Una stazione di provincia. La
sala d'aspetto s'affonda nella semi-oscurità, a mala pena rotta da una tremula
fiamma di gas. I viaggiatori sono pochi, quattro in tutto, tre operai,
aggruppati insieme sopra un divano, e un vecchio signore, che sonnecchia in un
angolo invaso dalle tenebre. I tre operai discorrono sottovoce, ascoltando il
tic-tac monotono di un orologio a pendolo. Del vecchio, nell'ombra, si scorge
soltanto la bianchezza del cranio calvo e il brillare furtivo di una grossa
catena d'oro, passata a traverso il panciotto. Di tempo in tempo si odono
suonare dal di fuori, a traverso la vetrata sporca di fumo, brevi ordini e
chiamate imperiose; un campanello telegrafico fa udire il suo tintinnio, poi
tutto ricade nel silenzio. Ecco; il guarda-sala ha cominciato a passeggiare in
su e in giù per la corsia. La porta chiusa si apre violentemente; un'occhiata
interrogativa, una domanda: Per Milano, signori? — poi la porta si chiude di
nuovo.
I tre, un momento interrotti nel
loro chiacchierio sommesso, riprendono il discorso.
— C'è una gran febbre, a Milano.
Mi hanno scritto che qualcuno si prepara. I timorosi cominciano a scuotersi, a
radunarsi. Qualcosa succederà.
— Basta, basta. Son chiacchiere.
M'importa assai! Faremo di più con l'appoggio dei signori, che con quello dei
guasta-mestieri.
— Si, i signori! Attenditi
qualcosa! E poi, anche se concedono, dan tutto per commiserazione. Conquistare,
bisogna; non aspettare.
— E tu conquista, se ci riesci e
se lo fucilate e le carceri ti risparmiano. Che vuoi fare? C'è una muraglia,
innanzi a noi: i soldati. Son come noi, ma hanno la disciplina. Non si scherza
sotto l'uniforme: o fucilare o essere fucilati.
— Già, e i signori ti danno la
fame, per regalo. O morire, dico io, o vincere. Che importa? Dopo le barricate c'è
la liberazione, in un modo o in un altro. Purchè si ottenga lo scopo, che
importa il modo?
— Siete due bruti, tu con i tuoi
signori e tu con le barricate. Appoggiamoci ai preti, invece. Sanno il da
farsi, son furbi.
— Ohè, scherzi? Brutto chierico
da sacrestia, vorresti leccare gli stivali a chi ti mangia la paga e ti gode la
moglie? Ohibò! ohibò! La moglie e la paga le tengo per me.
— Sciocchezze! Han fatto molto
per noi, han fondato case, ospizi, ricoveri, officine. Che volete di più? Sono
i soli che si occupino di noi.
Il vecchio signore lasciò udire
un sordo gemito. Forse sognava. I tre lo guardarono nell'ombra, poi si
fissarono:
—Dorme, lui! Se ne infischia.
Avrà il portafogli pieno e la pancia anche, una bella pancia bianca e grassa da
milionario. Guarda come gli splende la catena sul panciotto. È d'oro vero! Chi
sa quanto potrà valere!
— E i diamanti degli anelli, li
hai visti? Mi è passato innanzi poco fa. Gli ho guardato le mani: luccicavano
come stelle. Che bellezza! È un vero signore.
— Dev'essere un conte di qui,
dei dintorni. In paese lo chiamano sprecone, perchè ha la mania dei gioielli.
Ne porterà addosso per chi sa quanto! Ma è anche religioso.
— Che importa? Peggio ancora.
Ricco e religioso! Puah! Proverei più gusto a bucargli la pancia, così, per
passare il tempo.
—Eh! Eh! E anche per pigliarti i
quattrini e i gioielli.
— No. Ladro, no. Non mi
piacerebbe. Averlo dinanzi, in un giorno di battaglia. Quello sì.
— Ma scapperebbe, lui!
— Bravo! Ed io lo rincorrerei e
lo sorprenderei in qualche fetido nascondiglio della sua casa e lì, a
quattr'occhi, come buoni camerati, gli proporrei di contargli i visceri uno per
uno.
— Zitti! potrebbe ascoltarci!
— Va là, ipocrita da bottega!
Anche tu godresti a vederci un po' più chiaro in quel ventre di rospo.
— Perchè no? Del resto, io non
sono sanguinario. Gli chiederei semplicemente un sussidio per i poveri.
— E lo lascieresti vivere? E la
denunzia?
— Sei matto! Gli legherei
gentilmente un nastro intorno al collo, così, per farlo più bello, come un can
barbone. Poi, farei da medico e gli imporrei di mostrarmi la lingua, a forza di
stringere il nastro.
