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Gasparo Gozzi
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    • XXVI.   Ragionamento di Luciano intitolato: Il Maestro di Rettorica.
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XXVI.

 

Ragionamento di Luciano intitolato:

Il Maestro di Rettorica.

 

Tu chiedi o giovane, in qual forma potresti diventare buon rettorico, e come tu ancora potessi parere altrui sofista, nome onoratissimo, e in tutte le bocche oggimai celebrato. Affermi non esserti cara la vita, se non acquisti una certa attività di favellare, da essere invincibile, da non avere chi ardisca di starti a fronte, da diventare uom mirabile e segnalato, per modo ch'ardano di voglia di udirti i Greci tutti. Per tal cagione quante e quantunque si vogliano strade che a ciò conducano, di sapere procuri. Sappi, fanciul mio, ch'io non ne sento invidia, massime se qualche giovane di squisitissime cose desideroso, non sapendo donde acquistarle, viene, come tu fai, a pregarmi di consiglio, ch'è pure una cosa sacra. Odi dunque quanto io posso fare, e abbi fede che prestissimo sarai uomo acuto sì per discernere quanto bisogna, come per ispiegarti con parole; se pur vorrai attenerti a quanto dirò, e con diligenza meditarvi sopra, proseguendo sollecitamente il tuo cammino fino a tanto che tu sia al termine pervenuto.

Tu vai a caccia di faccenda non piccola, e nella quale poca attenzione non basta, ma vi abbisogna molto affaticarsi, e vegliare, e sofferire non poco. Vedi un tratto quanti uomini che prima erano da nulla, e chiari e ricchi, ti giuro, anche nobili son divenuti per la facoltà del parlare. Non ti sbigottire però; perchè ti si propongano speranze di cose grandi, la difficoltà del conseguirle ti tolga il coraggio, sì che tu pensi di aver prima a tollerare fatiche infinite. Non ti condurremo noi già per cammino aspro, dirotto e pien di sudore, da darla indietro a mezzo per istanchezza; chè così facendo, non saremmo punto migliori degli altri che guidano per la consueta via lunga, disastrosa, faticosa e per lo più da far disperare. Del nostro consiglio questo è il buono, che per via deliziosissima e principalmente corta, da capirvi anche i cavalli, e che piacevolmente scende con molto piacere e diletto in fioriti prati, e sotto una fresca ombra oziosamente passeggiando, ti troverai sulla cima senza una stilla di sudore, e avrai côlto la preda senza fatica: e, così mi ami Dio, come tu sarai giunto a banchettare sedendo, quando vedrai dall'alto quanti avranno preso l'altro cammino, ansanti sul principio della salita, appena andare carponi per difficili e sdrucciolosi precipizj, talvolta tombolare a capo di sotto, e in quelle acute rupi riportarne ferite; dove tu all'incontro, molto prima incoronato, felicissimo sarai sulla sommità, avendo acquistato quanti beni ha la Rettorica in breve tempo e quasi dormendo.

Grandissima promessa in vero; ma io ti prego per quel Giove che dell'amicizia è protettore, prestaci fede quando ti diciamo che t'insegneremo cose facilissime e soavissime insieme. Che se Esiodo, per poche foglie ch'egli tolse di Elicona, diventò in un subito di pastore poeta, e dalle Muse invasato cantò la generazione degl'Iddii, perché negherem noi, che rettorico (cosa che pare sta di sotto alla magnificenza del parlare poetico) non possa un uomo farsi in poco tempo, s'egli impara la prestissima strada?

