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Pierangelo Baratono
Ombre di Lanterna

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  • Il sogno del macchinista
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Il sogno del macchinista

 

Quella sera egli entrò nella grande stazione ferroviaria con l'animo scosso dall'inquietudine e dal tormento dell'avvenire. Passò frettoloso fra mezzo al brulichio dei viaggiatori, scansando distrattamente i carretti carichi di merci e non porgendo orecchio alle urla dei facchini, al vocìo dei saluti scambiati sui predellini e lungo la nera linea dei treni ed ai fischi prolungati ed acuti delle macchine.

Un uomo lo fermò ruvidamente sul marciapiedi. Egli si scosse un poco, riconobbe il compagno fuochista, gli strinse la mano.

— Vieni con me, disse quello. Manca mezz'ora alla partenza. Avremo tempo di bere insieme.

— No, no; volle protestare.

Perchè? È la mia festa, oggi: è San Giovanni; vieni, vieni.

Pareva già esaltato dal vino. Aveva la faccia rossa e gli occhi luccicanti; sul visetto magro e spelato, tutto punte, portava diffusa una strana espressione di belva contenta.

— Se tu sapessi! ribattè l'invitato. Domani troverò in casa il sequestro. Quella canaglia di padrone non vuol più aspettare. E il fornaio, e l'oste! Ma verrò lo stesso, per farti piacere.

— Sì, vieni. Non bisogna pensare a melanconie. Ne abbiamo tante, se volessimo, tutti!

Si avviarono tenendosi per la mano, il macchinista alto e grosso, con le spalle quadrate e il volto invaso dalla barba nera: l'altro piccolo, irrequieto, con gli occhi maligni, che scrutavano intorno.

Seduti in un angolo del caffè, i due si fecero portare dell'acquavite, poi del cognac. Bevevano rapidamente, senza parlare, guardandosi l'un l'altro con un senso indefinibile di commiserazione reciproca. Parevano due selvaggi, con i loro abiti coperti di macchie e i berretti calati sulla fronte, fra mezzo ai viaggiatori eleganti e rumorosi, che ingombravano la sala.

Attento ai capi!, mormorò a un tratto il fuochista. Se ci vedessero!

— Che importa?, ribattè l'altro. Siamo uomini anche noi, dopo tutto!

Sai a che ho pensato, talvolta? Noi due, soli nella macchina, su quella piattaforma, che domina una fornace, siamo responsabili di un centinaio di persone. Oh, ci sarebbe da ridere se un giorno ci saltasse il capriccio di andare al diavolo in compagnia numerosa!

Il macchinista taceva, ascoltando. Quante volte anch'egli aveva pensato a questo, quante volte s'era meravigliato di non sentirsi forte abbastanza da sfogare la propria rabbia contro quegli esseri, che si facevano trascinare da lui e dipendevano dal suo capriccio, eppure lo disprezzavano, lo consideravano un nulla! Quella notte, come le altre, egli li avrebbe condotti ai loro paesi, ove li aspettavano il benessere e la gioia.

Oh! non c'erano terze classi in quel treno! Erano tutti signori! E lui, domani, sarebbe tornato a casa e avrebbe trovata la stanza nuda di mobili, la moglie piangente, i bambini con la fame!

Il fuochista indovinava i suoi pensieri. Gli interruppe la triste meditazione, chiedendogli:

— Ti ci vuol molto? Potresti chiedere un anticipo.

— Oh, sarebbe il quarto, e me lo rifiuterebbero. Poi, ci vuol altro per pagare il debito. Non basterebbero due mesate!

Un fischio acuto li fece balzare in piedi. Doveva essere vicina l'ora della manovra. I due si avviarono, urtando qualche viaggiatore, salirono sulla macchina, curvarono i dorsi nella consueta fatica.

Sì, sì, continuava a pensare il macchinista; è una dura vita! E per quale scopo? Questa mia bella macchina, l'unica cosa ch'io ami all'infuori della famiglia, è qui, sottomessa con la sua forza e il suo fuoco interno.

Carezzava con la mano aperta, inconsciamente, in un atto paterno, il freno lucente, mentre il compagno, chino ed ansante, riempiva di carbone la vasta cavità, ove le fiamme salivano turbinando.

Essa è qui, disposta a un mio cenno, pensava il macchinista; ed io l'adopero per far correre a traverso le campagne e i paesi un branco di scioperati, che non valgono un solo dei suoi sbuffi di fumo.

Il fuochista lo distrasse, dicendogli:

Sai? Ho qui, nascosto, un bariletto di vino. Lo berremo per via. Ma ci vorrebbe del pane!

— Come fare?

— Potresti scivolar giù, un momento, a comprarne. Nessuno ti vedrà, stai sicuro.

