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Gasparo Gozzi
Prose Varie

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    • XXXI.   Favola orientale.
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XXXI.

 

Favola orientale.

 

Nelle caverne di certi inaccessibili monti, de' quali la storia non dice ove si fossero, abitava un tempo la più astuta e più pestifera donna che vedesse mai luce di sole. Era costei chiamata all'usanza d'Oriente con un nome ch'avea significato e sostanza; e tanto importava a dirlo, quanto importerebbe nel nostro linguaggio Povertà; e in effetto la pareanuda e povera d'ogni bene, che avreste detto a vederla nell'aspetto, lei essere piuttosto ombra, che donna. E che altro si potea dire a vedere occhi incavati, e occhiaje livide intorno intorno, un viso che parea di legno intagliato, due mani lunghe e arride, con tutti i nocchi delle dita apparenti; cenciosa come un accattapane, col collo torto a guisa di bacchettona, e con una voce rantolosa, che limosinava sempre? Era tuttavia costei la più solenne strega che mai facesse malie, e tenea sotto di un popolo innumerabile, a cui avea con molti artifizj insegnato a far danari; e quasi divenuta maestra di scuola, con grandissimo ordine ammaestrava ognuno nella sua perniziosa dottrina; tanto che gli uomini usciti di , andando fuori ogni pel mondo, e valendosi dell'imparata disciplina, tiravano a ogni cosa, e ritornando poscia dall'abitazione della loro signora e maestra, facevano con esso lei uno sguazzare mirabile; e trionfavano in una lieta vita a spese di chi avea loro prestato fede. Ma perchè si sappia in parte quai modi tenesse l'astuta maestra nell'insegnare, dice la storia che, quando le andava innanzi un nuovo scolare, la gli diceva in questa forma: Apri gli orecchi, figliuol mio, e ascoltami. In primo luogo tu hai a sapere in generale che tutto quello ch'è vera utilità dello spirito, dispiace agli uomini comunemente; onde ti guarderai come dal fuoco, se vuoi aver favore da loro, di proferire parole, o fare opere che dieno indizio che tu voglia beneficare l'intelletto o il costume di quelli. Diverresti allora una spezie di pestilenza, e saresti da tutti abborrito, senza tuo frutto. Per secondo, ricórdati bene che gli uomini, per quanto tu oda dire il tale ha quaranta, cinquanta, sessant'anni, o più, non è però vero che mai sieno invecchiati, ma gli hai a giudicare sempre fanciulli, i quali altro non fanno in effetto, fuorché scambiare scherzi con gli anni; onde hanno fra loro i giuochi della fanciullezza de' sei anni, quelli della bambineria di dodici, e di venti, e di trenta, e di tutti gli altri; ma sono tuttavia giuochi, e ogni età ha la fanciullaggine sua, sicchè le grinze sono magagne del corpo, ma non dell'intelletto. Quando tu avrai bene in mente questi due principi, pensa che non potrai più errare; e sarai sempre vezzeggiato da loro come uomo nato dalle viscere di quelli. - Dappoichè ella avea proferito questa nobile dottrina, lo facea entrare in una stanza comune, dov'erano gli altri suoi discepoli; ed egli che nuovo era, si maravigliava che in quella scuola non si facesse altro che ridere, cianciare, far visacci, motteggiare: sopra tutto gli parea nuovo un certo linguaggio che non traeva dal cervello mai fuori altro che pazzia e sfacciataggine. Intanto la perita maestra, vedendolo col capo basso e con le guance arrossite, n'andava ad un suo cassettino, e tratta quindi un'ampolla, sopra la quale era scritta in una polizza di carta pecora una parola che in nostra lingua significa Diletto, gliela accostava alla bocca, e mentre che tutti i circostanti gridavano pro, pro, il giovinetto ne bevea certi larghi sorsi; e non sì tosto avea spiccate le labbra da quella, che spogliatosi di quella poca verecondia di prima, facea, come l'argento vivo, palla con tutti gli altri, e incorporatosi in quella comunella, diveniva a tutti somigliante. In breve tempo l'esempio e lo stare in brigata con gli altri gli facea conoscere quello ch'egli avesse a fare; e secondo la natura sua, o l'uno o l'altro imitava de' suoi compagni. Uscivano alcuni di loro, o maschi o femmine, della scuola con alcune carte di musica nelle mani; e aggirandosi qua e colà fra' popoli, coi vestiti disusati fra tutti, a lume di torce, davano ad intendereessere de' maggiori signori della terra; e a tutti parea un bel caso l'udire monarchi e principi che trattassero grandissime faccende cantando, e talora s'addormentassero, o anche morissero, spiccando nell'ultima agonia una canzonetta. Altri in più guise vestiti, s'avvisavano di proferire ogni cosa colle gambe e co' piedi e con le braccia; e al suono di certi stromenti ora facevano battaglie, ora s'innamoravano, o poco meno che non facessero figliuoli, senza mai aprir bocca, come se mutoli fossero stati. Alcune brigate di queste, fra loro tenute le minori di condizione, s'ingegnavano di fare altrui ridere con diverse imitazioni, e altri altro facea per le vie o per le piazze, tanto che aveano tutti sempre una gran calca di popolo; e finalmente si raccoglievano con lieto animo, ben provveduti di danari e di robe, nelle abitazioni della loro maestra, a godersi i frutti dell'imparata dottrina, dove la ringraziavano caramente ch'ella avesse loro insegnato a vivere a spese del mondo con tanta larghezza.

 

 

 




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