E qui io ti voglio narrare di un certo mercatante di Sidone il trovato, che non riuscì, perchè appunto non gli venne creduto, e non apportò a chi fu detto utilità veruna. Comandava Alessandro a' Persiani, avendo già vinto Dario ad Arbella. Occorreva che per tutte le parti dell'impero andassero in diligenza corrieri con gli ordini di Alessandro. Lunghissimo era il cammino della Persia all'Egitto. Doveansi circuire montagne, poi per Babilonia andare in Arabia, e di finalmente, passato un lungo deserto, pervenire in Egitto: tanto che il corriere, per quanto fosse lesto, dovea fare un corso di venti lunghissime giornate. Ne rincresceva ad Alessandro, come a colui che avendo udito gli Egiziani macchinare qualche novità, non potea, quanto avrebbe voluto, soliccitare i satrapi di quanto volea circa gli Egiziani. Dissegli dunque il mercatante di Sidone: Re, se tu il vuoi, io ti do parola d'insegnarti una via non lunga che dai Persiani all'Egitto conduce. Chi passa questi monti, che può passargli in tre , immantinente è in Egitto. - E così stava la cosa come costui la diceva: ma Alessandro stimò il mercatante essere un impostore, e non gli credette. Così le promesse maravigliose pajono incredibili a molti. Tu però ti guarda molto bene che così non ti accada; imperocché sperienza ti farà conoscere che senza contrasto puoi riuscire ottimo rettorico, volando in un giorno anche non intero di del monte della Persia in Egitto. Prima però, come già fece Cebete, io ti voglio far con le parole vedere la dipinta immagine dell'un cammino e dell'altro. Due sono che conducono a quella rettorica da te tanto bramata. Essa intanto sopra la sommità se ne sta a sedere, in ogni sua parte bellissima, col corno di Amaltea copioso di ogni frutto nella destra. Dalla sinistra parte immaginati Pluto dio della ricchezza tutto amabile, tutto di oro. Vi sono gloria, potere, applausi che la circondano da ogni parte, come Amorini che l'uno l'altro si abbraccino, e qua e colà le svolazzino intorno. Se tu vedesti mai dipinto il Nilo, che mentre egli si sta a sedere sopra un coccodrillo o un caval marino, come rappresentanlo molti pittori, ha d'intorno a certi scherzanti fanciullini, chiamati cubiti dagli Egiziani; tali intorno alla Rettorica sono gli applausi. Accóstati tu che l'ami, tu che hai tanto desiderio di essere prestissimo su quella sommità; che avrai, quivi salito, lei per moglie, e acquisterai tutti que' beni di ricchezza, di gloria e di applausi, tutti dote del marito per legge.

So che, accostatoti alla montagna, nel principio crederai impossibile l'andar su, e ti farà quell'aspetto che fece la montagna d'Aorno veduta da' Macedoni, da ogni parte dirotta, malagevole da oltrepassarla fino agli uccelli, e da adoperarvi Bacco o Ercole chi avesse a prenderla. Di a poco ti si scopriranno certe due strade; l'una di esse sentieruzzo stretto, dalle spine coperto e aspro, che ti fa veder la sete e il sudore. Esiodo con un bel dire già lo descrisse, onde non è bisogno ch'io ne dica di più. L'altra è larga, fiorita, innaffiata, e qual poc'anzi ti dissi; ch'io non voglio trattenerti a dir le stesse cose più volte, perch'io ti arresto, e tu potresti già esser rettorico.

Una cosa sola io ti aggiungo, che per quella disastrosa via non molte orme di viaggiatori si trovano, e se alcuna ve ne ha, sono antichissime. Meschino me! che anch'io per quella ne andai tanto affaticandomi senza ragione. L'altra, come quella ch'è piana e non ha impedimento veruno, io la vidi benissimo com'è fatta da lontano; ma per essa non andai tuttavia, perchè, essendo allora giovane; non conosceva il migliore, e credea che quel poeta dicesse il vero, cioè che dalle fatiche nascessero i beni. Ma la cosa era altrimenti; vedendo io che molti senza fatica veruna hanno acquistato beni molto maggiori, solamente per aver saputo scegliere fortunatamente e ragionevolmente le strade. Condotto dunque a' due capi dell'una via e dell'altra, so che starai in dubbio, e lo sei tuttavia per sapere a qual di esse volgerti. Ma quello che dei fare per salire facilmente alla sommità, per essere beato, per acquistarti quella sposa, e per renderti a tutti maraviglioso, tel dirò io. Basti bene che mi sia ingannato io con mille stenti; ma a te nascano tutte le cose senza sementiaratro, come a' tempi di Saturno.

