Distesa fra le alte erbe del
prato, la bambina seguiva con sguardo curioso il lento procedere delle nubi
bianchicce pel cielo e lo sfasciarsi e il riformarsi di fantastiche figure,
create e distrutte dal vento, che lievemente soffiava per entro quell'umidità
oscillante fra l'azzurro e la terra. Di lontano, con le sue gambette magre e il
corpicino di fanciulla non ancora sviluppata, poteva rassomigliare a un lungo
insetto sperso sul verde della campagna. Essa pensava alla casa paterna, ove le
toccavano soltanto busse e dolori, al padre burbero e rozzo, alla madre
rovinata fisicamente dalle quotidiane fatiche, umile sotto il dominio del capo
della famiglia. Quanta differenza dalla vita che aveva condotta alla Villa! Là
i signori s'erano mostrati buoni con lei, spesso l'avevano accarezzata,
imponendole soltanto lavori piacevoli, come il coglier fiori e l'aiutare la
cameriera. Ma il sogno era finito ben presto: i signori erano partiti e la
piccina era rimasta in famiglia, ancor più isolata nel ricordo delle brevi ore
piacevoli, trascorse per sempre. Una volta, rammentava, il signorino l'aveva
baciata, di soppiatto, regalandola di dolci. Ma ciò, che l'aveva più
impressionata, era lo studio: una grande stanza tutta ingombra di tele e di
quadri, nella quale essa si recava spesso a divorare con gli occhi le belle
figure, che il padrone, un pittore celebre, s'era compiaciuto di ritrarre. Come
sarebbe stata contenta d'aiutarlo, magari di porgergli soltanto i colori! Ma il
padrone era un uomo triste e solitario e, specialmente quando lavorava, non
voleva nessuno intorno a sè. Una volta essa aveva tentato d'imitare un viso di
donna sopra un pezzo di carta bianca. S'era messa d'impegno con un lapis e un
frammento di gomma; ma sul più bello era capitato nello studio il pittore e
l'aveva sgridata, impadronendosi del foglio. Che paura le aveva fatta, in quel
momento! Ma poi s'era subito rasserenata, poichè lo aveva visto sorridere del
disegno: s'era perfino sentita sfiorare i capelli da una mano di lui in una
lenta carezza. Adesso ripensava a tutto questo, guardando le nubi, che
s'accavallavano nel cielo con moto indolente. Sentiva il bisogno di far
qualcosa: le sue dita macchinalmente tracciavano per l'aria dei segni, quasi
volessero imitare le curve e i profili di quelle incostanti abitatrici
dell'atmosfera. Un'impressione di gioia le scorse per le membra e le fece
battere il cuore, colorandole il pallido visino. E la fanciulla si mise a
cantare, come un uccellino felice, fra mezzo al silenzio dei prati. Ma una voce
rude la tolse dalla sua estasi e una mano più rude ancora le si posò sopra una
spalla a scuoterla con un gesto rabbioso:
— Che fai, qui? Al lavoro,
fannullona!
— Oh, babbo! Ero così felice!
— Felice? Di che? Sciocca!
Faresti meglio a badare alle vacche, che girano per la vigna e strappano i
pampini alle viti.
La fanciulla si alzò, con gli
occhi che le si gonfiavano di lagrime, e corse con le gambette nude e sottili
verso i filari, che limitavano il prato. Oh, com'era brutta la vita e come si
mostravano cattivi quelli, che avrebbero dovuto volerle bene e che invece la
maltrattavano!
La sera, a casa, trovò la mamma
rincantucciata in un angolo, silenziosa e melanconica. Il padre l'accolse con
una risataccia:
— Eccola, la sognatrice! Che si
fa di bello nel mondo delle fate, signorina Pagliuzza?
Signorina Pagliuzza! Quel nome,
che le avevano messo alla Villa, poichè per la magrezza e pel colore della
pelle somigliava a un filo di paglia agitato dal vento, le veniva ora
rinfacciato come un'ironia dolorosa! Quanto diverso aveva suonato nella bocca
del padrone! Era tanto dolce quando veniva pronunciato da quelle labbra! Ma
adesso sembrava davvero e soltanto un insulto.
L'uomo continuava a sbraitare.
