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Gasparo Gozzi
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    • XXVIII.   Osservazioni intorno un detto di Platone, riferito da Eliano, che la speranza è sogno degli uomini.
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XXVIII.

 

Osservazioni intorno un detto di Platone, riferito da Eliano, che la speranza è sogno degli uomini.

 

Quando io penso al corso della vita umana, e a quello che si chiama vivere, io credo in effetto che poche sieno le ore della vita reale ed effettiva. L'una parte di quella si passa a dormire; e posto che in quel tempo non si sogni, io non so s'egli si possa affermare che un corpo senza movimento e un cervello senza pensieri abbiano vita. Quando uno mi dice buona notte nel punto ch'io vo a coricarmi, egli mi pare che mi licenzii dal mondo. S'egli poi dormendo sogna, vedi fra quali faccende si ritrovi, sieno liete o triste. Una massa torbida di nugoloni falsi e non durevoli ti vengono dinanzi agli occhi. Ora egli ti pare di viaggiar per mare a piene vele, di qua trovi un tesoro, colà vieni rubato, fai battaglie, vinci, perdi, e mille altre faccende o fai o vedi, che ti pajono vere. Intanto eccoti un raggio di sole ti ferisce per la finestra; apri gli occhi, e ridi fra te che le cose vedute ti pareano vere, ed erano in effetto fumo e ombra. Ma che? credi tu che per essere desto cessino le tue fallaci immaginazioni? Eccoti in quello scambio la speranza che te ne fa di nuove apparire. Io non ti dirò di qual porta esca, chè gli Antichi non ne hanno parlato, come parlò Omero delle due porte de' sogni. Ma io credo che costei non abbia uscio, e che sempre la stia intorno, e si aggiri con le apparenze de' suoi castelli in aria, per ingannarci, trattenerci, e farci parere che noi siam vivi. Dirà uno: Ecco io ho uno de' migliori e più garbati figliuoli che sieno al mondo. - Vi fa su mille disegni, lo vede in suo cuore grande, atto ad ogni nobile faccenda. Un amorazzo glielo ruba, e in poco tempo diventa una bestia, un caparbio, un disutilaccio, anzi nocivo alla sua famiglia, o la morte ne lo porta via; sicchè la speranza, che il buon uomo ne avea, è divenuta sogno: il raggio ha percossa la finestra, ed è sparito. Lasciamo stare il mettere insieme ricchezze con disegni grandi, che poco o nulla riescono; il fare i letterati con isperanza di celebrità ed onore, e aver le fischiate dietro. L'edificare un palagio con marmi, colonne, fregi, lavori, e altre sontuosità, con isperanza e intenzione che la sua famiglia quivi debba agiatamente abitare, e veder poi tanta grandezza e studio di architettura esser fatta per una brigata di servi, e i padroni qua e colà dispersi, è una speranza, anzi una nebbia soffiata via dal tramontano. Oh! quante volte udii io a ordinare a mente un affare con tante belle avvertenze che parea dipinto, e dissi fra me: questo certo non mancherà dell'effetto suo; e poi eccoti a monte ogni cosa. Che altro è questo che un abbracciare cose chimeriche e ombre, in fine un sognare vegliando? Dunque chi vive in realtà? chi non sogna? chi non ha speranze vane? Niuno. E peggio è ancora, che se non avessimo questi sogni degli uomini desti chiamati speranze, noi saremmo a mal partito. Io, per esempio, sono oggidì Pellegrino, e udite come fu. Il padre mio fecemi allevare in tutte quelle discipline che ad uomo onesto sono convenevoli; onde io per la prima speranza ebbi quello di essere grandemente onorato nella patria mia, e mi riuscì fallace il pensiero, perchè non avendomi dato la natura corpo molto ben disposto, non potei mai imparar a danzare garbatamente. Uscì questa mala fama del fatto mio, e tutte le lettere ch'io avea studiate non mi valsero punto, e non potei essere mai in istima agli uomini della patria mia, perchè si diceva ch'io non era atto alla danza. Perdute le speranze del mio ingrandimento, ebbi per molti giorni un gravissimo dolore; ma pur finalmente me ne nacque un'altra, che uscendo fuori della mia patria, avrei potuto acquistare qualche grandezza. Per la qual cosa detto un addio a quella, me ne uscii con una fiducia grande di aver del bene; e diceva fra me: io anderò in qualche luogo, dove sieno amate le discipline e le buone arti, e troverò chi apprezzerà l'onore ch'io porto a quelle. Questo pensiero mi tenne in vita lungo tempo; ma per quanto io mi adoperassi in varj luoghi, mi si fece sempre incontra qualche impaccio, al quale rimediava una speranza nuova, e così di speranza in impaccio e d'impaccio in isperanza mi sono mantenuto fino al presente; ringraziando il cielo che questo dolcissimo sogno degli uomini desti venisse di quando in quando ad alleggerire il mio dispiacere. Finalmente son giunto oggidì a tale, ch'egli mi pare di essere uno specchio pendente da una muraglia, dinanzi a cui passano le vedute di tutte le cose del mondo, e dico: Perchè ho io a sperare o a desiderare queste immagini che passano sulla mia superficie, delle quali l'una luogo all'altra, secondo che piace a chi le fa passare? Vadano, vengano, si aggirino, salgano allo insù o all'ingiù, discendano, io sono specchio. Vedete pazza speranza ch'è questa di poter credermi specchio; mentre che vi parlo quest'anche è volata via. E spero che voi abbiate caro ch'io chiuda questa cicalata: questa sarà forse fallace come le altre speranze.

 

 

 




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