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Gasparo Gozzi
Prose Varie

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    • VI   Sogno sopra un Cerretano che facea giuocare parecchie bastiuole
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VI

 

Sogno sopra un Cerretano che facea giuocare parecchie bastiuole

 

 

Egli mi parea di essere come in una larga piazza, dove era gran concorso di genti da tutte le parti, quali mascherate e quali no; ma tutte mi aveano aspetto di voler godere senza pensieri. Fra gli altri luoghi la calca era maggiore ad uno specialmente. Quivi io vedea uomini e donne vôlti con la faccia alquanto all'insù, e alcuni appoggiavano il mento sulle spalle di chi gli stava innanzi, e chi rizzatosi sulle punte de' piedi, allungava il collo per vedere; di che sentendomi l'animo acceso in curiosità, feci come gli altri e mi posi fra gli spettatori. Era dinanzi a noi rizzato un palco, e sopra di quello passeggiava or dall'una, or dall'altra parte un uomo mascherato, il quale favellava al popolo; ma io non potea colpir bene le parole per essere da lui lontano: onde domandato uno che mi stava d'accosto, chi quegli fosse e che quivi facesse, mi venne risposto ch'egli era un cert'uomo dabbene, il quale mascheratosi contraffacea il cantimbanco o venditore di bagattelle, e che con tale imitazione avea fino allora dato non picciolo diletto alle persone. Per la qual cosa desiderando io allora molto più di vedere e di udire, fra gente e gente mi feci la via, ora con buona licenza ed ora spingendo e ricevendo qualche gombito ne' fianchi o nello stomaco, tanto ch'io andai molto bene avanti e fui al palco vicino. Avea in quel tempo il buon uomo tratto fuori una sua bertuccia, e vestitala a modo di femminetta, con una cuffia in capo fornita di un bel fiorellino, al collo avea un collaretto squisitamente lavorato, alle braccia bellissimi manicottoli, e in somma vestita, che avreste detto lei essere una donnicciuola. La bestiuolina era ammaestrata per modo, ch'ella fingeva ora di essere affacciata alla finestra, e facea attucci e chinava il capo come se avesse salutato alcuno, e appresso aggiungeva un certo risolino; poi la si metteva in contegni. Ora pigliava un libro in mano e menava le labbra in fretta, fingendo di leggere, ma in fatto guardando con la coda dell'occhio fuori delle carte. Poscia la facea come le viste di uscire di casa, e passeggiava dimenando le sue membroline co' più bei passini che mai vedeste, e di tempo in tempo si voltava indietro adirata, mettendo le mani sulla veste, come se alcuno gliel'avesse calcata dietro co' piedi. Ma mentre ch'ella volea più altre imitazioni fare, delle quali parea che alcuni si rallegrassero, una brigata di donne che quivi era, volse le spalle, dicendo che quelle erano frascherie da annojare e ammazzare e non da ricreare un comune, e che l'erano andate colà credendosi di udire cose d'importanza e non di vedere storcimenti e visacci. Il buon uomo, udito l'amaro motteggiare e il fastidio di una parte de' suoi spettatori, benchè l'altra sembrasse soddisfatta, chiuse la bertuccia in una certa casipola di legno e trasse fuori un pappagallo. Avea questo uccello, come molti della sua specie, favella umana; ma articolava chiaramente e speditamente le parole quanto altro pappagallo che fosse mai stato; e oltre a ciò non dicea le parole interrotte o non significative di qualche cosa, ma avea imparate a mente molte novellette morali, e fra le altre mi ricordo ch'egli disse una favoletta a questo modo: Signori, meglio è appagarsi dello stato proprio, che credere alle speranze che ci vengono date dagl'ingannatori

E' fu già pochi giorni passati in una bottega un topolino, il quale avendo speso tutto il suo in mangiare lautamente, vivea dell'altrui e andava trafugando ora una cosa ed ora un'altra al bottegajo: ma la coscienza lo rendeapauroso, che ad ogni momento gli parea di dare nelle ugne del bargello o di entrare in qualche trappola. Avvenne un giorno che al padrone furono presentate in un canestro due dozzine di ostriche grandi e belle, le quali dovea egli mangiare la sera. Per la qual cosa, quando fu venuta l'ora, le prese e chiuse il fondaco; ma una di esse, non avvedendosene egli punto, cadde in terra e quivi rimase.

Era la rimasa ostrica per avventura di un naturalemisero e spilorcio, che di rado usciva di casa, mai andava fuori, altro che per buscare qual cosa; e dove non vedea guadagno, la non conoscea nessuno. Pure a questa volta per sapere ov'ella si fosse, aperto i nicchi, la cominciò a guardare intorno, e vedendo le merci della bottega, divenne tutto desiderio che le fossero sue, come quella che in mare le avea volte conosciute, e veduto come i pesci grossi si avventavano a quelle a bocca aperta. Intanto ecco il topolino ch'esce alla cerca, ed ella credendo che quello fosse il padrone della bottega, la si diede con molte lusinghe a lodarlo, e a dirgli ch'ella avea molte belle perle e che desiderava di far seco società nel traffico, e l'invitava in casa sua con quell'animo che udirete poi. Il topolino che povero era, pensando di avere in quella notte qualche gran ventura, s'infinse e non negò di essere il padrone; anzi, ringraziandola grandemente delle sue profferte, accettò l'invito. Ma non sì tosto ebbe fra due gusci messo il capo, che la maligna ostrica, la quale avea già fra sé pensato di acquistarsi sola quanto avea nella bottega veduto, chiuse le nicchie con tanta forza, che il topolino rimasevi dentro affogato e gastigato in tal forma della sua mal fondata speranza.

In tal guisa favellava il pappagallo, e molti l'udivano a bocca aperta; ma parecchi altri infastiditi, se ne andavano dicendo: Noi non siamo più a' tempi di Esopo, quando favellavano le rane: questi sono spassi da bambini. - Allora la maschera che facea il bagattelliere ingabbiò il pappagallo, e in scambio fece uscire due giovani, un maschio e una femmina; il primo de' quali ne venne suonando un liuto, e l'altra incominciò a danzare, anzi a far salti di sì varie sorti e sì pericolosi, ch'io non so come la non si fiaccasse il collo mille volte. Ma mentre che cotesti due giovani si affaticavano con maraviglia de' circostanti, vedevasi un uomo con gli occhi incavati, giallo che parea impolmonato, e per giunta zoppo da tutti due i piedi, il quale con alta voce diceva a chi stava d'intorno, che avea trovato in sui libri che la danza di oggidì non è nulla appetto di quella degli antichi Greci, e narrava non so che salti di una fanciulla riferiti nel Convito di Senofonte, e altamente biasimava la usanza del danzare di oggidì, come una cosa priva di arte e di garbo. Intanto era quasi tramontato il sole; onde la maschera, ringraziata la udienza prima di partirsi, chiuse il suo parlare con queste parole: Io ho procurato d'intrattenere ognuno in diverse fogge; alcuni sono rimasi appagati di una cosa, alcuni altri da un'altra: così va in un gran popolo. Verrò qualche altro ; cercherò nuove cose; ma così sarà ancora. Addio.

 

 

 




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