Ma la fanciulla non gli badava più; il suo pensiero era corso di nuovo alla
vita di un tempo, a quello studio grande e severo, ove il pittore l'aveva fatta
posare così bene, fra mezzo alle spighe del grano, dritta e sottile quasi
volesse spiccare il volo da questa terra e rifugiarsi nella calma del cielo. Il
quadro era stato proprio intitolato «Pagliuzza». Ed essa se n'era gloriata un
bel po', tanto più che aveva saputo come sarebbe stato presto esposto in una
grande sala, in città.
Un urlaccio ed un colpo brutale
sul capo le fecero ricordare dove si trovava e con chi. Due lagrimoni le si
formarono tra le palpebre, poi scesero giù lungo le gote, lasciando un segno
ondulato sulla pelle giallognola. Vide la madre, che s'avvicinava a lei
guardandola tristemente; ma non volle lasciarsi toccare: diede un balzo e fuggì
per la porta spalancata, nascondendosi fra le ombre, che cominciavano a coprire
la campagna.
Oh, come la trattava male suo
padre! Che gli aveva fatto? Perché lo trovava sempre irritato contro di lei,
mentre dimostrava per gli altri figli un affetto un po' brusco, ma schietto?
Anche la mamma era cattiva, poichè non la difendeva mai. Eppure anch'essa doveva
soffrire, povera donna: e doveva aver sofferto tanto, nel passato! La vedeva
dinanzi a sè, nel pensiero, col viso pieno di rughe, invecchiato troppo presto,
e con gli occhi rassegnati. Le venne, per un momento, il desiderio vivo di
tornare indietro per baciarla. Ma si trattenne: fra lei e la mamma c'era un
uomo, ch'essa sentiva indistintamente d'odiare. E se non fosse suo padre,
quell'uomo? Ma allora, la mamma...! Non aveva un concetto preciso
dell'adulterio; anzi, le pareva di dover pensare ad esso come ad un mostro
orribile e senza significato. Qualche volta ne aveva sentito parlare alla
Villa; ma non lo raffigurava. Eppure, sentiva un bisogno istintivo di credere
che quell'uomo non fosse suo padre. Ma chi sarebbe stato, allora, il vero
babbo? Forse il fattore, quel giovialone grasso, che veniva qualche volta a
contrattare il legname e il fieno e che le faceva qualche carezza? No, no, era
impossibile!
Correva, correva, fra le
tenebre, con i capelli sciolti, diffusi dal vento, con le manine strette in un
gesto d'angoscia e le gambette indolenzite. Dove sarebbe andata? A casa, mai
più! Avrebbe girato il mondo, avrebbe mendicato, magari. A una fanciulla non si
nega un po' di pane! E poi, avrebbe trovata della gente buona e compassionevole
come i signori della Villa. Se ci fossero stati loro, non avrebbero permesso
che si maltrattasse la piccola Pagliuzza! No, no! Erano tanto gentili con lei!
Una vaga speranza s'insinuò,
allora, nel suo animo. Se fossero tornati alla Villa? Se potesse trovarli,
quella sera, e raccontar loro tutto, tutto! Avrebbero sentito pietà di lei e
forse l'avrebbero tolta per sempre dalla sua famiglia, ove non poteva più
vivere. Si pose a correre con maggior lèna per quei luoghi ben noti. Le gambe,
adesso, non le dolevano più. Attraversò qualche campo, passò fra mezzo a filari
di viti, scavalcò un muricciuolo e si trovò nel giardino della Villa. Il cuore
le batteva forte per l'ansia e per la fatica. Gettò uno sguardo timido sul
caseggiato, che si drizzava innanzi a lei con la sua mole superba, e per poco
non cadde rovescia al suolo per l'emozione. Le finestre del pianterreno erano
aperte e illuminate e nel vano di esse si vedeva passare, dietro le tende,
qualche forma umana. La fanciulla non ebbe la forza di proseguire; si lasciò
cadere ginocchioni, singhiozzando. Una voce nota le giunse in quel momento
all'orecchio:
— Chi è là, a quest'ora?
Un cane abbaiò forte; poi essa
sentì scricchiolare la ghiaia vicino a sè. Il corpo peloso di un grosso mastino
le si gettò addosso, mugolando di piacere. Era proprio Bull, il suo amico, che
la riconosceva e le faceva festa. La bambina gli buttò le braccia intorno al
collo e si strinse forte a lui, bagnandogli il muso di lagrime. La voce, già
udita, in quel momento le suonò vicinissima con un'espressione di meraviglia:
— Sei tu, Pagliuzza? Che ti è
accaduto?
