Narrano le favole come un tempo
vivesse in una noiosa città di provincia un certo signor Ciccillo, il quale
esercitava degnamente il mestiere di poeta. I suoi versi correvano per i
giornali paesani come le lucertole su per i muri e tramandavano un'armonia, che
in tutto somigliava allo stridere delle cicale nei meriggi estivi. Due cose
grandi possedeva: l'orgoglio ed una escrescenza ossea, che gli adornava la
schiena e che dicevano si fosse procurata con opportuni esercizi spirituali al
fine di rassomigliare al glorioso Recanatese. Tuttavia la sua Musa non era
triste; anzi, lepida e leggera si compiaceva nella satira e sforzavasi di
superare, in una gara geniale, quelle di alcuni invidiosi anonimi, costruttori
astuti di sonetti. Fra costoro il poeta Ciccillo confessava dignitosamente agli
amici di annoverare i più noti scrittori d'Italia. Le sue risposte le componeva
sovra tavolini di caffè, sbattendo le palpebre come uno scimmiottino, che abbia
trangugiata una buccia di limone, e sorridendo mefistofelicamente a sè stesso.
Un bravo ragazzo, in fondo, con
una dose rilevante di furberia infantile, bilanciata purtroppo dalla coscienza
della propria grandezza... morale.
Tutti lo conoscevano, tutti lo
chiamavano col famigliare nomignolo di «poeta». Aveva anche molti nemici,
accaniti contro il suo lucido ingegno, i quali lo angustiavano con piccole
malizie di collegiali o, peggio, di provinciali. Ma il bravo Ciccillo si
rasserenava presto, attingendo a piene mani forza e coraggio nella fama, che di
lui s'era sparsa per l'universo facendo sospirare le fanciulle e piangere i
torchi del più influente giornale del luogo. Era anche modesto; ma, santo Dio!,
nessuno poteva pretendere che rinnegasse la superiorità benignamente
concessagli dalla natura! A volte il suo cuore soffriva per l'umiliazione dei
meschinelli, che l'avvicinavano; ma egli sentiva, sopra ogni cosa, il dovere di
salvaguardare la propria missione di vate. Perciò, ad un nuovo conoscente, che
gli chiedeva se dovesse chiamarlo «signor poeta» o «signor Ciccillo», si sentì
obbligato in coscienza a rispondere: Eh, via! Mi può chiamare «signor poeta
Ciccillo»!
Un giorno s'imbattè in uno
scrittore famoso, capitato per caso nella città. Nell'autopresentazione seppe
mantenersi geniale e semplice a un tempo. Disse:
— Io sono Ciccillo.
— Bravo! Bravo! Tanto piacere!,
rispose l'altro, facendo atto di allontanarsi. Ma il nostro eroe lo prevenne
lanciandogli in pieno viso, come una doccia fredda, questa frase:
— Lo sa che Carducci ha dovuto
confessare che i miei sonetti valgono i suoi?
L'altro sgranò gli occhi:
— Davvero? Tanto, tanto piacere!
Quell'omettino, che portava il
peso della schiena con tanta dignità sulle fragili gambette, cominciava ad
interessare il grand'uomo. Si avviarono per i portici, discorrendo. Ciccillo
raccontava, agitando nervosamente la mazzetta di giunco, le piccinerie dei
nemici e l'odissea del proprio genio.
— Pastonchi, perfino Pastonchi,
concluse, ha bersagliata la mia anima di sonetti anonimi. E con versi discreti,
bisogna confessarlo!
Prima di accomiatarsi, Ciccillo
depose nelle mani dell'illustre autore un foglio di carta protocollo, sul quale
correvano, come vermicelli, degli scarabocchi d'inchiostro.
— Li legga!, borbottò: Fra
colleghi una buona parola val molto!
Due ore dopo Ciccillo trovò di
nuovo il grande poeta, che, con un pacchetto sotto il braccio, camminava
frettoloso.