E ti si accosterà di prima giunta un uomo robusto, pendente all'austero, con passo virile, tinto il corpo dal sole, con volto maschio e vigilante, guida di quell'aspra via; e lo sciocco giunto a te, ti dirà mille inezie, animandoti a seguitarlo, e ti dimostrerà di Demostene, di Platone e di parecchi altri l'orme veramente grandi e molto maggiori di quelle di oggidì, ma che appena si veggono, e sono le più pel tempo svanite. E ti dirà che tu sarai beato, e che ti sposerai alla Rettorica legittimamente, se camminerai per quelle, come coloro che vanno sulla fune; ma che, se tu vai tantino fuori della linea, o metti l'orma un poco più qua o più , uscirai della dritta strada che conduce alle nozze. Dipoi e' ti dirà che tu imiti quegli antichi uomini, mettendoti avanti esempi stantii di orazioni non facili da imitarsi, come son quelli della vecchia bottega di Egesia, di Cratete e di quell'Isolano, stretti, nerboruti, aspri e tirati quasi a filo di sinopia. Ti dirà ancora che son necessarie fatiche, veglie, bere acqua e vestir male; che non si può causarsi da ciò, perchè senza questo di esso cammino non si va al termine. Ma più di ogni altra cosa t'increscerà ch'egli ti stabilirà un lunghissimo tempo per far quel cammino, numerandoti molti anni, non per giorni o per mesi, ma per olimpiadi intere; in modo che chi l'ode, sbattuto avanti della fatica, quella abbandona, e alla felicità che sperava un addio eterno. Oltre di che egli avrà ancora l'ardimento di chiederti non picciola mercede di tanti mali, ti si farà guida, se non riceve da te qualche gran cosa anticipatamente.

Tutte queste cose ti dirà quel disusato uomo, rancido, e che veramente ha odore di Saturno; il quale antichi morti propone da imitare, e vuole che tu disotterri orazioni già da lungo tempo seppellite, comandandoti, come grandissimo profitto, che tu cerchi di somigliare a quel figliuolo di un fabbro da spade Eschine, o a quello di Atrometo Demostene grammatico; quando siamo in pace, quando non ci è Filippo che assalisca, Alessandro che comandi, nel qual tempo erano utili i loro ragionamenti; e non sa che oggidì si è trovata una nuova, una breve e una non faticosa e dritta via d'insegnare Rettorica. Tu però non gli prestar fede, gli badare, che e' ti rovinerebbe da' fondamenti, e ti farebbe tra gli stenti invecchiare prima del tempo. Ma se tu porti veramente alla Rettorica quel grande amore che tu professi, e vuoi fra pochissimo tempo averla in tuo dominio, mentre se' ancora vigoroso, che così sarai tu amato da lei; lascia andare quel setoloso uomo e più che uomo; vi salga egli con quanti altri e' può far cadere alla trappola sua, lasciagli ansare e grondar di sudore.

Passa intanto alla strada di , dove tu ritroverai altre parecchie persone, e fra loro un certo uomo che tutto sa, ch'è tutto bello, che si dimena come una cutrettola camminando, che ha testa pendente, volto di donna, voce soave, odor di manteca; colla punta del dito si gratta il capo, che que' pochi suoi ma neri e ricciuti capelli con ogni diligenza si aggiusta, quasi morbidissimo Sardanapalo o Cinira, e lo stesso Agatone vezzosissimo poeta tragico. A tali indizj io dico che tu lo conoscerai; poichè una cosa che ha tanta divinità, ed è così cara a Venere e alle Grazie, non può occultarsi. Ma perchè parlo io in tal forma? S'egli ti si accostasse, che tu avessi gli occhi chiusi, e ti dicesse qualche cosa con quella sua melata bocca, con quella sua consueta vocina, tu conosceresti di subito che non è alcuno della spezie di noi, che mangiamo de' frutti della terra, ma ch'egli è qualche strano spettacolo, di rugiada e ambrosia pasciuto. Se ti approssimi dunque a lui, se a lui ti consegni, eccoti fatto retore e nobile, e come egli suol dire, fatto re, senza fatica, dal cocchio dell'eloquenza portato; perchè non sì tosto ti avrà egli accettato, che questi saranno i suoi primi documenti.

