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Gasparo Gozzi
Prose Varie

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    • XXIV   Riflessioni intorno all'utilità de' Romanzi.
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XXIV

 

Riflessioni intorno all'utilità de' Romanzi.

 

Fu il parlare degli uomini somigliante

alle usanze del viver loro....

e il genere del ragionare

talvolta imita i pubblici costumi.

Seneca, Epist. 114.

 

Da' miei primi anni fino al presente io ho sempre provata una somma dilettazione nel leggere le opere de' poeti e degli scrittori de' romanzi; mi vergognerò a dire che mi sono ora maravigliato, talvolta piansi e talvolta risi di cuore, avendo un animo sensitivo e tenero alle passioni quanto una femmina, comechè al viso paja tutt'altro. Non in tutto il corso però della vita mia gli lessi con la medesima intenzione. Quando la età mia era più verde, m'intrinsecai tanto con Amadis di Gaula, col cavaliere Splandiano, con don Rogello di Grecia, che mancò poco ch'io non salissi un a cavallo, come don Chisciotte, e andassi in traccia di venture in certi boschi del Friuli; e quand'io andava solitario per una via con uno di quei libri in mano, mi parea di tempo in tempo di vedermi a nascere davanti agli occhi le castella, sentir a gridare donzelle che implorassero la mia difesa, o giganti che mi si avventassero incontra con le mazze ferrate, e stringeva i denti come se io fossi stato in battaglia. Passai da quel genere di romanzi ad un altro, e cominciai a leggere l'Uomo di qualità, il Decano di Killerina, la vita e le avventure di Marianna, e altri sì fatti; e allora le villanelle friulane apparivano agli occhi miei tutte gentildonne francesi, e fino alle loro asinità più goffe mi parvero gentilezze. Quando piacque a Dio, trascorsero gli anni (così non fossero andati tanto in fretta), e appresa, parte per umore naturale e parte al fischio di una certa sferza, la lingua latina, mi tuffai nell'Eneide, e di presi ad aver piacere a leggere gli Amori di Abrocome e di Anzia, di Leucippe e di Clitofonte, di Dafni e Cloe, e somiglianti pazziuole di tutti i tempi. Non sono passate molte settimane, che mi vennero in pensiero gli anni da me consumati in sì fatte lezioni, e dissi fra me: Che diavol ho io imparato tenendo per le mani sì lungo temposterminate bugie? - E facendo ragione da me a me, vidi che non avea gittata affatto la mia fatica, che dicea male a credere che i romanzi e i poemi sieno bugie, dappoichè se mai ci fu verità al mondo, essa in opere tali si ritrova; e più che non ci fossero tali componimenti al mondo, a pena si saprebbe quali fossero stati i veri costumi di alcuni popoli in alcuni secoli. Per grazia sola di sì fatte invenzioni si sanno. - Dove lasci tu le storie? - Le storie si professano amiche della verità, e gli storici affermano che scrivono il vero; ma l'uno ama la sua nazione, e ne dice bene più che non dovrebbe, e per conseguenza biasima le altre: un altro ha timore, e scrive quello che può; chi vuol trarre danari, chi tira le cose dove vuole per mostrare eloquenza: e così senza punto avvedersene la verità rimane da un lato. In tal guisa scrivono quasi tutti gli storici, i quali dettano le cose che nascono sotto agli occhi loro. Quei che vengono dopo, non le sanno, e si attengono a' primi, aggiungendovi mille favole, piuttosto secondo il capriccio loro, o appoggiate a certi fondamenti usciti delle prime circostanze, e tratti con le tanaglie e co' denti a provare quel che vogliono scrivere tanto che posso dire quel verso:

 

In principio era bujo, e bujo fia.

