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Pierangelo Baratono
Ombre di Lanterna

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  • Truciolino
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Truciolino

 

Truciolino aveva in corpo tutto un sistema di filosofia. Già! Non per niente era la più giovane delle cinque sorelle Tunica! Aveva imparato da loro a regolarsi, salvo il rispetto dovuto alla propria originalità di pensiero e di azione. Ma chi era, via, questa Truciolino? Il lettore non si fabbrichi troppi castelli in aria. Truciolino non era una cagnetta, una bambina, una macchina per cucire; Truciolino era un soprannome. E apparteneva a una ragazza tanto fatta, rotonda di fianchi e di petto, maggiorenne, con un visetto pallido e capriccioso.

In famiglia, le volevano poco bene. Eh sì! Ce n'erano troppe, dentro, di ragazze; nientemeno che cinque. È vero che servivano di richiamo agli avventori, specialmente agli ufficiali, che si affrettavano ad accorrere in un albergo, ove ai prezzi modici della pensione si univa la comodità di flirtare e di far qualcos'altro. Piccolezze! E poi, nel mondo c'è da badare a tante cose!

Dunque, Truciolino poteva tranquillamente farsi un'esperienza con quella delle sorelle.

Eran tutte militarizzate, le signorine Tunica, e non guardavan più in alto di un paio di brache polverose, con la striscia rossa di fianco, e di una sciabola rumoreggiante come una bottega ambulante di ferravecchi. Un innamorato borghese, peuh, poteva bastare come passatempo. Ma il cuore, il cuore! Oh, quello voleva battere sopra una tunica attillata e sotto la pressione di una mano avvezza alla sala di scherma e al saluto regolamentare.

Anche Truciolino, si capisce, aveva subìto l'ambiente e andava in brodo di giuggiole, sgranando gli occhioni chiari, innanzi ai baldi campioni con più o meno valore. Oh, quegli ufficiali! Potevano essere sciocchi come una minestra allungata, brutti come una scimmia, erano ufficiali!

Talvolta Truciolino si sorprendeva a sospirare: «Se ci fossero ancora le vivandiere! Come seguirei volentieri il reggimento, con la fiaschetta a tracolla e le gonnelle corte, a mostrare i polpacci ai figli di Marte!» Quella ragazza aveva nelle vene il sangue di un eroe; sarebbe giunta a sacrificare la sua virtù al dio belligero, tutto, tranne, naturalmente, la vita.

Un curioso spettacolo, l'albergo. Pieno di militari, di rumore di sciabole, di risate. Qualche timido borghesuccio tentava, di quando in quando, di mettere una nota nera fra il luccichio di note rosse e argentate. Ma presto si ritraeva, spaventato, come una lumaca nel guscio.

Fra mezzo ai galloni giravano tranquille e sorridenti le cinque sorelle Tunica, dando un buffetto a questo, una risposta piccante a quell'altro, accettando un complimento, una carezza, un invito. Avevano un padre, che, terribile contro tutto il genere umano, si mostrava invece mansueto ed affabile con l'esercito. Questione d'economia politica! Ed era giusto che la sua paterna gelosia, esagerata contro i moscerini, si ripiegasse su stessa e scomparisse innanzi al gesto ampio e al civettuolo inarcar di garetti di qualche ufficiale a mille e cinque.

Truciolino aveva cominciato con l'amare un pacifico ragazzotto, avviato alla farmaceutica. Ma, stancatasi presto, si era abbandonata alla corrente, che ormai la travolgeva fra mezzo alle mostre ed ai berretti inargentati. Ciò non le impediva di accudire, di tempo in tempo, a qualche intrighetto fuori di casa e di mantenere la relazione col suo primo amore, che, guarda furbo!, voleva sposarla.

Eeeeeeeoccì! Felicità!

Un brutto giorno, il fidanzato ricevette una lettera anonima. In quell'epoca appunto, per combinazione, Truciolino possedeva tre amanti, tre simpaticoni: un tenentino bruno, un dottore biondo, uno studente castano scuro. Ohimè, ohimè; come fare? Lei non voleva sacrificare i suoi amori al matrimonio. E poi, desiderava la pace in famiglia; sarebbe stata tanto comoda! Che dovevano importare a quello scioccone simili intrighi? Cosa c'entrava lui con gli affari del cuore? Dopo il matrimonio, certo, per l'apparenza, si sarebbe usata qualche precauzione. Ma prima, essa era libera di fare e disfare e magari di piantare una foresta di corna al suo eccellente futuro.

Al fidanzato erano pervenute molte voci contradittorie. C'era chi pretendeva che Truciolino forse l'amante di un colonnello, e c'era chi l'aveva vista a braccetto del sindaco. Pazzie, vi dico! Ma bisognava vederci chiaro.

Poche parole della ragazza bastarono per rassicurare quella buona pasta di Momolo. Oh, era una cara creatura, Truciolino, e prudente, anche! Tanto è vero che aveva pregato il suo Momolo di non farsi vedere molto spesso nell'albergo o con lei, per evitare le male lingue, le chiacchiere. Ed egli si era staccato dal fianco di Truciolino, contentissimo di lei e fabbricando castelli in aria sul prossimo matrimonio.

