LXXIX.
In morte
di Giovannantonio Deluca viniziano.
Manent opera interrupta, minaequa
Marorum ingentes.
Virg.
Ecco
quali edifizi e quali alte muraglie
vengono
da me lasciate imperfette.
Concedami la gentilezza
e umanità di tutti coloro che hanno consuetudine di leggere questi fogli,
ch'io, lasciati per oggi gli usati argomenti ne' quali ragiono brevemente ora
di una cosa ora di un'altra, traendo il tutto ad un certo aspetto di facilità e
ad alcune immaginazioni di piacevolezza, compiaccia in qualche parte all'animo
mio doglioso, e alla mestizia di molti de' miei buoni e cordiali amici. E molto
più siami in tanto liberale ch'io possa, in quanto per me si può, fare
onorevole ricordanza di un egregio giovane, rapito a questi giorni da morte,
poco meno che subitamente, alla conversazione degli ottimi amici suoi, ed in
cui hanno perduta non picciola speranza le buone Arti, delle quali egli era con
tutto l'animo suo sviscerato amatore.
Chi può negare questo
pio uffizio all'amicizia? Chi non può ricordarsi di un giovane il quale avea
congiunte ad un nobile e capacissimo ingegno tutte quelle morali virtù che
rendono un uomo caro a chi lo conosce? Chi dimenticarsi di uno, in cui di
giorno in giorno si vedeano crescere belle e nobili cognizioni, e sempre più
purificarsi i costumi? E come potrò io non ragionare particolarmente, che
conosciutolo quasi da' primi e più teneri anni suoi, vidi, si può dire,
accendersi nell'animo suo le prime faville dell'intelletto, e quelle
continuamente aumentarsi per modo, che fra pochi anni avrebbe dato di sè
bellissime prove?
Fin dalla sua più fresca
età avea egli stabilito di rendersi religioso; e comechè que' più fervidi anni,
principalmente ne' giovanetti d'ingegno sieno difficili a rattemperarsi, è cosa
mirabile a dirsi in qual modo egli avesse già nel cuor suo determinato il
metodo della sua vita. Mai non lo udii a ragionar di altro che di adornare
l'animo suo di onesti e virtuosi costumi; e quegli in cui sapeva egli che tali
fossero, era da lui sottilmente osservato e incontanente amato come fratello,
essendo egli usato a dire che non tanto era obbligato a' libri, quanto alle
azioni di un uomo dabbene: perchè là dove quelli a lungo e con parole
l'ammaestravano, questi con brevità gl'insegnava, gli lasciava più vivi
stampati nel cuore gl'insegnamenti, aggiunti alle circostanze, e da potersene
più facilmente valere nel corso della sua vita. In questa guisa crescendo, egli
era pervenuto a tale, che oltre all'essere di molte belle virtù fornito, egli
medesimo ragionava con tanta acutezza e penetrazione intorno agli animi umani,
che peritissimo conoscitore si dimostrava; e quello che più è, valendosi della
dottrina sua, la facea misura della sua vita. Conobbe e pose ad esecuzione
tutte le obbligazioni che ha l'uomo onesto con la sua famiglia, di tutti i
doveri dell'amistà fu maraviglioso osservatore: nè è fra quanti ebbero di lui
conoscenza alcuno, che pure un menomo difetto nella custodia delle sue azioni
gli potesse apporre. Quanto è alla coltivazione dell'intelletto nelle buone
Arti, delle quali era ardentemente innamorato, non si potrebbe dire con quanto
fervore si desse tutto allo studio. E quello che è degno di non picciola
ammirazione si è che, uscito delle scuole dov'era stato guidato, lontano da
quel vero sapore che fa conoscere la bellezza negli scrittori e allattarsi ne'
buoni e in quelli che profondamente conoscendo la natura, camminano per la
dritta via; conobbe da sè solo l'errore, e per forza di suo intelletto
ritraendosi dal primo sentiero, e pel diritto avviandosi, fece in breve tempo
tanto avanzamento, che se fosse piaciuto a Dio di concedergli più lunga vita,
sarebbesi veduto uno de' migliori e più perfetti sagri oratori di questo
secolo, e insieme uno de' più eleganti e giudiziosi poeti. Datosi a queste due
applicazioni, e principalmente alla prima, parea che gravi gli fossero tutte
quelle ore che di necessità il sonno o gli altri uffizj della vita gli
toglievano allo studio; nè mai di sapere parea sazio. I primi Padri della
Chiesa, e spezialmente i greci, erano il suo amore, e da quelli traeva il sugo
delle dottrine e insieme quella maschia, naturale e vera eloquenza che
congiunge alla persuasione la sublimità convenevole agli argomenti divini e al
sagro dicitore che, dall'alto ragionando, è maestro di grandi ed importanti
dottrine. Per la qual cosa non contento di leggere quegli antichi maestri,
acciocchè più gli entrassero nella mente, e gli si convertissero in sugo ed in
sangue, prima ancora che ordinato fosse sacerdote, avea già volgarizzate
parecchie orazioni di essi Padri greci, dieci delle quali fra le altre,
stimolato dagli amici suoi, publicò10, dicendo, per ischerzo, di essere