Ma lasciamo ch'egli medesimo ti parli; poichè sarebbe cosa ridicola che volessi per un sì fatto retore favellar io, forse cattivo istrione da rappresentare tali cose e sì grandi, tanto che poi, cadendo in qualche luogo, corro pericolo di rompere la maschera dell'eroe ch'io rappresento. E' ti parlerà a un dipresso in tal forma, dappoichè si sarà lisciata quella poca chioma che gli rimane, e avrà fatto quel suo vezzoso e dolce risolino ch'egli usa, imitando Autotaide comica, o Maltace o Gliceria nella lusinga della voce; perchè l'aver faccia virile è cosa rozza e non conveniente ad un retore amabile e dilicato.

Egli dirà dunque parlando con gran modestia di : Forse, o dabben giovane, se' tu stato mandato a me da quel Pitio Apollo, il quale nominò me l'ottimo di tutt'i retori, come a Cherefonte, che glielo richiedeva, dimostrò qual fosse il sapientissimo fra tutti gli uomini viventi in que' tempi? Che se così non è, ma per ispontaneo amore di gloria qui vieni, sentendo tutti far le maraviglie grandissime di noi e decantarci e stupirsi e averci in somma riverenza, poco starai a sapere a qual uom divino se' tu venuto. Attendi però di veder cose da non potersi paragonare a questa o a quella; ma grande e prodigiosa ti parrà affatto sopra le altre l'opera nostra, come se Tizio, Oto o Efialte vedessi; imperocchè vedrai tanto essere superati gli altri da me nelle grida, quanto dalla tromba i flauti, dalla cicala le api, e da' cantatori a coro coloro che intuonano.

Ma giacchè tu esser vuoi retore, il che non potresti da verun altro apprendere più facilmente, fa, o cura e amor mio, quel tanto ch'io ti dirò, e tutto eseguisci, osservando con diligenza le regole ch'io sono per darti. Anzi oggimai inóltrati pure, dubitar, temere, quando anche non avessi cominciato da quelle faccende che un'altra anteriore disciplina propone prima della Rettorica alle genti vane e pazze, quasi per apparecchiar loro la strada. Non ti fanno di bisogno, no. Ma, come dice il proverbio, davvi dentro senza lavarti i piedi, che non sarai perciò a peggior condizione, quand'anche non sapessi scrivere l'abbiccì, cosa tanto comune. Bene altra cosa, e sopra tutte queste favole, è il retore.

Io ti dirò bene quale dee essere quel provvedimento che tu dei quasi per viatico teco arrecare da casa tua in questo viaggio, e come dei la vettovaglia apparecchiare per poterlo terminare in pochissimo tempo. Parte poi additandoti quel che abbisogna mentre cammini, e parte avvisandoti prima che il sole tramonti, io voglio renderti oratore superior a tutti, qual son io, che senza contrasto ho il primo, il secondo e il terzo fra quanti si cimentano ad un oratorio parlare. Arreca dunque teco principalmente ignoranza, poi temerità, audacia e sfrontatezza; verecondia, bontà, modestia, rossore, lasciale a casa. Cose inutili e contrarie all'impresa. Arrecavi un gridare altissimo, una modulazione ardita, un camminare come il mio. Queste son cose necessarie, e che talvolta bastano sole. Abbi veste dilicata e bianca, fatta in telajo di Taranto, perché trasparisca il corpo; pianella attica da femmina, frastagliata, o scarpetta sicionia, che con calzaretto bianco è più vistosa; molti che ti seguano, e sempre un libro. Tutte queste cose unite dei aver teco.

