Quando si trovò fuori della
stazione di Termini, respirò più liberamente. Durante il viaggio aveva pensato
con gioia a quella breve corsa nel mondo; la monotonia del lavoro quotidiano
fra quattro mura sudicie, la catena dell'orario imposto alla sua indipendenza,
perfino i pochi buoni momenti passati nella tranquilla città di provincia gli
sembravano un brutto sogno, già lontano nel tempo. Adesso, si sentiva padrone
di sè e dei propri atti; poteva parlare, muoversi a seconda del capriccio senza
incorrere nei bronci del direttore e nelle occhiate torve dei colleghi. Per
pochi giorni avrebbe goduta una vita nuova, avrebbe conosciuta una città
meravigliosa, ricca d'energie e consacrata dall'Arte. Nessuno si sarebbe
accorto della sua umile posizione d'impiegato; forse, lo avrebbero preso per un
inglese.
Si avviò per via Nazionale, un
po' confuso dal frastuono insolito di carrozze e dal via vai dei passanti. Da
molti mesi non c'era più abituato: nel cantuccio del mondo, ov'era il suo
ufficio, regnavano soltanto la pace e la noia. Gli pesavano ancora addosso le
occupazioni consuete, le piccole malignità burocratiche per qualche sua lieve
infrazione all'orario, gli sbadigli nei locali polverosi, lo spreco di forze a
dividere lettere o contare pacchi. Si sentiva selvatico e stanco; ma lo
sosteneva il pensiero di quel breve bagno di vita vera, con la gioia di sapersi
libero.
Per ora, provava il bisogno di
riposarsi dal viaggio; più tardi avrebbe cominciato a visitare la Città Santa.
Scantonò per una via laterale, vide un'insegna di vinaio, entrò. Avrebbe
assaggiato il vino tradizionale, il vino dei Castelli, del quale aveva inteso
lodi da molti. Il locale era pulito, non grande nè elegante, ingombro di tavoli
massicci e di sedie. Sovr'una di queste egli si abbandonò, senza badare a chi
gli stava intorno; piegò il capo fra le mani e si raccolse un poco, a pensare.
Una voce di donna, dolce e tranquilla, lo destò dal sogno. Si volse, vide
confusamente tre signore che, sedute al suo tavolo, lo guardavano, e si
affrettò ad alzarsi, scusandosi. Ma la solita voce lo acquetò come una carezza:
— Resti, signore; non disturba.
Cos'era quel locale e come aveva
potuto prenderlo per un'osteria, poichè c'erano delle donne e per di più ben
vestite? Sedette di nuovo, un po' confuso, mormorando un «grazie». Gli sembrava
strano di trovarsi lì, in compagnia di signore. Che figura avrebbe fatto
chiedendo del vino? Altro che prenderlo per un inglese! Girò gli occhi al
tavolo e scorse tre bicchieri colmi di vino nero e, fra essi, una bottiglia col
collo a trombone. Stupì e si confuse ancora di più. Che razza di costume era
quello, che permetteva alle signore d'entrare nelle osterie e di comandare del
vino?
La voce di donna lo tolse di
nuovo dall'imbarazzo:
— Non pensi a male. È un uso
romano.
Si volse a chi veniva incontro
ai suoi dubbi; vide due occhioni chiari, una tocca sorridente e due fresche
guance a fossette. Balbettò:
— Veramente, mi meraviglia. Non
sono abituato; son forestiere.
La signora si fece seria,
distolse lo sguardo da lui e disse:
— Si vede. Qui tutti vengono a
bere il vino dei Castelli.
— Strano, strano!, mormorò lui;
in Liguria non oserebbero.
— Forse perchè non hanno
castelli, ribattè ironicamente l'altra.
E sorrise. Egli pure sorrise:
quella franchezza, quella famigliarità benevola di una donna per uno straniero
lo impressionavano, ma piacevolmente. Guardò un po' meglio le sue compagne di tavolo.
La sua interlocutrice aveva un aspetto distinto; vestiva di nero, con un
cappellino elegante color viola: poteva aver trent'anni, ma ne dimostrava meno.
