Quella sera egli entrò nella
grande stazione ferroviaria con l'animo scosso dall'inquietudine e dal tormento
dell'avvenire. Passò frettoloso fra mezzo al brulichio dei viaggiatori,
scansando distrattamente i carretti carichi di merci e non porgendo orecchio
alle urla dei facchini, al vocìo dei saluti scambiati sui predellini e lungo la
nera linea dei treni ed ai fischi prolungati ed acuti delle macchine.
Un uomo lo fermò ruvidamente sul
marciapiedi. Egli si scosse un poco, riconobbe il compagno fuochista, gli
strinse la mano.
— Vieni con me, disse quello.
Manca mezz'ora alla partenza. Avremo tempo di bere insieme.
— No, no; volle protestare.
— Perchè? È la mia festa, oggi:
è San Giovanni; vieni, vieni.
Pareva già esaltato dal vino.
Aveva la faccia rossa e gli occhi luccicanti; sul visetto magro e spelato,
tutto punte, portava diffusa una strana espressione di belva contenta.
— Se tu sapessi! ribattè
l'invitato. Domani troverò in casa il sequestro. Quella canaglia di padrone non
vuol più aspettare. E il fornaio, e l'oste! Ma verrò lo stesso, per farti
piacere.
— Sì, vieni. Non bisogna pensare
a melanconie. Ne abbiamo tante, se volessimo, tutti!
Si avviarono tenendosi per la
mano, il macchinista alto e grosso, con le spalle quadrate e il volto invaso
dalla barba nera: l'altro piccolo, irrequieto, con gli occhi maligni, che
scrutavano intorno.
Seduti in un angolo del caffè, i
due si fecero portare dell'acquavite, poi del cognac. Bevevano rapidamente,
senza parlare, guardandosi l'un l'altro con un senso indefinibile di
commiserazione reciproca. Parevano due selvaggi, con i loro abiti coperti di
macchie e i berretti calati sulla fronte, fra mezzo ai viaggiatori eleganti e
rumorosi, che ingombravano la sala.
— Attento ai capi!, mormorò a un
tratto il fuochista. Se ci vedessero!
— Che importa?, ribattè l'altro.
Siamo uomini anche noi, dopo tutto!
— Sai a che ho pensato,
talvolta? Noi due, soli nella macchina, su quella piattaforma, che domina una
fornace, siamo responsabili di un centinaio di persone. Oh, ci sarebbe da
ridere se un giorno ci saltasse il capriccio di andare al diavolo in compagnia
numerosa!
Il macchinista taceva,
ascoltando. Quante volte anch'egli aveva pensato a questo, quante volte s'era
meravigliato di non sentirsi forte abbastanza da sfogare la propria rabbia
contro quegli esseri, che si facevano trascinare da lui e dipendevano dal suo
capriccio, eppure lo disprezzavano, lo consideravano un nulla! Quella notte,
come le altre, egli li avrebbe condotti ai loro paesi, ove li aspettavano il
benessere e la gioia.
Oh! non c'erano terze classi in
quel treno! Erano tutti signori! E lui, domani, sarebbe tornato a casa e
avrebbe trovata la stanza nuda di mobili, la moglie piangente, i bambini con la
fame!
Il fuochista indovinava i suoi
pensieri. Gli interruppe la triste meditazione, chiedendogli:
— Ti ci vuol molto? Potresti
chiedere un anticipo.
— Oh, sarebbe il quarto, e me lo
rifiuterebbero. Poi, ci vuol altro per pagare il debito. Non basterebbero due
mesate!
Un fischio acuto li fece balzare
in piedi. Doveva essere vicina l'ora della manovra. I due si avviarono, urtando
qualche viaggiatore, salirono sulla macchina, curvarono i dorsi nella consueta
fatica.
Sì, sì, continuava a pensare il
macchinista; è una dura vita! E per quale scopo? Questa mia bella macchina,
l'unica cosa ch'io ami all'infuori della famiglia, è qui, sottomessa con la sua
forza e il suo fuoco interno.
Carezzava con la mano aperta,
inconsciamente, in un atto paterno, il freno lucente, mentre il compagno, chino
ed ansante, riempiva di carbone la vasta cavità, ove le fiamme salivano
turbinando.
Essa è qui, disposta a un mio
cenno, pensava il macchinista; ed io l'adopero per far correre a traverso le
campagne e i paesi un branco di scioperati, che non valgono un solo dei suoi
sbuffi di fumo.
Il fuochista lo distrasse, dicendogli:
— Sai? Ho qui, nascosto, un
bariletto di vino. Lo berremo per via. Ma ci vorrebbe del pane!
— Come fare?
— Potresti scivolar giù, un
momento, a comprarne. Nessuno ti vedrà, stai sicuro.