Essa rialzò il visino e non
seppe che balbettare:
— Perdono! Perdono!
— Via, calmati, piccina; le
disse il pittore, al quale, appunto, apparteneva la voce.
Le accarezzò i capelli e
prendendola per una mano la obbligò ad alzarsi e a camminare al suo fianco.
Quando si trovò in sala, sotto
la luce viva del lampadario, e vide la famiglia del padrone che la circondava
premurosa e lui stesso, chino su di lei, col volto atteggiato a un'espressione
d'affetto, la fanciulla ebbe un'altra crisi di pianto.
— Dì, che ti è accaduto? Parla,
piccina; la esortava il pittore.
— Oh, padrone, per pietà,
singhiozzò essa, mi prenda con sè, non mi lasci tornare laggiù!
— Perchè? Perchè? Ti trattano
male? Ti picchiano, forse?
Essa non potè rispondere, ma
chinò il capo, strofinandosi con le mani la sottana.
— Hai fatto bene a venire, le
disse la signora. Starai con noi, per ora; poi vedremo d'aiutarti. Adesso
cenerai: e dopo, a letto, perchè devi essere stanca.
*
* *
Il domani suo padre venne alla
Villa, chiamato dal pittore. La bambina s'era nascosta in un angolo della
stanza, poichè voleva sapere subito quale sarebbe stato il suo destino. Se il
padre non l'avesse voluta cedere? Se avesse preteso di tenerla con sè? Ne aveva
il diritto, infine; essa lo sentiva, purtroppo! E poi, senza di lei, chi
avrebbe badato alle mucche?
Alle prime parole del pittore,
il contadino rispose un po' insolentemente e cominciò ad accampare pretese di
denaro. Ma l'altro non gli lasciò il tempo di continuare; lo investì con la
voce, rinfacciandogli i lividi, che segnavano il corpicino della fanciulla.
— Bah! Bah!, esclamò il
contadino, scrollando le spalle. Sarà caduta! Corre sempre per i campi invece
di badare al suo lavoro!
Ma il pittore gli ribattè
aspramente:
— Sono busse, non cadute. Potrei
farvi andare in prigione, ma mi contento di chiedervi la bambina, senz'altro.
Potete chiamarvi fortunato!
— La vuol proprio?, sogghignò il
contadino. E se la tenga; tanto, è sua figlia! Mia moglie stessa me l'ha
confessato, parecchi anni fa.
Il pittore non ebbe il tempo di
stupirsi e di chiedere spiegazioni. Un urlo acuto, partito di dietro a una
tenda, venne a interrompere bruscamente il dialogo. Egli corse e trovò la
bambina, rovesciata sul pavimento, in preda a una crisi nervosa. Anche il
contadino s'era avvicinato; ma fu subito respinto dall'altro
— Via, via, tu!
Quello scosse la testa, mormorò
qualche parola di scusa, poi uscì.
Quando Pagliuzza rientrò in sè,
si trovò sola in un gran letto. Si sentiva il corpo indolenzito e gli occhi
gonfi. Raccolse un poco le idee, poichè da principio non ricordava più nulla.
Ma subito le vennero alla memoria le parole udite. Si buttò col viso sul
guanciale, nascondendolo fra le piccole braccia. Era vero, dunque? Essa era la
figlia del padrone! Oh, la sua piccola anima ingenua sentiva vagamente d'essere
condannata a un dolore infinito, più grave ancora di quelli, sofferti nei tempi
trascorsi. Non c'erano più speranze per lei, poichè non possedeva più una casa,
una famiglia. Laggiù, avrebbe trovato un estraneo brutale e una mamma, che non
poteva consolarla nè difenderla. Qui c'era un padre buono, sì, ma che non
avrebbe mai dimenticato che essa era un'intrusa fra quelle pareti. E poi, la
signora l'avrebbe guardata con diffidenza, forse con odio. E il signorino? Essa
non avrebbe mai potuto chiamarlo fratello senza dare un gran dolore a chi
l'aveva raccolta. Tutto era finito, intorno a lei!
Una mano le tolse le braccia di
sopra alla testa e le sollevò il visino dal guanciale. In pari tempo il
pittore, che la guardava amorevolmente, chiese:
— Come stai, piccina?