— Siete due canaglie. Questo è
il vostro rispetto pei signori e per la chiesa? Io, almeno, vo dritto alla
mèta. Lo dichiaro, non ricchi, non preti. Ma non mi immischio di altro. Del
resto, vedo che voi altri paghereste non so che ad arricchire e a diventare
potenti. Per me, vorrei vivere, semplicemente, e un po' meno da bestia.
— Sei uno sciocco. Chi non
vorrebbe diventar ricco, potendo?
— Pensare che vicino a noi dorme
una fortuna par tutti e tre. Il treno fra un quarto d'ora sarà qui; quel
vecchio dorme della grossa. Il guarda-sala non l'ha neanche scorto. Una
strizzatina a quel collo; poi ci si mette in viaggio, carichi di denaro, e si passa
la frontiera. Una bella occasione.
— Scherzi?
— No, parlo seriamente. Senti,
camerata, non dir più stupidaggini; con le tue smargiassate da uomo dei tempi
futuri faresti scappare la pazienza ad un santo. Qui si tratta di vincere una
volta per sempre. Che t'importa di una vita umana? Non saresti disposto a
massacrare i tuoi fratelli per quel tuo ideale? Dunque? L'uomo morto, fuggiamo.
Nessuno potrà scoprirci, nessuno ci vedrà più. Si tratta di un momento.
— No, no. Mi ripugna. È un
vecchio. Avrà famiglia.
— Boum! Ci pensano molto, alla
famiglia, quei là. E poi! È una vendetta. A te piaccion tanto le vendette. Ecco
l'occasione.
— Non queste. La vendetta la
comprendo faccia a faccia, il coltello alla mano.
— Si? E le tue barricate? E il
massacro di due gruppi compatti, l'uno formato da operai in camiciotto, l'altro
da operai in uniforme?
— E poi, pensa che qui si tratta
di aiutare la nostra impresa. Con i denari del vecchio potremo far molto. Io ne
darò ai poveri, Pietro alla chiesa, tu alle società operaie. Così li
purificheremo.
— Scherzate! È mostruoso! Non
posso, non posso.
— Affratelliamoci. Il tempo
passa e l'occasione, una volta scomparsa, non si ritrova più. Vuoi esser con
noi?
— No, no.
— E allora, promettici la
neutralità.
— Già. Ma la pelle la arrischiamo
tutti e tre, anche se voi due soli compirete il delitto.
— Allora vattene, esci, va in
stazione a far due passi. Così distrarrai anche l'attenzione del guarda-sala.
— Pensateci ancora.
— Siamo decisi. Dunque?
— Andrò via, in stazione. Siete
due vigliacchi, però.
Aprì la porta, la sbattè dietro
le spalle. Il vecchio ebbe una breve scossa, poi si riaddormentò.
— Imbecille!, mormorò uno dei
due rimasti.
Entrambi si avvicinarono
cautamente, lungo i divani, al dormiente, s'immersero anch'essi nell'ombra. Uno
spettatore invisibile li avrebbe scorti, fermi innanzi al vecchio, gli occhi
fissi su di lui, a guardare quel capo addormentato con un feroce sogghigno.
Nell'ombra i due corpi si curvarono; qualcosa luccicò un istante, suonò un
gemito. I due si rialzarono, un po' sudati, cogli occhi bianchi. Poi successe
una rabbia di conquista: tutte le tasche del morto vennero frugate, gli anelli
strappati a forza dalle dita, con gesti prudenti, per non far rumore e per non
macchiarsi di sangue.
S'udì, lontano, un fischio di
treno. S'avvicinò un rumore, prima sordo, poi più spiccato, di macchinario in
moto. I fischi della vaporiera raddoppiarono, il convoglio entrò in stazione
fra strepito di ferramenti e sbuffi ampi di fumo. I due, d'un balzo, furono
alla porta coi loro fardelli, l'aprirono, passarono innanzi al guarda-sala. Il
compagno li raggiunse. Cercò di parlare, non potè. Poi si ficcarono tutti in un
vagone. Il guarda-sala diede uno sguardo distratto per la sala d'aspetto, non
vide nulla e si ritirò.
Il treno ripartì con fragore, si
allontanò per la campagna.
Nella sala d'aspetto il cadavere
del vecchio, rovesciato sopra un fianco, si scorgeva a malapena nell'ombra col
gran cranio calvo e con la bianchezza dei denti lasciati allo scoperto da
un'orribile smorfia della bocca. Più non si udiva nel silenzio notturno se non
il lento e ritmico gocciare del sangue sul pavimento.
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