Il macchinista esitò un poco; ma
si fece animo e scese, di corsa attraversò il marciapiedi, comprò il pane, poi
tornò indietro. I suoi occhi, che guardavano sospettosi d'attorno, lungo i
vagoni del treno, si fissarono a un tratto sovra un fresco viso di bimba, che
si sporgeva da un finestrino. Quella creaturina aveva i capelli biondi e
ricciuti e gli occhi azzurri: tendeva le mani verso un signore, che dal basso
la guardava, e balbettava sorridendo:
— Papà! papà! vieni presto!
Il macchinista si riscosse. Che
pazzo era stato! Aveva rischiato di farsi cogliere dal capo-treno per un volto
di bambina. Ce n'erano tante, nel mondo, di quelle creature! Ce n'erano due
anche in casa sua, ma pallide, magre, con i capelli sporchi e gli occhi
precocemente tristi. Sentì un nodo di pianto fermarglisi in gola; ma riprese la
corsa, si arrampicò sulla macchina.
*
* *
Il treno, adesso, correva per la
campagna, fra mezzo alle tenebre. I due compagni ogni tanto interrompevano il
lavoro e si piegavano nell'ombra, a bere dal bariletto. Sentivano entrambi del
fuoco nel cervello. Il macchinista provava l'impressione d'essere egli stesso
la macchina: nel cranio gli si agitavano fiamme e bagliori gli attraversavano
gli occhi. Una bestemmia del compagno lo tolse all'incubo.
— Ah, quelle canaglie, che
dormono, urlava il fuochista, mentre noi lavoriamo per loro!
Dormivano, certo, quei signori.
E domani si sarebbero svegliati e sarebbero scesi dal treno senza volgere
neanche uno sguardo a chi aveva protetti i loro sonni e guidati i loro corpi.
No, no; era intollerabile! Il macchinista senti un bisogno di sfogarsi, di
vendicarsi, di cacciar fuori, in qualche modo, la smania, che gli rodeva
l'anima. Si piegò verso l'altro e gli urlò:
— Di! Se facessimo succedere uno
scontro?
Il fuochista non comprese,
dapprima; ad un tratto, si fece tetro, poi scoppiò in una risata. Un'idea gli
attraversò il cervello; la esternò:
— Ma noi, noi morremo pei primi!
— Che importa? ribattè l'altro.
Purchè ci vendichiamo.
Nel cervello saturo d'alcool non
c'era più posto pel ragionamento. Il fuochista, anch'esso, aveva approvato!
Dunque? Si curvarono entrambi, anelando, verso la fornace. I volti, arrossati
dal bagliore delle fiamme, avevano un'espressione terribile d'odio. Con un
gesto concorde gettarono a palate il carbone lì dentro, furiosamente. Poi il
macchinista diede la massima pressione alle valvole.
Il treno volava, ora, sulla via
ferrata, divorando lo spazio. La macchina scricchiolava, ansava come una bestia
gigantesca, cacciava fuori globi di fumo, arroventandosi tutta. Ma i due non
badavano a nulla: immobili, rigidi, sentivano moltiplicarsi i segnali d'allarme
e la piattaforma scottare sempre più sotto i loro piedi. Inoltre, un orribile
frastuono di lamenti, di grida, veniva a ondate a percuotere le loro orecchie.
Nelle piccole stazioni il treno passava, rapido come un baleno, lasciando
stupefatti e atterriti gli impiegati ed i manovali. Qual forza umana avrebbe
potuto, ormai, salvare da una spaventosa rovina la nera fila di vagoni, ove la
morte aveva già stabilito il suo regno? Il macchinista, con la mano appoggiata
sul manubrio del freno, guardava fisso innanzi a sè, nel buio. Malgrado il
calore insopportabile, che emanava dalla macchina, egli sentiva un gran freddo
penetrargli le ossa. Volse gli occhi al compagno e lo vide bere lentamente,
tetro e raccolto. Fissò per un istante il cielo, che le nubi coprivano. Ma
allora un'immagine gli si affacciò al pensiero, dapprima indistinta, poi più
decisa, più nitida. Un soave volto di bambina, con gli occhi azzurri e i
capelli biondi e ricciuti, gli parve si chinasse verso di lui, piangendo. Una
vocina esile, affettuosa, balbettava: Papà, papà, vieni presto!
Oh, sarebbe venuto presto, suo
padre; ma, invece di trovare un corpicino pieno di vita e di amore, avrebbe
visto un informe ammasso di carne, lacerato e triturato dall'urto. Il
macchinista guardò ancora tristemente il cielo, poi diede un colpo rapido con
la mano alla valvola.
Un fischio acutissimo ruppe lo
ombre notturne; il treno rallentò la corsa furiosa, poi si arrestò in piena
campagna.
Il capo-treno, che s'era avvicinato
correndo alla locomotiva, trovò il macchinista che, accasciato sulla
piattaforma, piangeva. Quanto al fuochista, esso si teneva dritto, immobile,
con gli occhi fissi, in un'espressione d'odio, sulla fornace, che arroventava i
fianchi della macchina.
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