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Gasparo Gozzi Prose Varie IntraText CT - Lettura del testo |
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XXX.
Le lodi della convalescenza
Tenendoti nella via di mezzo, n'andrai sicurissimo.
È sì noto quel detto, La virtù sta nel mezzo, che il ritoccarlo sarebbe un fastidio a' leggitori, e a me ancora. Quand'io ricevetti la scrittura, che pubblicherò qui sotto, con sopravi le poche parole allegate d'Ovidio, quasi quasi ebbi timore che la fosse una filosofica ciancia intorno all'essere virtuoso, e che l'autor d'essa volesse ripetere quello che tanti altri hanno detto senza frutto. Posto che la virtù, come altri c'insegna, stesse nel mezzo, chi è uomo d'andare cotanto diritto, che non metta il piede qua o di là? e chi potrebbe avere un compasso o una riga cotanto aggiustata, che gli mostrasse sempre la via del mezzo? Oltre di che, nelle cose che s'hanno a vedere non con gli occhi del corpo, ma con quelli dell'intelletto, dov'è essa cotesta via del mezzo? Chi l'ha a scoprire così appunto? Chi l'ha misurata? messa a corda? posta fra confini certi? S'è veduto alle volte al mondo certe bestialità oltre ogni misura estreme, che secondo l'occasione furono virtù grandi: e all'incontro alcune mezzane azioni, fatte a sesta; che vennero giudicate pusillanimità e miseria. Ma io non ho al presente a ragionare intorno a questo argomento. Il buon uomo che mi manda la scritturella sua, parla d'altro; ed ha occupato il suo ingegno a provare che la convalescenza, come quella ch'è fra la sanità e il male, è lo stato migliore della vita. Quanto è a me, io gli lascio pensare a suo modo; ma avrei caro che fosse al mio, parendomi un bello stato il sentirsi le gambe gagliarde e le braccia vigorose: e vorrei peccare piuttosto in questo estremo, che trovarmi nella via del mezzo da lui commendata. Ma che? Io fo conto che furono alcuni i quali lodarono la peste, la pazzia, la stizza e le carote, e ch'egli avrà voluto fare il medesimo. Chi gli crede, suo danno.
La presente operetta sarà a conforto de' temperamenti abbattuti e piccioli di forze, che vivono a' nostri giorni, i quali si querelano di lore fragile complessione, e vorrebbono a torto essere da più di quello che sono. Fratelli carissimi, il mondo non ha, come credono alcuni, perduto il suo vigore; nè perchè in questo secolo nascano gli uomini e le donne sparuti e deboli, dobbiamo giudicare che il mondo sia pervenuto a decrepitezza; e che quasi albero piantato in crepature di terra arida produca a stento i suoi frutti. Se noi meditiamo bene e giustamente, esso è oggidì anzi giunto alla sommità di sua perfezione. Imperciocchè non crediate che la migliore vita dell'uomo sia in robustezza e sanità; lo che è grande errore a pensare. E siccome è miseria grande l'essere infermo sempre, così è mala condizione l'avere salute; essendo l'una cosa e l'altra quelle due estremità le quali c'è victato da' filosofi che le dobbiamo toccare. Fra due estremi è sempre una via di mezzo; quella dobbiamo seguire. Convalescenza si è via di mezzo tra infermità e salute; adunque convalescenza è la più desiderabile. Io non avrò molta fatica a dimostrare che infermità è male; e credo che ognuno di voi s'accordi. Lasciamo stare la sofferenza che n'ha il corpo, e basti dire che non è più cosa di chi l'ha; ma è tutto altrui, dovendo lo infermo, ad un picciolo cenno del medico, dargli in mano le braccia, o sotto ad un dito la lingua, e lasciarsi vedere o toccare qualunque parte egli voglia. In balia del cerusico sono le carni e le vene, e le parti di dentro divengono possedimento degli speziali; i quali possono a loro volontà mettervi dentro in lattovari, pillole, sughi per la gola, o con un cannellino per segrete parti, quello che vogliono, ti piaccia o non ti piaccia. Per modo che sendo tu infermo, e credendoti d'essere intero, se' mentalmente squartato in più pezzi, de' quali chi n'ha uno in governo, chi un altro. E però vedi quanto sia dura cosa il perdere il possedimento di te medesimo, ed essere condotto a tale, che tu preghi altrui a togliersi le tue parti e a farne quello che vuole. Più difficile sembrerà forse a dire che sanità e robustezza sia gran male. La qual cosa non mi potrai tu però negare, se consideri a che ti conduce. Ma prima io dico che non