— Parto fra poco, gli disse
costui. Venga con me alla stazione.
Entrarono insieme nel caffè,
aspettando il treno. L'illustre personaggio ordinò da bere, poi sciolse
l'involto.
— Posso offrirle? È uno
spuntino, ch'io faccio quasi sempre prima di pormi in viaggio.
C'era del salame, lì dentro, ed
anche qualche panino. Ma Ciccillo non aveva voglia di mangiare. Era diventato
pallido come un morto e sentiva le dita tremargli sulla mazzetta. Nella carta
unta e spiegazzata, che involgeva quei commestibili, aveva riconosciuto il suo
manoscritto.
*
* *
Cedendo alle preghiere degli
amici il poeta Ciccillo si decise, infine, a far valere i propri diritti.
Comprò un foglio di carta bollata e con la sua migliore calligrafia scrisse al
Sindaco della città. Con la modestia che lo distingueva in ogni sua azione
rimetteva il proprio destino nelle mani della prima autorità civile (la morale,
naturalmente, era lui); padrona essa di offrirgli un posto degno del patrio
poeta.
Aspettò un mese, senza ottenere
una risposta. Gli amici, intanto, lo punzecchiavano.
— Caro poeta, gli dicevano; in
fatto d'illustrazioni non c'è che quella Italiana, che abbia ottenuta fortuna
in patria.
— Ingrata terra, mormorava
Ciccillo strabuzzando gli occhietti.
Ci pianse sopra un poco; poi
scelse la sua vendetta. Un giorno i pacifici provinciali videro in un angolo
dei portici un omino curvo sovra una scatola da lustrascarpe, intento a rendere
lucidi due enormi stivali. Ciccillo aveva trovato il suo mestiere, s'era fatto
lustrino.
— È una protesta, diceva a
quanti l'interrogavano. Il Municipio non ha voluto dare un pane al poeta, e il
poeta gli ha dimostrato che sa guadagnarselo senza aiuto.
Un amico mormorò
filosoficamente:
— S'io fossi sindaco ti darei
non solo del pane, ma del... salame!
Purtroppo, anche in quel
mestiere c'erano i guai. Ma via, si poteva tirare avanti, tanto più che il
nostro Ciccillo aveva già confidenza coi piedi, come poeta. E poi, c'era un
altro guadagno: mentre lustrava, poteva esibire un'altra merce, le sue poesie.
— Quanto per la fatica,
Ciccillo?; chiedeva qualche avventore.
— Fai tu, rispondeva l'interpellato.
— E per la poesia?
— Il doppio.
Non era caro, il bravo Ciccillo.
Un mattino si chinò, come di
solito, per aprire il coperchio della cassetta e ficcò dentro una mano per
toglierne le spazzole. Ma sentì subito sotto il palmo qualcosa di freddo, che
si muoveva. Diede in un piccolo strido, ma non ebbe tempo di ritirarsi. Due
grossi sorci, passandogli sotto il braccio e fra le gambe, s'erano affrettati a
fuggire. Ma non corsero certo tanto svelti da una parte come il povero Ciccillo
dall'altra con le sue gambette e la gobba, che gli tremolava sulle spalle.
L'avventura finì con una purga
abbondante; ma il mestiere di lustrascarpe venne per sempre lasciato.
*
* *
Ciccillo aveva il temperamento caldo
ed il cuore bollente; perciò sentiva spesso il bisogno d'amore. Le ragazze gli
sorridevano, è vero; ma, allo stringer dei conti, ridevano addirittura. Una
sola pareva lo guardasse teneramente. Era bella e ricca; un partito magnifico.
In città presto si sparse la voce dell'idillio. Molti passavano a bella posta
da una certa strada per vedere il poeta passeggiar su e giù lungo il
marciapiedi, col naso in aria e agitando nervosamente la mazzetta fra le dita.