Il restante vedilo e odilo mentre che andiam camminando. Io ti fo la spiegazione di quelle leggi, che se da te verranno adoperate, Rettorica ti conoscerà, ti accetterà; ti contrasterà o averà in odio, come non iniziato e non indagatore de' misteri suoi. Metti prima un gran pensiero nella cultura del portamento e nell'attillatura del vestito. Poi fa di raccogliere qua e colà quindici in circa, ma non più di venti certamente, vocaboli attici; e questi col diligente meditare légategli bene a mente, e abbigli in pronto e sulla cima della lingua, e quel somiglianti cose, forse che, dovunque, ottimo, e tali voci, mettigli in ogni tuo ragionamento come salsa; di tutti gli altri vocaboli non ti dare un pensiero al mondo, quantunque sieno diversi da questi, e quasi nati in altro paese e dissonanti. Bastiti che la porpora sia bella e fiorita; del mantello non ti curare, s'egli fosse di pelli anche spelate e logore.

Trova poi parole malagevoli, straniere e rare volte dette dagli autor vecchi, e tienle raccolte e in pronto da lanciarle contro a coloro che teco parlano. Allora il comune degli uomini terrà gli occhi rivolti a te, e ti stimerà una maraviglia, vedendo che tu hai un'erudizione che oltrepassa tanto la capacità sua; se in cambio di stringere dirai arrandellare, e per sole adoprerai cuocitura celeste, e l'arra nominerai abbottinamento, il crepuscolo punta di notte. Talvolta ancora troverai e metterai alle cose nuovi e inconvenienti nomi, chiamando un valente a parlare bella lingua, un prudente saggiocapo, e un saltatore manisapiente. E se hai errato mai nella connessione delle parole, o le avrai proferite barbare, unico rimedio è la sfacciataggine, e l'avere immantinente in pronto il nome di qualche poeta o scrittore di prosa, che non sia al mondo e non sia stato mai, ma dottissimo e accuratissimo in lingua, che approvi così essere ben detto. Leggerai poi non cose vecchie, scritturelle di quel bajone d'Isocrate, di quel privo di grazie Demostene, o di quel freddo Platone, ma libri usciti quasi ai nostri , e quelle cose che chiamano Declamazioni, da poterne trarre come da guardaroba la vettovaglia, per servirtene male a tempo.

Che se tu hai a dire orazione, e quei che son presenti, ti danno tema e materia da favellare, per quanto sia la cosa difficile, di' ch'è facile; e sprezzagli, come non sapessero eleggere cose di nerbo. Non dubitar tu però, e di' quel che ti viene alla bocca, non badando di dire a tempo suo prima quanto dee andar prima, e dopo questo quel che dee esser secondo, e dopo questo il terzo; quanto vien prima, a caso primo si dica; e se ti occorre, metti lo stivale in capo e l'elmo alla gamba. Ma sta saldo, segui a parlare: basta che tu non taccia. E se hai a parlare in Atene di uno che usi soperchierie, o sia viziatore delle altrui mogli, favvi entrare per amplificazione le usanze degli Ecbatani e degl'Indi. In ogni tua diceria entrino Maratona e Cinegira, chè senza queste tutto è nulla, e sempre la montagna di Ato si navighi, e l'Ellesponto a piedi si passi, e sia coperto il sole dalle persiane saette, e fugga Serse, e sia maraviglioso Leonida, e le sanguigne lettere di Otriade si leggano, e si odano Salamina, Artemisia, Platea, ma spesso, e l'una sull'altra. Nuotino però quasi a galla, e come fiori risplendano qua e sparsi i tuoi bei vocaboli, e quel somiglianti cose sia perpetuo, e quel conciossiachè, quand'anche non vi fosse bisogno mai, perchè son belli anche detti fuor di proposito.

S'egli ti sembrerà finalmente che sia tempo di cantare, ogni cosa cantando si proferisca, e facciasi una melodia. Quando non vi ha più cosa da cantarla, se tu chiamerai giudici con una certa galanteria di voce, avrai adempiuto il tuo dovere di proferire in musica. E quel oh infortunio grande! ripetilo spesso, batti l'anca, pronunzia co' trilli, dividi l'una parola dall'altra spurgandoti, e nell'azione fa misurati passini, ondeggiando col diretano. Se non ti lodano, sdégnati e di' loro villania. Se per un po' di vergogna gli vedi sospesi e star per andarsene, comanda che stieno a sedere, e in tutto fa come se fossi monarca.

