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Gasparo Gozzi
Prose Varie

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  • PROSE VARIE
    • A chi ama i fatti suoi.
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PROSE VARIE

 

 

A chi ama i fatti suoi.

 

Trovavansi a' giorni passati in una bottega di caffè due uomini dabbene, l'uno filosofo e l'altro che pizzicava alquanto di poeta; ond'io, parendomi che avessero appiccato insieme un ragionamento con molto calore, me ne stava in un canto col mantello quasi fino al naso, per intendere quanto dicessero, senza che paresse mio fatto. Credetemi, diceva il primo, che la favoletta vostra sotto il velo dell'allegoria nasconde una certissima verità. Tutti gli uomini per lo più s'ingannano in questo, che vanno cercando lontanissime cose per trarne utilità o diletto, quando hanno ogni cosa nel proprio paese. Ma il difetto non viene dal popolo, no; viene dagli scrittori, i quali correndo dietro a' trovati nuovi e alle invenzioni strane e fantastiche, scrivono mille bagatelluzze, che a leggerle tutte non se ne cava un'oncia di utile all'umana vita. Due soli oggetti vorrei che avessero sempre in mente gli autori: l'uno, la società di quel paese in cui vivono; l'altro, quella naturale curiosità che hanno gli uomini di sapere. Il primo oggetto farebbe che esaminassero caritativamente quali vantaggi si potessero fare di essa società, e il secondo insegnerebbe loro i mezzi d'invogliare la curiosità del popolo, acciocchè volontieri leggendo imparasse quali sono i vantaggi suoi. Ma che? quello che abbiamo tuttodì sotto gli occhi, ci pare muffatto e non lo curiamo; e mentre che scriviamo libri che ci danno conoscenza delle più minute particolarità dell'Africa o dell'America, lasciamo cieche le genti ne' fatti delle proprie cose in casa loro. - Voi dite bene il vero, ripigliava il poeta; e vedete che continuamente escono i postiglioni, le novelle e le gazzette che ci empiono gli orecchi di cose lontane da noi, e non ci fruttano altro che l'udire in tutti i lati della città i nomi di assedj, di trincieramenti e di altro di questo genere. Corrono le genti a comperare quei fogli in calca: di che si conosce che la curiosità è, come dire, un'anima seconda dell'uomo; e tuttavia non vi ha alcuno che la faccia servire a pro di chi l'ha, e si empiono tutti i cervelli e il cuore di ognuno di novità che non hanno importanza che giovi. Io ho veduto diversi paesi; e in Londra, per esempio, a Parigi, a Berlino, a Vienna, in Amburgo e in altre città ho trovato un'usanza che mi parve assai buona, ed è questa. - Allora io stetti ascoltando con molto maggiore attenzione, ed egli proseguì ragionando in questa forma: Una o due volte la settimana escono certi fogli, ne' quali si contengono alcune cosette che danno piacere a leggere, per ricreare le persone, e certe altre utili e a proposito per le usanze e pegli agi della città. Veggonvisi, per esempio, notate le case vote, le contrade ove sono e il prezzo di quelle: qui il nome di un valente artefice giunto in paese, la sua capacità, la dimora: quivi terreni, quadri, statue, medaglie o libri da vendere; e in somma altre mille particolarità che facilitano gli affari degli uomini nel paese. E se io vi ho a dire la mia intenzione, avea in animo di cominciare siffatta impresa, e la favola lettavi da me, l'avea scritta a questo proposito e per metterla in fronte ad un primo foglio.

Signor mio, diss'io allora allargando il mantello e andando verso di lui, potrei io pregarvi di una grazia? - E di che? disse il poeta. - Che voi, rispos'io, mi leggeste cotesta favoletta vostra di cui parlate. - -Oh, oh! mi diss'egli ridendo, voi fate una grazia a me. Sapete voi che non si può far cosa che più piaccia a' poeti, quanto l'invitargli a leggere quanto hanno scritto? Io sono schietto e sincero, e dicovi di cuore che voi mi fate ora un piacere da esservene grandemente obbligato: eccovi la favola; leggo.

 

 

Il padre che lascia un tesoro al suo figliuolo.

 

Amor, dicea, ridotto al capezzale,

Al figliuolo un vecchiotto alquanto avaro:

Amor che più d'ogni altra cosa vale,

Fe' che in vita ti diei poco denaro:

Or che la morte ho qui presso e m'assale,

Vo' palesarti quel che a te fia caro:

Sempre adunai per te, sempre ho riposto,

E per te solo ho un gran tesor nascosto.

Questo fia tuo, fanne buon uso; in esso

Ritroverai molt'oro e molto argento:

Io l'ho sotterra a poco a poco messo

Pur con molte fatiche e grave stento;

E perchè sia l'averlo a te concesso,

Ti dirò il loco ove lo posi drento.

Sappi... ch'io 'l posi... e mentre volea dire

Ecco il venne la tossa ad assalire.

Onde il catarro tanto e tanto ingrossa,

Che alfin l'affoga, e più non può parlare:

Maledice il figliuol la cruda tossa

Che lo poteva più tardi affogare.

Pur finalmente il pose nella fossa,

E cominciò fra suo cor a pensare

Non alla morte del padre affogato,

Ma duolsi del tesoro sotterrato.

E non sapendo in qual luogo si sia,

Venir fa incontanente zappatori,

E un orto cava e attentamente spia

Se indizio vi scoprisse di tesori:

Ma nulla vede, e va dall'orto via,

E fa ne' campi gli stessi lavori:

Ahi! gli riesce vana ogni sua prova,

Che per molto cavar nulla ritrova.

Alfin più non sapendo ormai che fare,

Si disperava dolorosamente;

più vedendo qual terren cavare,

Nella stanza del padre entra dolente.

Quivi si chiude e non si vuol lasciare

Più, finch'è in vita, vedere alla gente;

Ma giura di morire in quella stanza

Ove nacque e morì la sua speranza.

Mentre che solitario ivi sospira

E morir vuol di rabbia e di dispetto,

Senza punto pensarvi, gli occhi gira

E vede il suol segnato sotto al letto:

Vassene, trova un'asse e a la tira,

E vede quel che il padre gli avea detto;

Lo splendor vede dell'oro forbito

Che agli occhi ed alle mani gli fa invito.

Oh, grida allora, ben fui sciocco e strano,

Chè da lunge cercai tanta ricchezza!

Io l'avea in casa, e si può dire in mano:

Cercarla altrove fu poca saviezza. -

Perchè cerchi, o Lettore, da lontano?

Solo le cose di tua casa apprezza;

In essa hai tue ricchezze e tu nol sai:

Cerca in tua casa, e quelle troverai.

 

 

 




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