Di quando in quando un visino fresco di fanciulla si affacciava ad una
finestra, sorrideva e si ritirava. Una volta nel cappello di Ciccillo cadde un
fiore; ma il disgraziato non se ne avvide e continuò a gironzolare per un'ora,
domandandosi perchè i passanti ridessero tanto, guardandolo. Il motivo glielo
spiegò un amico, che gli chiese a bruciapelo:
— Di', ti crescono le rose sulla
testa in attesa delle corna?
Anche in questo suo nuovo
intrigo Ciccillo doveva trovare dei grattacapi, anzi, per dir meglio, un
grattacapo, rappresentato da un giovanottone biondo e grasso, che frequentava
la famiglia della benamata, e talvolta si mostrava con lei alla finestra,
spingendo la sfacciataggine fino a.... sorridere al poeta, che gli passeggiava
sotto il naso.
Disgrazia volle che i due rivali
si trovassero, un giorno, nello stesso crocchio d'amici. Si parlava di ragazze
e d'amori con la malignità pettegola, che è propria dei provinciali. A un
tratto qualcuno disse, additando Ciccillo:
— Ecco un fortunato!
Il poeta sbattè le palpebre e
chinò gli occhi modestamente.
— Io? Ohibò!
— Via! Sappiamo che ai poeti
sorridono le belle! La signorina C... può dirne qualche cosa!
Il giovanottone biondo, ch'era
stato a sentire, fece un gesto d'impazienza brontolando:
— Povero scemo!
Ciccillo divenne pallido come un
cencio. L'altro continuò, guardandolo di sott'occhio:
— Chi volete lo prenda sul
serio? Al più, possono prenderlo.... in giro, e con molti sforzi dato lo
sviluppo eccessivo della schiena!
La vocetta stridula
dell'insultato lo interruppe:
— Lei è un imbecille!
Se non fossero stati gli amici a
intromettersi, povero giovanotto biondo! Ciccillo sarebbe stato capace di
mangiarselo!
Il domani venne combinato fra i
padrini un duello all'ultimo sangue. Prima di esporsi al cimento, Ciccillo si
fortificò con qualche bicchierino di cognac, che gli pose in corpo un prurito
eroico molto simile a quello prodotto da certi insetti domestici. Sul terreno
si piantò ben saldo sulle gambette, procurando di equilibrare il di più
posteriore e impugnò la pistola, che, in parola d'onore, era più grossa di lui.
Poi, guardò innanzi a sè risoluto: vide una bocca enorme e nera, che sembrava
appartenere a un cannone, puntata contro di lui, e sentì un'impressione di
freddo lungo la curva della spina dorsale. Ma si fece coraggio e al comando di
«fuoco» chiuse gli occhietti e premette il dito. Un orribile boato gli riempì
le orecchie, un colpo come di pugno gli sbattè il braccio contro il petto e una
nube attossicante di fumo salì a soffocarlo. Sentendosi ancora in vita, riaprì
gli occhi e scorse i padrini correre verso il suo avversario che, rovesciato
per terra, agitava le braccia boccheggiando. Ciccillo provò uno spasimo
tremendo e corse anche lui vicino al rivale. Dal volto del ferito colava un
rivoletto di sangue nerastro a formare una pozza sull'erba. Il poeta cacciò
fuori un urlo e si lasciò cadere per terra anche lui. Un assassino! Era un
assassino! E fra poco lo avrebbero messo in carcere, per tutta la vita! Scoppiò
in un pianto dirotto, ficcandosi le mani nei capelli.
Ma una risata omerica lo tolse
dall'accasciamento. Ridevano tutti, intorno a lui; perfino il morto rideva,
asciugandosi con un fazzoletto le guance.
— Polvere e inchiostro, caro
poeta; spiegò bonariamente un padrino.
Addio speranze amorose! Una tale
burla troncava per sempre l'idillio e costringeva Ciccillo a dare le dimissioni
da don Giovanni.
Ma il poeta si consolò scrivendo
un poema e inviandolo, con una dedica fraterna, a Giosuè Carducci. Aspetta
ancora una risposta.
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