuno, da me in fuori, che gli prestasse orecchio. Egli è il vero che al tempo del suo sermone io mi era posto in un cantuccio a sedere; e facendo le viste di pensare ad altro, studiava quel cervello quanto potea, e procurava di farne notomia a mente. L'uomo dabbene avea una fantasia di fuoco e così veloce, che a sbalzi e a salti passava di una cosa in un'altra senza avvedersene. Era anche ben proveduto di memoria, la quale gli ministrava da rinforzare quanto dicea con erudizione di molti generi, onde gittava a fasci e a mazzi pezzi di storie, opinioni filosofiche, detti di scrittori, o a proposito o no poi gl'importava poco. Quando piacque a Dio, terminò il Dizionario universale la sua leggenda, e andò a' fatti suoi: ognuno riebbe il fiato; i visi, che torbidi e malinconici erano, si rischiararono e divennero lieti, e si ritornò agli scherzi e alle baje, com si suol fare nelle adunanze, dove concorrono le genti per passare il tempo. Che vi pare, mi dissero alcuni, di questo bel fiume di eloquenza? Che ne dite voi? - Quanto è a me, risposi, non ne dirò altro; ch'io non vorrei a così lungo ragioramento aggiungerne un altro forse più lungo, e ridurre così bella compagnia alla disperazione. - Fa un foglio, diceva un altro... Foglio? di che?... Oh! di che? dell'Osservatore. Non è forse questo un bel carattere? Credi tu con quello ch'egli ha cianciato fino al presente di non empiere un foglio? Egli ha detto tanto, che potresti empiere i fogli di tre mesi. - Farei la bell'opera, rispos'io, a stampare quello che vi ha secchi tutti. - Orsù, disse uno più ardito degli altri, o parlane ora, o promettici che il primo foglio da te publicato sarà sopra il nostro parlatore. Egli dee pure essere caritativamente avvertito delle qualità sue. - Io, per isbrigarmi allora, diedi parola di scrivere qualche cosa di lui, e fantasticando un modo che potesse aver anche qualche garbo da libro, mi venne in mente di aver letto una favola, la quale, se sarà lunghetta, spero che meriterà qualche scusa, non potendosi parlare in breve di una persona che non tace mai. La favola è questa.

Dimoravano anticamente un in albergo medesimo Giudizio, Memoria e Fantasia, e con dolcissimo legame di fratellanza nelle bisogne loro si prestavano un vicendevole ajuto. Memoria faceva di ogni cosa i necessarj provedimenti. Fantasia piena di attività e di un certo indicibile calore di vita, come buona massaja, li condiva e rendeva saporiti e grati; e Giudizio, con prudente distribuzione, ogni cosa misurava, perchè la prima non gittasse le cose, come suol dirsi, a fusone; e l'altra non le guastasse per volerle troppo acconciare e renderle piccanti più di quello che il palato le potesse comportare. Durò fra loro questa mutua armonia qualche tempo; ma perchè in fine eran eglino tutti e tre di temperamento diverso, e non si confacevano tra loro gli umori, cominciarono ad aver qualche rissa insieme e molte male parole, tanto che non si poteano sofferire l'un l'altro. Fantasia di tempo in tempo e d'improviso parea invasata, e dicea cose che pareano piuttosto da pazza che da altro: Memoria era una ciarliera, ch'io ne disgrazio la più plebea donnicciuola che sulla via si adiri con la vicina; e Giudizio borbottava fra denti, tanto che furono più volte vicini ad accapigliarsi e a far zuffa. In tal guisa passavano il tempo, e non era che non avessero qualche querela insieme. Tu se' pazza, diceva Memoria a Fantasia; e tu se' una cianciona, diceva questa a quella: e se Giudizio dicea qualche parola, tuttadue gli erano addosso gridando: Che sai tu, gocciolone, pedagogo, maestro del piè di piombo, sputatondo? Va, che il diavol ti porti. - Orsù, diss'egli un giorno, e pedagogo e sputatondo sia; ma io vi dico aperto e chiaro, che in questa vita non possiamo più durare, e ch'egli è il meglio che ognuno di noi se ne vada dove più gli piace lontano l'uno dall'altro. Insieme non possiamo più vivere. - Finalmente ecco che una volta ser Tuttesalle ha parlato da uomo, disse Fantasia: andianne. Qui stiamo troppo ristretti. Una casipola a tre non basta; a pena ci trovo luogo per me. - Giove, Nettuno e Plutone furono anch'essi tre fratelli, ripigliò Memoria; e narrano le storie che sarebbero vivuti in perpetua discordia, se non si fossero tra loro divisi. Voi sapete pure... e qui cominciò con una lunghissima diceria, e con le citazioni di tutti i Mitologi alla mano, a raccontare in qual forma andò la cosa, e come al primo toccò il cielo, al secondo il mare, e al terzo i regni sotterranei; e a questo proposito la vi tirò co' denti una lunga erudizione intorno a' movimenti de' cieli e delle stelle, la parlò del crescere e del calare dell'acqua, delle nature de' pesci, e poi la entrò a ragionare del fiume della dimenticanza, delle ombre de' morti, del rapimento di Proserpina... Che maladetta sia tu, esclamò Fantasia: andianne alla malora, che non mi pare di poter mai vedere quel punto da poter salvare gli orecchi miei da tante e così inutili ciance. - Così detto, le volta le spalle, esce fuori, e va a' fatti suoi; e poco di poi fanno lo stesso Memoria e Giudizio.

