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Gasparo Gozzi Prose Varie IntraText CT - Lettura del testo |
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XV.
Cenni intorno all'Educazione.
Quel mirabile e superlativo capo di Platone dice in uno dei dialoghi delle Leggi, che a farle ubbidire volentieri, anzi spontaneamente dagli uomini, conviene dalla prima giovinezza allevargli per modo e far loro prendere piega tale, che un giorno finalmente non si avveggano di essere alle leggi soggetti, ma assecondino la volontà di quelle e le ordinazioni, come se natura parlasse in iscambio di statuti. Per dichiarare con qualche netta comparazione l'effetto della educazione che io dico, egli mi pare, per una via di dire, che le leggi sieno quale una bene ordinata e armonizzata danza, la quale si abbia a fare solennemente e alla quale debba entrare ognuno a fare, secondo la figura sua, i passi senza sconciare l'ufficio e gli atteggiamenti altrui. Per far sì che l'uomo vi entri a suo tempo ed eseguisca interamente gli ordini che la compongono, verrà dunque avvisato prima a tenere il corpo suo diritto a movere a poco a poco e con certe belle misure i piedi, a dare un garbato e soave atteggiamento alle mani, e a fare altre gentilezze fino col capo e con la guardatura. Tale educazione e pratica di corpo, acquistata di giorno in giorno, gli avvezza l'orecchio alle cadenze del suono, la gamba, il piede e il braccio ad assecondarlo a tempo, in guisa che ritrovandosi alla danza comune, fa naturalmente e senza fatica quanto l'ordine e l'armonia di quella richiede. All'incontro se non si fosse accostumato prima al nome dei passi, ai movimenti ed alle altre appartenenze, entrato in danza, farebbe ogni cosa fuor di dovere per sè e metterebbe in iscompiglio altrui. Io avrei parecchi esempi d'arrecare avanti per dimostrare gli errori che si commettono nella educazione, sicchè le leggi riescono nuove ed acerbe ai giovani già ingranditi, e sì diverse dal costume già preso e dalla intenzione nell'animo loro stabilita, che si assoggettano ad esse a fatica, ed interrompono l'ordine e l'armonia dei patti nella società con iscompiglio della quiete altrui e talora con la propria rovina. Un solo esempio sceglierò fra tutti, lasciando a chi leggerà la cura di altre considerazioni, e di aggirare l'intelletto per varie circostanze a confermare sempre più la verità del detto da me riferito di Platone. Non è cosa al mondo che venga più comunemente lodata della ricchezza, e dovunque essa si ritrovi e comunque acquistata sia, è l'ammirazione di tutti; all'incontro è la povertà biasimata universalmente. Venga o dalle percosse dell'avversa fortuna, contro alla quale l'uomo non ha potere, o dalla virtù medesima dell'uomo, il quale, per non macchiare la coscienza e la riputazione, del suo proprio stato si appaghi, o non tema, in grazia del suo buon nome, il minoramento delle facoltà sue; non solo non riceve commendazione, ma ne viene beffata. Di qua nasce che fin da' primi anni della più tenera giovinezza si appicca nell'animo umano un orrore così grave contro alla povertà, e tale nimicizia contro al solo nome di quella, che chi non può fuggirla, tenta almeno con l'apparenza di farsi credere altrui quegli che non è, e di apparire maggiore e più ricco di quello che in effetto si trova. Come potrà dunque un uomo il quale ha per fondamento di credenza il dover essere schernito delle calamità sue, non cercare ogni mezzo di fuggire le altrui beffe? e in qual guisa si frenerà e tempererà l'animo suo sì che non tenti ogni via per non manifestarsi sfortunato e degno di riso? A che gioveranno allora le santissime leggi del non danneggiare altrui, s'egli sarà allevato colla intenzione che il maggior vituperio del mondo sia l'essere povero di beni di fortuna? chi non sarà usurajo, ladroncello, aggiratore e peggio? Oh, almeno fosse fatta una distinzione, che fossero scherniti coloro che per infingardaggine e per ozio si stanno con le mani a cintola, chè questo forse gioverebbe all'esercizio più diligente e sollecito delle arti! Oh, almeno fosse libera dalle beffe quella stremità di beni che non solo non ha colpa, ma è virtuosa e nata dal desiderio di conservare una incorrotta fama a sè stesso e lasciare alla società una discendenza onorata!
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