obbligato a chi gliele facea dare in luce, perchè correggendo la stampa, avea
nuova cagione di leggere e di studiare quelle opere. Per conforto poi
dell'ingegno e per ricreazione, trapassando da que' faticosi studj alla
dolcezza della poesia, prese a tradurre in verso sciolto italiano Gli orti
dell'Esperidi di Giangioviano Pontano, e cinque egloghe del medesimo
autore11 con tanta grandezza, nobiltà e proprietà di modi, con quanta
può vedere chi legge esso libro, illustrato da lui con molte notizie intorno
alla vita dello scrittore, e indirizzato con elegante lettera in versi a sua
eccellenza Tommaso Quirini, Procuratore di S. Marco. Diverse altre sue opere
rimangono inedite, tanto versioni di autori greci e latini, quanto originali
sue proprie; fra le quali erano già prossimi ad uscire in luce parecchi Sermoni
italiani, dettati in sul modello di Orazio, spettanti a' costumi, e tutti
vivacità e sugo. Delle sue canzoni, sonetti e altri componimenti lo stile è
sodo, massiccio, pieno di pensieri, tinto per tutto del colore dei migliori
poeti italiani, e dall'altro lato libero e spedito dalla servile imitazione;
segno d'intelletto gagliardo, che sa cogliere quello che gli bisogna nella
lettura, senza entrare in ceppi e temere della sua ombra. Sapea oltre a ciò
discendere, quanto il volea, allo stile piacevole e dettare versi faceti, de'
quali molti ne sono nei manoscritti suoi; pieni di urbanità e grazia, e per lo
più saette al mal costume e contro al mal sapore nelle buone lettere. Tali
erano i principj di questo egregio giovane, il quale, si può dire, ancora nella
sua più verde età tanto già fatto avea, quanto alcuni altri non dispregevoli
ingegni potrebbero appagarsi di aver fatto nel corso di una lunga e bene
occupata vita; quando assalito da un male gravissimo, ci venne in poco più che
cinque giorni rapito, e tolto alle buone Arti un lume che le avrebbe non poco
fatte risplendere fra gli uomini; e gli amici suoi furono costretti a scambiare
le lodi in querele per la perdita di un tanto amato giovane, uscito del mondo
nell'anno venticinquesimo dell'età sua, e a volgere in amarezza la loro
speranza. Non sarà, spero, discaro a' leggitori il vedere come alcuni degli
amici suoi compiangano la sua morte.
Di un
Amico.
Vivo intelletto, a cui
sempre si caro
Fu lo
splendor delle più nobili Arti,
Perchè
fuggi da me, perchè ti parti,
La mia
vita lasciando in pianto amaro? -
Risponde: A me più
grazia è l'esser chiaro
In
quest'alte del ciel sì liete parti;
Nè perciò
cessar io posso d'amarti,
Chè a
bene amar sopra le stelle imparo. -
Sì; ma pel tuo sparir
quanto più perde
Delle
belle dottrine il santo lume
Ch'attendeva
da te cortese aita! -
Tanto dettai nell'età
prima e verde,
Ch'io era
a tempo di levar le piume,
Senza
rimorso, alla seconda vita.
Di un
altro Amico.
Se di bei
fregi e di virtute adorno
Non eri in questa
giovanil etade,
Di cui nel più bel fior
morte ti colse;
Se delle sante d'Elicona
Dive
Sempre con forte
infaticabil passo
Tu non seguivi, o dolce amico,
l'orme,
Or che fora di te?
Tenebre e ghiaccio
Sarebbon fascia di tue
membra eterna;
E fra le genti
svanirebbe il nome
Alto per l'aure, onde
saresti polve
Fuor di memoria delle
vive genti.
Dura il tuo nome. Di
ghirlande verdi
Fan ghirlanda le Muse ad
esso, inciso
Ne' sacri allori;
d'onorate fronde
Fangli ornamento, e di
canzoni e note.
Perchè si piange? e qual
mestizia in terra
Copre gli amici tuoi?
Forse non hanno
Qui la parte miglior del
caro amico
Nelle tue carte, e non
rifulge ancora
In esse il raggio del
tuo chiaro ingegno?
Sì, dotti fogli, in voi
spesso rimiro
L'anima pura, d'amistà
fornita,
Che pe' campi vagò delle
dottrine,
E colse il frutto di
beate messi.
Voi dell'ingegno mio,
de' miei desiri
Cibo sarete, io
scioglierò la lingua
Vosco parlando, qual se
ancor vedessi
Del mio Deluca il
desïato aspetto;
Qual se agli orecchi
miei le sue parole
Risonassero ancora e i
dolci versi,
Non è il fior questo del
suo dotto ingegno?
Forse non siete della
sua bell'alma
Voi la parte più pura e
più felice?
Ma perchè piango? E
perchè mai non puote
Dalla memoria mia sparir
la tomba
Che me'l rapisce, e agli
occhi miei lo copre?
Doloroso mio stato! Il
vero intendo,
E non mi giova. Di veder
desio
Il già lunge da me
partito amico,
D'udirlo ancora. È ver
che via dagli occhi
Miei l'immagine sua non
si disparte;
Ma più non parla, e le
fattezze mostra
Quali eran pria: ma di
pallor cosperse,
Ma lievi e preste al
disgregarsi all'aura,
Nè da' nervi congiunte,
e, qual sottile
Vapor, che pur di sè
forma e non forma,
Pronto a sparire,
all'altrui vista oggetto.
O immagine a me cara, a
te consacro
Queste lagrime mie,
questi miei carmi.
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