In tal guisa dunque usciti dal primo albergo e cercandone un nuovo, eccoti che per buona ventura in vicinanza ritrovano tre fanciulli, i quali non sapeano ancora che cosa fosse mondo; sicchè Memoria andò ad albergare in casa con uno di essi, Fantasia con l'altro, e Giudizio col terzo; tanto che in poco di ora furono tuttatrè allogati. Non passarono molti anni, ch'essi tre fanciulli manifestarono chi bazzicava loro per casa. Quegli che avea seco Memoria diventò un dotto uomo, e cominciò a parlare in ogni lingua, sapea tutti gli antichi fatti, tutte le opinioni de' filosofi, costumi di genti, e in somma non era cosa che non gli fosse nota, ed era come un armadio di dottrina. Fantasia all'incontro fece del fanciullo suo un animoso poeta, strano, pieno di entusiasmo, inventore di cose che non aveano punto che fare l'una con l'altra, che mettea insieme parole le quali, se avessero avuta la capacità d'intendere, si sarebbero spiritate di vedersi congiunte; tanto poco aveano a fare l'una con l'altra: e sopra tutto facea professione che nelle opere sue non vi fosse mai filo ordine, altro che il capriccio, dicendo che l'arrischiarsi ad ogni cosa era l'arte sua. Dall'altro lato Giudizio fece dell'ospite suo un uomo di senno, il quale non giudicava di cosa veruna se non secondo il pregio di quella; amicissimo era della verità e della giustizia, inclinato al bene, e che non diceva mai il suo parere di cosa che non avesse conosciuta a fondo. Che vi starò io dicendo? se non che in brevissimo tempo si avvidero i tre vicini di aver bisogno l'uno dell'altro; imperocchè appresso l'allievo di Memoria erano quasi in deposito tutte le cose raccolte, d'onde come ad una fonte andavano ad attingere il poeta e l'uomo di senno. Questi s'intratteneva ad udire i voli ed il fuoco del facitore di versi: il facitore di versi gli chiedeva consiglio, e talvolta se ne valea con onore a vantaggio delle Muse. Egli è bene il vero che l'allievo di Memoria non teneva conto di nessuno; e tutti dispregiava, principalmente i suoi vicini. Ma in fine egli dovea pure sfogarsi e cianciare. Dove potea ritrovare chi stesse ad ascoltarlo? Chi cercare altro che i vicini suoi? E così facea. Quando tutte e tre queste qualità non sono congiunte, un capo non è compiuto, e avrà sempre bisogno di altri due capi: e chi riconosce questo bisogno, darà volentieri altrui di quello che possiede, e in pace riceverà dagli altri quello di che abbisogna.

 

 

 




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