Il bel tempo doveva durare poco. Una sorella di Truciolino, per dispetto o per odio ai fidanzamenti, cominciò a sollevare una nube. E tanto disse, da indurre il buon Momolo ad appostarsi, una notte, in un angolo buio dell'albergo, per sincerarsi, diceva lei, sulla verità delle accuse portate contro la ragazza. E passò proprio, Truciolino, verso mezzanotte, e si recò difilato ad aprire la porta di una camera, che non era, precisamente la sua. Momolo digrignò i denti e giurò di vendicarsi in un modo atroce. Truciolino, sicura contro qualunque sorpresa, non aveva neanche chiuso col chiavistello quell'uscio. Il povero fidanzato aspettò un quarto d'ora; poi, armatosi di coraggio, schiuse lentamente la porta fatale e si insinuò nella camera. Dapprima, al lume di una candela, che ardeva sovra il cassettone, vide il letto, bianco, e sul guanciale il viso di un bel giovanottino bruno, con le guance accese e gli occhi scintillanti. Poi, distinse, a fianco del capezzale, Truciolino ripiegata su stessa, come se pregasse.

Urlò:

Infame!

Al grido la ragazza si drizzò, meravigliata; ma riacquistò subito il sangue freddo.

— Sei tu, Momolo?, disse; capiti a tempo. Questo povero tenente ha un accesso di febbre; devo vegliarlo io, perchè d'altri non si fida. Mi terrai compagnia.

Il tenente aveva una smorfia diabolica sul viso; pareva che ridesse.

Ma sì! Il delirio!

Truciolino continuò:

Sai; potresti renderti ancor più utile recandoti a cercare un po' di ghiaccio. Io non posso lasciarlo.

Momolo, commosso, s'affrettò a ubbidire. Nel passare la porta udì dietro di un rumore soffocato, come di rantolo o di sghignazzata. Ma non si rivolse neanche. Pensò: Pover'uomo! È la febbre!

Per due o tre giorni non si saziò di lodare il buon cuore della sua fidanzatina. Che stupidi quelli, che gliene avevano detto male, e che canaglie' Una ragazza così compassionevole! Bisognava conoscerla, avvicinarla! Ma l'avrebbe fatta conoscere lui: avrebbero potuto tutti toccare con mano chi fosse Truciolino!

Qualche sera dopo, entrando all'improvviso in una sala dell'albergo, sorprese la ragazza mentre si faceva baciare da un giovanotto biondo, il dottore.

Oh, questa, poi, non se la sarebbe aspettata! Le si avvicinò, col viso sconvolto. Ma Truciolino aveva sempre in tasca dieci espedienti.

— Che ti succede?, gli chiese.

— Ma... ma..., balbettò lui.

Spiegati; non ti capisco.

Il dottore, un bel tipo magro e robusto, con due baffettini arricciati e la faccia energica, guardava sorridendo.

— Tu baciavi il signore?

— Sei matto? Mi facevo esaminare la bocca per ottenere un rimedio contro la carie dei denti. Sai quanto ne soffro!

E, poichè Momolo restava rannuvolato, concluse stringendosi nelle spalle:

Vorresti avere una moglie con i denti tutti neri, eh! E che ti svegliasse di notte con le sue grida? Sarebbe un bell'impiccio per tutti e due!

Alzò le spalle con un gesto birichino, prese il braccio del dottore ed uscì, lasciando Momolo immerso nello stupore. Che fosse vero? E poi, si poteva mentire con quel volto tranquillo e con quegli occhioni chiari? No, no; Truciolino aveva detta la verità, avea fatto tutto a fin di bene. E si rassicurò completamente.

Aveva acquistata tanta fiducia, ormai, da non temere più le chiacchiere dei malevoli. Tutti invidiosi, e fors'anche rivali! Perciò, allorchè un amico venne a dirgli che la minore delle signorine Tunica si trovava ogni sera, verso l'imbrunire, in una via appartata con uno studente, rispose: È impossibile!

Tuttavia, volle vedere con i propri occhi.

Maledizione! Li scorse davvero, stretti l'uno all'altra, passare a mezzo metro da lui senza badargli. E chi sa cosa avrebbero fatto, se non fosse intervenuto subito, come l'ombra del Commendatore.

— Questa volta non me le darai più a mangiare le tue panzane; le gridò sul viso.

Essa si scosse a mala pena. Lo studente aveva fatto un passo innanzi, pronto a lasciar correre un pugno sul naso del malcapitato. Ma Truciolino lo calmò con un breve ammiccar d'occhi; poi, rivolgendosi a Momolo, susurrò:

— Non gridare. E, prima di darmi della bugiarda, ascoltami. Il signore è... ma bada, ti confido un segreto, che guai se trapelasse. Il signore è... mio fratello. La mamma, poveretta, lo ebbe in un momento di debolezza. Quanto ha pianto, in seguito! Ha finito col confidarsi a me e col rivelarmi tutto. E poichè non può lei, per non tirarsi addosso le chiacchiere, mi ha pregata di consolarlo, di fargli da sorella affettuosa.

Parlò per mezz'ora; infine si pose a piangere. Momolo era già caduto ai suoi piedi, scongiurandola, fra i singhiozzi, di perdonargli. Anche lo studente versava tenerissime lagrime; ma perchè faceva quei versacci con la bocca, storcendola? Poverino! Forse la commozione gli aveva provocato una crisi di nervi.

Alla fine Momolo si rialzò e, stesa la mano al giovanotto, disse nobilmente:

— Sarete mio fratello!

Come dovevano ridere, nell'inferno!




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