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Gasparo Gozzi
Prose Varie

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    • VIII.   Le Civette. Favola.
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VIII.

 

Le Civette. Favola.

 

Dicono gli storici degli uccelli, che un tempo vedendo le civette la bellezza de' cardellini, le variate penne delle colombe e le dipinte code de' pavoni, ebbero di ciò dispetto; e per non confessare che al paragone degli altri uccelli esse erano sozze e deformi con quelle piume bige e con quegli occhiacci gialli e rotondi, incominciarono a dire un gran male delle fattezze degli altri uccelli, e a biasimargli quanto poteano. Ma vedendo che gli ascoltanti si stringevano nelle spalle, o ridevano o diceano loro villania, stabilirono di ritirarsi in solitudine e di sfogare fra la loro maligna intenzione. Elessero dunque per luogo di loro congresso un'antica colombaia, per quivi raunarsi, e lontane da tutti gli uccelli tenere a modo loro una conversazione di maldicenza. Intanatesi colassù e affacciatesi a' finestrini, non vedevano mai a passare innocente colomba o tortorella semplice, dalle quali non aveano mai ricevuto offesa veruna, né l'avrebbero mai ricevuta, che la motteggiavano con certi rozzi scherzi e con un certo ululato che di mostrava la loro trista natura. Alcuni uccellini che nella stessa colombaja aveano la loro abitazione, udito il mal costume delle novelle bestie, si spiccarono di e abbandonarono il luogo disonorato dallo sparlare delle importune civette; e tanto si sparse la fama dell'immondo luogo, che non vi era uccello che più passasse di , credendo che fino la maladett'aria lo dovesse appestare. Vedendo gli uccellacci strani che non poteano più svillaneggiare il prossimo, si diedero per passatempo a dir male de' proprj padri che gli aveano ingenerati, delle madri che aveano covate le ova dond'erano usciti; e non bastando loro, quando uno di essi andava fuori per cercar cibo o per altro, diceano male di lui; e non potendo altro fare, rendettero sé medesimi bersaglio della lor maldicenza.

 

 

 




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