Acciocchè anche il volgo di tuo parlare si maravigli, cominciando da' tempi dell'assedio d'Ilio, e se ti piace, per mia anche dagli sponsali di Deucalione e di Pirra, guida il tuo ragionamento alle predenti faccende. Gl'intelligenti son pochi, e i più per bontà taceranno; e se qualche cosetta anche dicono, la parrà invidia: ma al comune parrà sempre mirabile quell'attitudine, quella voce, quel passo, quell'andare, quel canterellare, quella pianella, e quel tuo somiglianti cose prelibato: e veduto quel tuo sudare e ansare, non potrà credere che tu non sia un formidabile combattitore ne' ragionamenti. Poi quel parlare improvviso non è piccola scusa e maraviglia appresso al popolo. E però vedi che tu non iscriva mai, o vada mai a parlare dopo di aver meditato alcun poco, perchè vi saresti côlto certamente.

Gli amici applaudiscano sempre co' piedi, e paghinsi le cene, quando si avveggono che tu sia per inciampare, porgendoti la mano, e dandoti il modo di trovare quel che hai a dire col prolungare le lodi. Perché ne' ragionamenti tu dei tentare di aver sempre teco un coro che risuoni. Questo è quanto devi osservare mentre che parli. Quando esci di dove avrai parlato, ti seguano come tuoi sergenti nel ricondurti, e tu segui a disputare di quel che avrai ragionato. E s'egli ti venisse per avventura alcuno incontro, di' le maraviglie di te medesimo, e lodati fuor di misura finché gli vieni a noja. Oh che ha che far meco Demostene? E oh! io vorrei pure aver uno di cotesti Antichi a fronte, e cose somiglianti.

Oh! poco mancò ch'io non lasciassi di dirti una cosa principalissima, e più delle altre necessaria per acquistar fama. Di quanti parlano ti farai beffe. E se vi sarà chi parli bene, dirai che non dice cosa veruna del suo, ma dell'altrui; se mezzanamente favella, sia ripreso in tutto. Dove si ha a ragionare, entra l'ultimo, che questo è modo da renderti notabile; e quando tace ogni uomo, e tu ricórdati di uscire improvviso con qualche strana lode che svii e sturbi gli orecchi de' circostanti, per modo che ognuno infastidito da quel tuon di voci, gli orecchi si turi. Non movere spesso le mani per lodare, ch'è un atto vile; ti leverai in piedi se non una volta o due il più. Ghigna bene spesso, e mostra che quel che si dice, non ti gradisce. E sappi che ci sono de' modi equivoci da riprendere altrui, e che chi ascolta è inclinato ad udire il male volentieri. Nel restante affídati, chè audacia, sfacciataggine, pronta bugia, giuramenti sulla cima delle labbra, invidia contro a tutti, calunnie probabili, sono tutte qualità da renderti in poco tempo nobile e riputato. Così ti diporterai fuor di casa e dinanzi agli uomini.

In privato poi pensa bene ad essere un fine ribaldo. Sii giuocatore di carte, bevitore, scorretto, femminacciolo; e quello che non fai, vántati di averlo fatto, dillo a tutti, e di tempo in tempo mostra letterine di femmine. Imperocchè fra le altre cose tu dei pensare anche a parer bello, e a far per modo che paja ch'esse femmine ti corrano dietro. Anche di questo ne avrà onore la Rettorica, quando si dirà che per essa se' fin gradito alle donne. Le pratiche tue saranno sempre zerbini, spensierati e giovani dell'attillatura e de' capricci amanti; dai ragionatori di cose massicce fuggi come dalla peste, perchè in ragionamenti sodi la Rettorica infredda e si snerva. All'incontro que' cervellini lieti e quelle bajucole della gioventù ti empiono il capo di pronti motti e arguzie che non hanno una sostanza al mondo, ma fanno il parlar tuo rifiorire, e destano chi ascolta a diritto ed a torto; e se non ne avessi altra utilità, ne acquisti nelle brigate de' giovani baldanza e audacia maggiore. Quanto più nell'attillatura de' vestimenti tuoi e nel coltivarti la zazzera somiglierai alle femmine, trarrai all'arte del dire vantaggio, poichè vedi quanto più degli uomini sanno le donne cianciare e dir male. Sicchè va com'esse alla pettiniera, spélati le tempie com'esse, e metti mano ai bossoletti delle manteche e de' lisci, chè ogni loro cosa fa eloquenza, e Rettorica lingua.

