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Gasparo Gozzi
Prose Varie

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    • LXII.   Cagione della poca fama de' Letterati presenti.
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LXII.

 

Cagione della poca fama de' Letterati presenti.

 

Orationes hahebant semper ad publicum totius

Graeciae conventum, unde brevi innotescebant.

Luc. Herod.

 

Sermoneggiavano dov'era grande e publica

adunanza di Greci, e in poco tempo divenivano

famosi.

 

Un uomo di lettere oggidì per lo più secondo la condizione di tal qualità di genti, non molto abbondante de' beni della fortuna, prima ch'egli sia conosciuto dal mondo ha a stentare pel corso di parecchi anni. Quando comincia ad uscir fuori, come il rondinino del nido, e a pigolar intorno, a pena ci è chi voglia credere ch'egli sappia poco molto. Acquistasi col tempo uno o due amici, i quali tengono dal suo partito e fanno fede a due o tre altri loro pari che non è un'oca; ma se il suo nome va divulgandosi fra quindici o venti persone, con ornamento di qualche picciola lode, tosto egli avrà un centinajo per uno, i quali levano i pezzi di lui, e lo atterrano col dire ch'è un barbagianni. Il pover'uomo tanto più si affatica e notte sudando e vegliando, squaderna libri, logora fogli, penne, si consuma il cervello, per tentar di oltrepassare con la fama sua gli ostacoli che gli vengon fatti; ma mentre che sta in solitudine fra le meditazioni, la polvere e i tarli, ecco che il suo nome si nasconde sempre più, e a poco a poco giunge agli anni maturi, e finalmente chiude gli occhi che a pena si sa che sia stato al mondo. S'egli lascia di che, un figliuolo o nipote o altri gli fa scolpire sulla sepoltura che fu uomo di lettere: e se non si trova eredità alcuna, come avviene per lo più, va tutto in ossa e terra, e non si sa più se sia stato vivo fino al del Giudizio. Un tempo altre erano le usanze, e gli uomini di lettere poteano rendersi solenni in un giorno o due a tutta una nazione. Erodoto, pensando che a' giuochi olimpici erano raccolte genti da tutte le parti della Grecia, fece prova di cantando la sua storia a quell'adunanza; e tanta fu la grazia della sua voce, che i libri suoi vennero intitolati dal nome delle nove Muse. In questa maniera divenne più noto a tutti di qualsivoglia vincitore ne' giuochi; sicchè non vi era più uomo greco a cui riuscisse nuovo negli orecchi il nome di Erodoto. Chi lo avea udito, chi avea sentito a parlar di lui, sicchè non appariva in verun luogo che non fosse mostrato a dito e non si dicesse: sapete voi chi è costui? Egli è Erodoto, quegli che scrisse in greco le storie de' Persiani, quegli che celebrò in libri le vittorie de' Greci. Questa fu poi l'usanza di molti, i quali divennero celebrati e famosi in brevissimo tempo, perchè aprivano il saper loro da principio ad un'adunanza di popolo. Oggidì non si potrebbe valersi più di questa usanza; e chi andasse ad un teatro dove sono raccolte infinite genti, per cantare o proferire storie o sermoni, verrebbe cacciato con la frusta o legato per pazzo. In quel cambio vennero trovate le stampe, le quali si aggirano per le mani degli uomini; e può uno publicare un'opera la quale non solo vada pel suo paese, ma passi di uno in un altro, sia in varj linguaggi traslatata e letta da molti. Ma ci è una diversità grande. Quegli che publicamente dicea, animava le sue parole con la malía della voce e con tutti gli artifizj dell'azione; il libro ti si presenta con qualche raccomandazione di lettera dedicatoria o di proemio che poco giova, perchè sempre quel modo medesimo è venuto a noja; e poi non è egli che parla, ma si può dire che parla chi legge. Vedi differenza notabile ch'è questa! L'autore, che vi ha dentro l'anima sua, lo ama e lo legge di voglia. Credi tu che sieno dello stesso parere anche gli altri? Dirà uno: io non saprei oggi che fare. Olà tu, porgimi quel libro fino a tanto ch'io dorma. - Un altro che avrà collera con la innamorata, per trovare qualche compensazione, si a leggere con gli occhi, e il cervello intanto dirà dentro: ella mi ha fatto, ella mi ha detto; e jersera la fu colà, e oggi dee andare a visitarla il tale, e stasera la sarà in tal luogo a mio dispetto. - Sicchè non avrà scorsa una facciata, che battendo il piede in terra, il libro sarà balzato di qui colà sopra una tavola, aperto o chiuso, come va lanciatovi dalla furia; e' non verrà forse ripigliato mai più, perchè si rifà la pace, o si rinovano legami; e allora che hanno più che fare i libri? Io ne ho veduti anche tra le mani di coloro che li leggono balbettando, facendo conto di virgole e punti, come se non vi fossero, e seguendo il polmone, secondo che esso avrà forza maggiore o minore, piuttosto che l'intelligenza della materia; di che nasce che per lo più gli stili sono ritrovati oscuri; ed è oggidì usanza, che per renderli chiari, non si usano più periodi, ma singhiozzi; e quello è periodeggiare meglio gradito, ch'è più spesso rotto, come l'acqua che scorre sulla ghiaja e sulle pietruzze. Una volta si diceva che la scelta e la collocazione delle parole era artifizio e formava armonia; a' nostri giorni più un vocabolo che l'altro non importa. Quando una parola è uscita una volta della gola a uno, la si può usare, esprima o no quello che tu vuoi; perchè basta avere vocaboli per tirare innanzi e scrivere assai, che del buono e del bello più non si parla.