La fanciulla tentò di
rispondere; ma l'altro continuò sorridendo:
— Zitta, adesso! Più tardi, mi
dirai ciò che pensi. Perchè, ormai, non lascierai più questa casa. Ti insegnerò
a disegnare e a dipingere e credo che potrò far di te qualche cosa. Ma non devi
più pensare alle parole di quel contadino. Tutte sciocchezze! Sarò un padre per
te, certo; ma non il vero.
Un'ombra di tristezza gli velò
il bel volto sereno. La fanciulla, che lo guardava intensamente, s'accorse
ch'egli aveva l'anima scossa da una pena, da lei ignorata, ma che le faceva
salire alla gola un gruppo di pianto.
— Ora, riposa; continuò il
pittore. Quando avrai dormito ancora un poco, t'alzerai. E parleremo, non è
vero?, di te e del tuo avvenire.
Si chinò a sfiorarle le labbra
con un bacio, poi uscì dalla stanza con la testa china.
Povero cuoricino di bimba, come
battevi, tutto solo col tuo dolore, che sentivi superiore di troppo alle tue
deboli forze! E ti sembrava d'essere un piccolo punto, quasi impercettibile,
sperso fra mezzo a due nubi, come un uccellino, che volasse timido e pauroso
fra due temporali. Che cosa avrebbe fatto, adesso? In quella casa non poteva
rimanere, poichè, malgrado le parole dolci del pittore, sentiva indistinta, ma
profonda la superfluità del suo corpicino in una famiglia non sua e che,
appunto perchè buona e generosa, non doveva subire la sua fastidiosa presenza.
Un segreto fra lei e il suo vero padre? No, no; qualunque cosa, piuttosto!
Troppo turbamento gli avrebbe portato! E allora? Laggiù, dalla mamma, non
poteva più tornare: l'altro non l'avrebbe più ricevuta o l'avrebbe accolta come
una straniera!
Fuggire! Ma dove? Agli occhi
della bimba il mondo era vasto: ma essa pensava alla debolezza delle proprie
gambe, che non l'avrebbero portata tanto lontana. Sarebbe stata riconosciuta al
primo villaggio e ricondotta a casa. Ciò, che la sera prima le era sembrato un
progetto attuabile, adesso le pareva assurdo, poichè la sua anima s'era
dischiusa sotto l'angoscia come un bocciuolo di rosa sotto i raggi cocenti del
sole.
Raccolse il capo fra le mani e
guardò fisso, per la finestra aperta, il paesaggio, che le si apriva dinanzi.
Come sarebbe stata felice di vivere fra quelle piante, di correre fra le
aiuole, di bagnarsi laggiù, senza tema di sgridate, nel fiume, che si vedeva
scorrere con i suoi giri tortuosi, come una striscia scintillante fra mezzo al
verde ed al giallo della campagna! Come parevano gonfie quell'acque! Essa le
vedeva perdersi all'orizzonte e pensava che le avrebbe seguite volentieri per
le ignote terre, che dovevan bagnare al di là della sua vista. E sa le seguisse
davvero? E se si lasciasse cadere fra mezzo ai loro vortici per scomparire con
esse? Iddio, certo, avrebbe saputo indovinare ch'essa era morta per non
arrecare un dolore a persone amate. E poi, doveva essere una morte tranquilla.
Rammentava il giorno, in cui avevan tratto dall'acqua il corpo di Giacomina, la
nipote del fattore. Era corsa anch'essa fra le genti, e l'aveva vista: aveva il
viso sorridente e calmo e pareva tanto contenta della sua sorte. Dicevano fosse
morta per amore. Che cosa significava questo? E anche lei, Pagliuzza, non
sarebbe morta per amore verso il suo vero babbo?
Scosse la testolina e si buttò
giù dal letto con un rapido movimento. Si vestì in un baleno; poi, a piedi
nudi, s'affacciò sulla soglia della stanza. Non s'udiva nessun rumore per la
casa. Attraversò il pianerottolo e scese le scale, col cuore che le balzava
forte, su su, fino alla gola. Quando fu in basso, piegò lungo il caseggiato,
poi scivolò fra le aiuole. Il suo corpicino si distinse ancora fra i rami
fioriti, infine si sperse nel boschetto, che circondava il giardino. Nessun
occhio umano lo vide. Soltanto Bull, il grosso mastino, si drizzò sulle zampe
anteriori e, alzando il muso verso il cielo, mandò un lungo ululato, come un
saluto a colei, che s'allontanava per sempre.
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