Fanciul mio, se tu imparerai tutte queste cose, chè puoi farlo, non essendovi in esse difficoltà veruna, ti do parola che dopo non molto tempo sarai ottimo retore e somigliante a noi. Nel resto non occorre ch'io ti dica quanti altri beni trarrai dalla Rettorica in breve. Vedi me: io son nato di padre plebeo, che anzi pizzicava di schiavo, come colui che fin di da Xoin e Tmuin avea già servito, e da madre portatrice di pesi a prezzo e dozzinale partorito. Pure perchè io avea figura non affatto sprezzabile, fui prima tenuto in casa pel prezzo dei soli alimenti da vecchio avaro e meschino.

Vedendo poi che agevolissima era questa strada, e che venutone al termine sarei pervenuto alla sommità dove io sono (avendo io già meco, perdonami, o cara Adrastea, quel buon capitale, ch'io dissi poc'anzi, di temerità, d'ignoranza e di sfrontatezza), ecco che prima io non mi chiamo più Fotino, come soleva, ma ho quel cognome ch'ebbero i figliuoli di Giove e di Leda. Io mi accasai poscia con una vecchia, dalla quale venni prima largamente pasciuto, facendo le viste di amarla, bench'ella avesse settant'anni, e le fossero rimasti quattro denti, saldati anch'essi con l'oro. Ma la povertà mi fece sofferire quel fastidio, e la fame mi facea trovare saporitissimo il fiato, di quella rantacosa femmina. E già poco mancava all'essere costituito erede di quanto ella possedeva, quando un maladetto servo diede indizio ch'io avea comperato il veleno da darle a bere.

Cacciato dunque in furia da quella casa, non mi mancò tuttavia il bisognevole; perchè sembro altrui oratore, e ne' magistrati fo disputazioni, rovinando per lo più la causa, e promettendo agli sciocchi il favore de' giudici. E benchè per lo più rimanga al di sotto, io ho però l'uscio di casa mia di verdi e intrecciate palme incoronato e fornito, valendomi di quest'arte per adescare gli sfortunati. questo mio essere in odio a tutti, e noto per la infamia de' costumi, e mostrato a dito prima di cominciar a parlare, e chiamato padre di ogni malizia, mi sembra già picciolo vantaggio alla celebrità mia. Queste cose insegno a te, ch'io prima insegnai a me molto tempo fa, e con le quali io mi acquistai fra le genti non poca grazia.

Basti. Dopo aver parlato in tal forma, quel valoroso uomo si tacerà; e se tu alle sue parole consentirai, pensa di esser giunto dove bramavi; e senza ostacolo, se ubbidisci al suo volere, vincitore sarai nelle cause, la moltitudine delle genti dirà bene del fatto tuo, sarai un amabile uomo, e avrai per isposa, non una vecchia commediante, com'ebbe quel tuo legislatore e maestro, ma la Rettorica, donna bellissima; tanto che starà meglio a te il dir di te che nel veloce cocchio di Platone se' trasportato, che non istette bene a lui il dir questo di Giove. Io, che tardo sono e timido, ti lascerò la strada, e non seguiterò più Rettorica, giacchè non posso valermi de' vostri consigli per ottenerla. Anzi l'ho piuttosto abbandonata. Siatevi pure chiamati vincitori e non polverosi, siatevi la maraviglia di tutti; ma questo solo vi tenete in mente, che voi per essere stati più veloci, non colla celerità ci avete vinti, ma per avere eletta facilissima strada, e la strada che scende.

 

 

 




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