Le sedevano ai fianchi una signora attempata ed una giovanetta con due occhi
scuri dolcissimi e il volto bruno, piccino.
Se avessero saputo che parlavano
con un impiegato! Ma il suo ufficio era tanto lontano! Si fece animo, attaccò
discorso. Le signore pareva lo ascoltassero con interesse. Quando si nominò, la
giovanetta ebbe una lieve esclamazione:
— Ah, il novelliere!
Allorchè furono uscite, egli
rimase ancora un poco a sognare. Gli s'era scolpita forte nella memoria
l'immagine di quei tre volti; ma sovra tutto gli suonava ancora all'orecchio
una voce dolce e tranquilla, lievemente motteggiatrice. Egli sapeva, adesso,
che la signora dagli occhi chiari era vedova e si chiamava donna Graziella
Neve: le altre due erano la zia e la cugina. Uscì anche lui; ma si sentiva già
annoiato di quella grande città. Avrebbe voluto chiudersi in una stanza silenziosa
e pensare. A che? Non sapeva bene; provava soltanto una grande smania di
solitudine. Tentennò il capo, mormorando: Grullerie! Poi s'avviò per le strade
rumorose.
*
* *
Il domani visitò San Paolo; ma
si fermò poco nella chiesa istoriata di figure di papi. Diede uno sguardo
distratto agli altari scolpiti in marmi preziosi, sorrise all'ingenuità degli
affreschi antichi, meditò un poco sui vetri spezzati, ove ancora rimanevano
frammenti di volti dipinti meravigliosamente. Poi uscì, all'aperto. Dinanzi a lui
si stendeva una quieta via di campagna, fiancheggiata d'alberi. Allungò il
passo per quella, avviandosi verso un gruppo di case, che scorgeva nel fondo. A
un tratto, sentì battere il cuore con violenza. Una signora camminava innanzi a
lui: aveva un abito nero e un cappellino color viola. Donna Graziella Neve?
Pazzie! Com'era possibile un incontro così strano in una città immensa?
Tuttavia affrettò il passo. La signora si volse a guardare i prati. Era proprio
donna Graziella! Quando le fu vicino, balbettò:
— Buona passeggiata, signora!
Essa lo guardò, sorrise:
— Oh, lei! Ed ha preferita la
campagna a Roma?
Egli rispose dolcemente:
— Presentimenti, signora! Ma non
avrei osato sperare!
Ci fu un momento di silenzio.
Donna Graziella camminava lentamente, con gli occhi volti verso le campagne
sconfinate Egli pensava all'audacia delle parole dette e si meravigliava della
passione da lui provata così rapidamente e confessata con tanta franchezza e
più ancora si stupiva di quell'intelligenza muliebre, che aveva compreso e non
s'era offesa.
Donna Graziella fu la prima a
parlare:
— Ella crede ai presentimenti? E
cosa le hanno detto? Che avrebbe trovata, oggi, per una via di campagna, una
donna intravista il giorno innanzi per la prima volta e che forse non dovrà più
incontrare nella vita? Oh! il poeta!
Egli si ribellò all'ironia; le
parole gli vennero facili alle labbra:
— Non dica male dei
presentimenti, signora. Lei stessa ne riconosce l'impero, poichè la sua
sensibilità fine di donna le ha fatto comprendere ciò, che accade nella mia
anima. Soltanto, a differenza di quasi tutte le altre, non s'è rifugiata sotto
la veste delle convenzioni e non s'è offesa della mia audacia. Sono incontri
rari nel mondo, è vero, poichè sono rare la sincerità e l'intelligenza.
— Come corre! motteggiò donna
Graziella. Altro che treno lampo!
— Perchè scherzare? Io sono un
estraneo per lei: ma lei per me è una santa. Le ho innalzato un piedestallo nel
mio pensiero, più prezioso degli altari di San Paolo. Ormai, non saprei più
vivere senza la sua immagine. Mi creda un pazzo, se vuole.