Ma anche questo accorgimento non giova perchè sieno letti i libri con maggiore attenzione; onde la fama va avanti con grandissimo stento; e si giunge prima all'estremo punto della vita, che ad avere sparso il nome pel mondo.

Quanto ho detto fino a qui, mi è uscito del cervello a proposito di una lettera che ho ricevuta due fa, nella quale non so chi mi scrive una sua nuova deliberazione. Publicherò la lettera medesima, ch'è capricciosa e degna di andare alle mani delle genti.

 

 

All'Osservatore.

 

"Senza acquistare qualche reputazione al mondo non posso vivere. Standomi sempre occulto, mi par di essere un'ombra di uomo, non uomo che viva. Parecchi anni sono passati, ch'io vivo al bujo fra libri e carte, e ancora non è chi sappia ch'io sono sulla terra. Ho una qualità che può rendermi famosa. Buona voce e qualche intelligenza della musica. Composi da molti anni in quà diverse canzoni e poemi, e sono stato tentato più volte di publicarli; ma venni atterrito da' libraj, i quali mi affermano con loro giuramento che anche di que' libri che sembrano essere lodati, se ne vendono così pochi ch'è una meschinità a dirlo. Canzoni e poemi! S'egli se ne vendono un centinajo di copie, si potrà dire che sia una maraviglia. Come? diss'io, un centinajo? E in quanto tempo? - In un anno - E il nome mio avrà a stare un anno ad andare fra cento persone? Questo è un azzopparlo, non farlo correre. Io ho intenzione che sia conosciuto più presto. La medesima sentenza mi fu data da tutti i libraj; ond'io per disperato rientrai in casa mia, e cominciai a considerare quello che far dovessi per rendermi noto in poco tempo. Udite risoluzione che ho presa. Ho compero un vestito nuovo con certe frange di argento ch'è una signoria a vederlo; mi son posto in collo un liuto, e legatomi a canto una bisaccia con tutte le mie scritture, e di qua ad un'ora m'imbarco per andare di città in città a cantare io medesimo le mie canzoni ed i miei poemi. Non vi potrei dire quanto io sia intrinsecamente consolato della presa risoluzione. In poche settimane voi udirete il nome mio celebrato in tutti i lati. Ogni giorno misi cambieranno gli ascoltatori: oggi canterò a cento, domani ad altri cento, in dieci ad un migliajo; fate vostro conto quanti saranno in un anno che avranno uditi i miei componimenti, e come presto sarò conosciuto dall'universale. Addio. Di luogo in luogo vi scriverò le mie avventure, e da qui in poi mi sottoscriverò col mio nome, il quale non vien da me giudicato degno di essere manifestato, se prima non si publica da per le città e per le castella, nelle quali intendo di dargli fra poco quella solennità che rende l'uomo immortale. Addio di nuovo."

 

 

 




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