 

All'incontro i poemi e i romanzi fanno professione di narrare favole e bugie; e gli scrittori di quelli senza punto avvedersene ci lasciano ripieni i libri loro di una verità che risplende da tutte le parti. I costumi di tutti i secoli e di tutti i paesi sono dipinti in cotali opere, e vi si veggono, come in uno specchio, dall'un capo all'altro; tanto che se ci fossero rimasi di tempo in tempo romanzi dal diluvio in qua di ogni nazione e di ogni tempo, noi vedremmo quali virtù o quali vizj regnarono ne' popoli, e come in un secolo regnò più l'uno che l'altro. Vegnamo alla dichiarazione, che non paresse ch'io farneticassi. La poesia e la favola sono un'imitazione della natura trovata per dar diletto; dicono alcuni anche per utilità; ma questo ne venne dopo. Perchè l'imitazione sia dilettevole, la dee dunque aver l'occhio alla natura, traendo dal vero che vede, una certa verisimiglianza. Da questa similitudine nasce il piacere; perchè l'animo di chi confronta l'originale con la copia sente in quel subito diletto della sua capacità nel giudicare, e, senza avvedersene, è, per così dire, grattato da quell'astuto traforello dell'amor proprio. Per la qual cosa l'avveduto poeta o romanziere non esce punto nell'imitare da' costumi de' tempi suoi, e mette sotto gli occhi degli ascoltanti o de' leggitori quelle cose che vede essere le più comuni, acciocchè i ritratti suoi sieno più universali e più comunemente ricevuti e graditi. Poni questo principio, e leggi, per esempio, Omero: tu vedi da per tutto spirare nell'Iliade ira, guerra, vendette, fraudi, superstizioni. La sua imitazione fu ricevuta e applaudita da tutti. Credi tu di errare, se dirai che nel secolo suo furono i Greci, quali vengono da lui imitati nel suo poema, che piacque perchè imitò così bene i costumi di que' giorni? Non vi furono popoli più morbidi de' Sibariti; e se altri non ce lo dicessero, le poche favole che ci rimangono di quelle genti, ce lo direbbero abbastanza. Leggi que' romanzi de' Greci, ch'io nominai di sopra, e vedrai popoli in ischiavitù, e tuttavia tuffati nelle morbidezze e ne' delirj di Venere. Mi basterebbe questa sola testimonianza a credere che tali fossero; ma lo confermano i Padri greci, che nelle loro omelie rinfacciano a quelle genti mollezza e deliziestudiate e squisite, che a petto loro noi viviamo ancora ne' boschi e mangiamo ghiande. Quell'inondazione di romanzi maravigliosi che ci vennero dalla Spagna, ci dipingono prima il carattere degli Spagnuoli di animo alto e inclinato alla maraviglia; e se piacquero un tempo tanto anche fra noi, ciò fu perchè gli Spagnuoli venuti allora in Italia l'empierono di loro costume. - Come mai, dirai tu, poteano gradire quelle battaglie continue, quelle disfide, quegli amori eroici tirati in lungo? - Immagina che a que' tempi si usassero condottieri di arme, che tutte le feste pubbliche fossero torniamenti e giostre, che ognuno fosse spadaccino, che le femmine non avessero una libertà al mondo, in breve, che tale fosse la natura e il costume de' popoli, quale l'imitazione di que' romanzi. Prima di quelli il poema di Dante, cantato per le vie allora fin da' mugnai e da' fabbri, di che ci fa specchio? Di popoli, divisi in fazioni, d'ira, di satira, di astuzie, di tradimenti. Leggi Dante, e vedi dipinto il suo secolo. Con questa norma trascorri tutti i poeti e i romanzieri che ci rimangono, e sii certo che sotto mascherati modi e inventate azioni hai sotto agli occhi la pittura di quelle città e paesi ne' quali scrissero gli autori, molto meglio che negli storici. Se vuoi averne una prova più certa, leggi i migliori romanzi di oggidì. Nota di che trattano, e in che si affaticano, quali pitture ti presentano, quali imitazioni cerchino per dilettare maggiormente, e per essere più universali, e medita anche leggermente, anche di passaggio; e vedi se il secolo non ti si presenta in effetto, quale in essi lo vedi dipinto; e più in quelli che sono i più celebrati e i più cari. Vuoi tu forse ch'io vada oltre, e che ti faccia anche una comparazione fra il nostro secolo ed i romanzi? Ho scoperto la via e detto come dei fare. Molto maggior diletto avrai se paragoni da te; e io ne lascio a te la briga per non mozzarti il piacere.

 

 

 




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