si può dire che sia nè bene nè male quello di che il suo posseditore non si avvede punto. E vedi che tu sarai sano e gagliardo, che se alcuno non ti domandasse di tempo in tempo, come stai, e non t'arrecasse a mente con la sua richiesta il tuo stato, non ti sarebbe caduto in animo d'esaminare se tu stessi bene o male; e ciò solamente, perchè sanità non è in effetto un bene che si faccia sentire, quali sarebbero l'allegrezza del bere con sete, quella del grattarsi, quella dello starnutire, dopo un pezzetto che non avessi potuto, o altre si fatte, che sono beni efficaci ed evidenti ad ogni uomo. Ma picciola cosa sarebbe a dire che la sanità non sia un bene. Essa è male e disagio. Se noi abbiamo un bene al mondo, esso ci deriva dalla tranquillità; e chi più n'ha, sta meglio. Vedi se uomo sano ha mai pace. Di' ch'egli sia artista e lavoratore, o uomo che viva di suo avere; eleggilo qual tu vuoi. S'egli è della prima condizione, pensa che, secondo l'arte sua, egli avrà a menar le braccia dallo spuntare del giorno fino alla notte, e col sudore delle viscere a guadagnare. S'egli è benestante, o ch'egli ha a rivedere come i fattori hanno usato lo inchiostro, o egli avrà a essere con avvocati per un litigio, o si stempererà il cervello a misurare l'entrata con l'uscita; oltre agli obblighi delle visitazioni, delle cerimonie; sicch'egli avrà ad affacchinarsi in mille faccende, perch'egli è sano. E se non lo fa, n'acquista nome d'infingardo, di spensierato, di mal creato, o peggio; tanto che la sanità non è infine altro, fuorchè consumazione del cervello e cammino verso l'ammalare. Malattia dunque e sanità, a definirle, sono due stati dell'uomo, ne' quali egli non è più cosa sua, ma d'altrui; lo che è gran male; e chi si trova nel mezzo fra questi due estremi, può chiamarsi beato. Questo desideratissimo mezzo ha nome Convalescenza; e veramente grandissima ventura ha colui che in esso si trova. Egli non ha più altro in cuore, fuorchè la consolazione dell'essere uscito dell'infermità, e un dolcissimo inganno della mente che gli fa sperare di dover essere fra poco robusto e sano. Dico dolcissimo inganno, perch'egli stima la salute essere un bene; ma s'essa non è tale in effetto, io non nego però che non sia un bene la lusinga dell'averla a possedere, finchè si stima cosa buona. Oltre a questo, non vede altro che lieti visi, e di persone che si congratulano seco; si sta per lo più a letto a sedere; non ha più obbligo di sberrettarsi per cerimonia; gli è conceduto liberamente tutto quello che nelle compagnie negano a' sani gli statuti della creanza. Sono sbanditi della sua stanza i ragionamenti degli affari; la cucina sua è dilicata, e in disparte dalla comunità; è sobria, come la raccomandano i filosofi e gli uomini dabbene. In breve, lo stato suo è quella tranquillità che fu sì lungamente cercata da' più sottili ingegni del mondo; e si può dire che sia entrato a fare vita contemplativa, la quale quanto sia più nobile e più libera dell'attiva, lo sa ognuno che suda nell'opere e nelle occupazioni. E che la convalescenza sia cosa buona, oltre a quanto ho detto, me lo fanno credere i molti trovati che sono stati fatti da' medici per richiamare gli uomini ad essa dallo stato di salute. Tra i quali sono molto notabili il purgare i corpi, e il cavar loro sangue la primavera o l'autunno, quando non si sentono veruna magagna; la qual cosa altro non vuol dire, se non che l'arte imitatrice ed esaminatrice di natura ha trovato che la convalescenza è molto migliore che la sanità: e coloro che hanno lodato grandemente il vitto pittagorico, lo fecero con questa buona intenzione; perché l'essere convalescente si è appunto l'essere come la canna d'Esopo, la quale cedendo al gran soffiare del vento, e piegandosi stette salda, e la quercia ne fu sbarbata. Finalmente per conchiudere, com'io dissi nel principio, a conforto de' corpi d'oggidì c'hanno picciola solidità e sostanza, dico che appunto per questo natura è nella maggior sua perfezione, e che ella mostra d'essere ottima a que' piccioli tremiti di muscoli o convulsioncelle che scuotono maschi e femmine senza diversità veruna; e che certi maluzzi usuali ad ogni persona sono d'avergli cari, poich'essi ne certificano d'una convalescenza universale.
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