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Gasparo Gozzi
Prose Varie

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    • LXVII.   La Berretta. - Favola.
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LXVII.

 

La Berretta. - Favola.

 

 

Non disse mai Euripide maggior bestialità, che quando egli desiderò che gli uomini avessero una finestra nel petto, acciocchè ognuno potesse vedere quello che hanno di dentro. Io credo che si faccia con esso loro vita migliore affidandosi a' buoni visi e alle buone parole, che a sapere come la pensano. Narrano le antiche leggende delle fate, che fu già una certa Flebosilla la quale secondo la usanza della fatagione, non so quanto tempo era donna, e non so quanto altro bestia, ora di una generazione e ora di un'altra. Avvenne dunque che, essendo ella stata scambiata da Demogorgone in topo, e avendo per lungo tempo fuggite le trappole e le ugne dell'animale suo sfidato nemico, pervenne dopo una grandissima fatica a quell'ultimo giorno in cui dovea aver termine la sua condannagione, e tramutarsi in Flebosilla, com'ella era stata più volte. Io non so se fosse l'allegrezza o altro che le togliesse il cervello; quel la non istette guardinga secondo la usanza sua, ma scorrendo un poco più baldanzosamente qua e colà che non soleva, ed essendole, senza ch'ella punto se ne avvedesse, teso l'agguato da una gatta, la gli diede d'improviso nelle ugne, e poco mancò che non rimanesse morta dalla furia della sua avversaria. Volle la sua ventura che la fu in quel punto veduta da un uomo al quale, non so se per capriccio o per altro, venne voglia di difendere il topo, e con voce e con atti spaventata la gatta, la fece fuggire; sicchè la povera fata mezza morta di paura si rimbucò, e non uscì fuori della sua tana fino al giorno vegnente, in cui, deposta la pelle del vilissimo animaluzzo, era già divenuta femmina, anzi fata quale solea essere prima. È noto a ciascheduno che le fate sono una generazione di donne le quali hanno gratitudine verso coloro che le hanno beneficate; onde la prima cosa che le venne in mente, fu l'obbligo ch'ella avea a quel valentuomo che il giorno innanzi le avea salvato la vita. Per la qual cosa andatagli incontra, gli disse: Uomo dabbene, tu hai a sapere ch'io ho teco una grande obbligazione, imperciocchè non sapendolo tu jeri, per bontà del tuo cuore, mi salvasti la vita; di che io debbo con qualche atto di gratitudine dimostrarti l'animo mio, e farti vedere che non hai servito ad un'ingrata. E però sappi che tu puoi chiedermi qual grazia tu vuoi, essendo in mia podestà il farti quella grazia che tu mi domandi. - Il valentuomo mezzo sbigottito, come quegli che non sapea chi ella fosse, quasi quasi non sapea che domandarle, stimando che la fosse una pazza; ma pur poich'egli intese ch'ella gli facea nuove instanze, e gli disse chi ella era, le chiese per sommo favore ch'ella gli aprisse agli occhi il cuore di tutti gli uomini, tanto che avesse potuto vedere quello che di dentro vi covasse. - Sia come tu vuoi, gli rispose Flebosilla, benchè tu chieda un grande impaccio. Te', prendi questa berretta: ella è fatata per modo che, quando tu l'avrai in capo, non vi sarà alcuno che ti dica altro che quello ch'egli avrà in cuore; e senza punto avvedersene, anzi credendosi di dire quello ch'egli vorrà, ti dirà quello che gli cova nell'animo. - I ringraziamenti del valentuomo furono molti e grandi; la fata si licenziò da lui, ed egli si pose la berretta. Ora, diss'egli, io voglio un tratto sapere quello che pensa del fatto mio un certo dottore di legge, nelle cui mani sono le faccende mie, e fra le altre un litigio di grande importanza, dal quale egli mi ha più volte promesso che sarò sbrigato in breve tempo, e io non ne ho mai veduta la fine. Andiamo. - Va: picchia all'uscio del dottore, gli è aperto, lo incontra. Il dottore lo prende per la mano con atto di amicizia, e con molte riverenze lo accetta; ma le parole suonavano in questa guisa: Voi siete il più grasso tordo che mi cápiti alle mani. Fino a qui vi ho pelato quanto ho potuto; ma non siamo ancora a mezzo. Sedete. - Buono! dice fra quegli della berretta; io comincio a comprendere come io sto nelle mani del mio dottorello; e poi voltosi a lui, gli domanda: A che ne siamo della nostra faccenda? Usciremo d'impaccio in breve? - In breve? risponde il dottore: credete voi ch'io sia pazzo? In breve ne potreste uscire, quando io volessi; ma natura insegna che ognuno debba piuttosto tener conto de' fatti suoi, che degli altrui. Non sapete voi che quando voi foste sbrigato, voi non mi ungereste più le mani? Dappoichè ha voluto la fortuna che i fatti vostri sieno intralciati, non sarò io già quello che li sbrighi, no; anzi farò ogni opera mia acciocchè sieno allacciati e annodati sempre più. - Udendo il cliente queste parole, ebbe tanta collera che cominciò a tremare a nervo a nervo, e gli battevano i denti per modo che quasi se li ruppe; ma non volendo scoprire il suo secreto, voltò via, e andò a ritrovare il suo avversario, e cominciò a parlare di accomodamento. Ma quegli dicea: Volentieri, io l'ho ben caro; ma dappoichè tu sei stato il primo a venire a parlarmi di accordo, vedendo che lo fai per paura, voglio che ti costi gli occhi del capo; lascia fare a me. - L'uomo della berretta fu per impazzare udendo tanta iniquità; e partitosi anche di con gran collera, si volse per andare a casa sua e per narrare alla moglie e a' figliuoli quello che gli era avvenuto, chiedendo loro consiglio di quanto egli avesse a fare. Era per la collera pallido e sì smunto, che parea infermo. Sale la scala; la moglie lo vede, e prendendogli la mano in atto di domandargli per compassione quello che avesse, chè lo vedea così alterato, le sue parole sonavano in questa forma: Lodato sia il cielo! Io comincio pur a sperare quello che ho tante volte desiderato di cuore. Vedi cera che hai da essere fra pochi giorni in sepoltura. Egli è assai lungo tempo che penso alle mie seconde nozze, e costui parea un acciajo da non dover mai morire. Olà, o Lucía, scaldagli il letto ch'io spero ch'egli vi abbia ad entrare per l'ultima volta. - Mentre ch'ella favellava in tal guisa e il pover uomo era fuori di per lo dolore, eccoti che gli vengono innanzi i figliuoli, i quali cominciarono a ragionar liberamente fra loro dell'eredità che debbono fare, e a godersi a mente la ventura fortuna. Sbigottito corre giù per le scale, va a ritrovare amici, parenti e conoscenti, e ritrova ogni genere di persone ad un modo. Chi gl'insidia la roba, chi la riputazione; e ognuno glielo dice in faccia. Non trova più una consolazione, non un momento di bene. Chi lo chiama fastidioso, chi sciocco, chi bestia. Non dormiva più la notte, non mangiava più il giorno, gli parea di essere divenuto una fiera de' boschi. Finalmente non sapendo più che farsi, lanciata via da la berretta fatata in un fiume: Va al diavolo le disse, tu sei la cagione della mia tristezza e di ogni mio male. Io avea buona vita con la moglie, co' figliuoli e con tutti gli altri, e li credetti miei amici; maladetta berretta, tu mi hai fatto troppo vedere. - Chi vuol istar bene nel mondo, dee appagarsi delle apparenze.

 

 




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