Il macchinista esitò un poco; ma si fece animo e scese, di corsa attraversò il marciapiedi, comprò il pane, poi tornò indietro. I suoi occhi, che guardavano sospettosi d'attorno, lungo i vagoni del treno, si fissarono a un tratto sovra un fresco viso di bimba, che si sporgeva da un finestrino. Quella creaturina aveva i capelli biondi e ricciuti e gli occhi azzurri: tendeva le mani verso un signore, che dal basso la guardava, e balbettava sorridendo:

Papà! papà! vieni presto!

Il macchinista si riscosse. Che pazzo era stato! Aveva rischiato di farsi cogliere dal capo-treno per un volto di bambina. Ce n'erano tante, nel mondo, di quelle creature! Ce n'erano due anche in casa sua, ma pallide, magre, con i capelli sporchi e gli occhi precocemente tristi. Sentì un nodo di pianto fermarglisi in gola; ma riprese la corsa, si arrampicò sulla macchina.

 

*

*   *

 

Il treno, adesso, correva per la campagna, fra mezzo alle tenebre. I due compagni ogni tanto interrompevano il lavoro e si piegavano nell'ombra, a bere dal bariletto. Sentivano entrambi del fuoco nel cervello. Il macchinista provava l'impressione d'essere egli stesso la macchina: nel cranio gli si agitavano fiamme e bagliori gli attraversavano gli occhi. Una bestemmia del compagno lo tolse all'incubo.

— Ah, quelle canaglie, che dormono, urlava il fuochista, mentre noi lavoriamo per loro!

Dormivano, certo, quei signori. E domani si sarebbero svegliati e sarebbero scesi dal treno senza volgere neanche uno sguardo a chi aveva protetti i loro sonni e guidati i loro corpi. No, no; era intollerabile! Il macchinista senti un bisogno di sfogarsi, di vendicarsi, di cacciar fuori, in qualche modo, la smania, che gli rodeva l'anima. Si piegò verso l'altro e gli urlò:

— Di! Se facessimo succedere uno scontro?

Il fuochista non comprese, dapprima; ad un tratto, si fece tetro, poi scoppiò in una risata. Un'idea gli attraversò il cervello; la esternò:

— Ma noi, noi morremo pei primi!

— Che importa? ribattè l'altro. Purchè ci vendichiamo.

Nel cervello saturo d'alcool non c'era più posto pel ragionamento. Il fuochista, anch'esso, aveva approvato! Dunque? Si curvarono entrambi, anelando, verso la fornace. I volti, arrossati dal bagliore delle fiamme, avevano un'espressione terribile d'odio. Con un gesto concorde gettarono a palate il carbone dentro, furiosamente. Poi il macchinista diede la massima pressione alle valvole.

Il treno volava, ora, sulla via ferrata, divorando lo spazio. La macchina scricchiolava, ansava come una bestia gigantesca, cacciava fuori globi di fumo, arroventandosi tutta. Ma i due non badavano a nulla: immobili, rigidi, sentivano moltiplicarsi i segnali d'allarme e la piattaforma scottare sempre più sotto i loro piedi. Inoltre, un orribile frastuono di lamenti, di grida, veniva a ondate a percuotere le loro orecchie. Nelle piccole stazioni il treno passava, rapido come un baleno, lasciando stupefatti e atterriti gli impiegati ed i manovali. Qual forza umana avrebbe potuto, ormai, salvare da una spaventosa rovina la nera fila di vagoni, ove la morte aveva già stabilito il suo regno? Il macchinista, con la mano appoggiata sul manubrio del freno, guardava fisso innanzi a , nel buio. Malgrado il calore insopportabile, che emanava dalla macchina, egli sentiva un gran freddo penetrargli le ossa. Volse gli occhi al compagno e lo vide bere lentamente, tetro e raccolto. Fissò per un istante il cielo, che le nubi coprivano. Ma allora un'immagine gli si affacciò al pensiero, dapprima indistinta, poi più decisa, più nitida. Un soave volto di bambina, con gli occhi azzurri e i capelli biondi e ricciuti, gli parve si chinasse verso di lui, piangendo. Una vocina esile, affettuosa, balbettava: Papà, papà, vieni presto!

Oh, sarebbe venuto presto, suo padre; ma, invece di trovare un corpicino pieno di vita e di amore, avrebbe visto un informe ammasso di carne, lacerato e triturato dall'urto. Il macchinista guardò ancora tristemente il cielo, poi diede un colpo rapido con la mano alla valvola.

Un fischio acutissimo ruppe lo ombre notturne; il treno rallentò la corsa furiosa, poi si arrestò in piena campagna.

Il capo-treno, che s'era avvicinato correndo alla locomotiva, trovò il macchinista che, accasciato sulla piattaforma, piangeva. Quanto al fuochista, esso si teneva dritto, immobile, con gli occhi fissi, in un'espressione d'odio, sulla fornace, che arroventava i fianchi della macchina.




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