Donna Graziella lo fissò un
momento, poi sorrise:
— Se lo credessi un pazzo,
m'allontanerei. Se lo avessi creduto un insolente, non le avrei permesso di
parlare. Noi donne abbiamo un senso speciale per conoscere gli uomini: è
l'unica nostra difesa. Ieri, vedendolo, compresi che era un poeta ed un buono.
Due qualità difficili a trovarsi insieme, non è vero? E mi sono permessa di
rivolgerle la parola, appunto perchè credo nella bontà e nella poesia ed amo
conoscerle entrambe nelle rare occasioni, che mi si offrono, d'incontrarle. In
questo senso ho fede nei presentimenti.
Come suonava dolce la voce alle
orecchie di lui. Egli sognava di trovarsi in un mondo fantastico, solo con
quella donna, e si compiaceva nel miraggio della sua immaginazione
appassionata. Così, così, avrebbero dovuto vivere gli uomini, liberi dai ceppi
d'ogni convenzionalismo, sinceri e puri. Il silenzio regnò di nuovo fra i due,
un silenzio caro alle loro anime e nel quale queste si specchiavano come in un
lago tranquillo.
Infine egli si riscosse e parlò
di nuovo:
— Signora, ella ha detto che
forse non ci troveremo più nella vita. Perchè? Chi ne impedisce di procedere di
pari passo nel fiorito sentiero, che si apre agli occhi della nostra
immaginazione?
Essa ebbe una breve risata,
nella quale suonava un po' d'amarezza.
— Sogni! Sono vecchia, vede! Mia
cugina mi dà un nomignolo, mi chiama «mammina». E poi, una delle mattine
passate mi son trovato un capello bianco.
Oh, com'era menzognera la fresca
bocca, che rinnegava in tal modo la giovinezza! Come mal si addicevano quelle
parole al viso fiorente ed al chiaro sguardo! Egli volle interromperla,
mormorando:
— Come si calunnia, signora!
Ma essa continuò, senza
badargli:
— Via, che ne sa della mia vita,
lei, che mi propone di unirla alla sua? Sono una vedova; ecco quanto conosce di
me.
Si fece triste in volto e
mormorò:
— Ormai, è finito tutto per me.
Le svelerò il mio animo, appunto perchè sento che il suo è sincero e buono.
Dopo, ella pel primo comprenderà la vanità del suo sogno. Non mi giudichi
leggera e facile alla confidenza. Ho appreso dalla vita una cosa e cioè che non
bisogna dare importanza alle falsità delle relazioni sociali, nè rimpicciolire
l'intelligenza costringendola sotto piccoli gioghi e vane catene. Le parlo come
a un fratello, poichè sento che, malgrado la fresca conoscenza e l'abisso che
ci divide, apparteniamo entrambi ad un tempo, trascorso per sempre, e viviamo
una vita di sogni.
Camminavano a capo chino, lui
tremando per una rivelazione che intuiva dolorosa e crudele, lei tranquilla in
apparenza, tranne per un breve movimento delle dita, che gualcivano un
fazzoletto.
— Mi ascolti. Ella si è rivolto
a me come a una persona cara; ma io non posso intenderlo e tanto meno
comprenderlo. Il dolore mi ha consacrata alla solitudine. Sono la vedova della
morte, poichè non possiedo più l'anima. Sono morta, morta, le dico. Nessuna
forza umana potrebbe più infondermi quella passione, che l'angoscia mi ha
tolta. Sorrido appunto per coprire il vuoto, ch'è dentro di me; ma attraverso
il cristallo dell'apparenza si scorge la statua. Ho sofferto più di quanto un
essere umano possa soffrire. Adesso, non peno più, ma non posso neanche più
godere.
Il suo sguardo si manteneva
chiaro e tranquillo, quantunque le labbra le tremassero un poco. Tacque per
qualche minuto, poi ricominciò a parlare:
— Qualcuno, ch'io non voglio più
nominare, mi ha tolta ogni illusione, ogni speranza. S'ella mi toccasse una
mano, la sentirebbe fredda come il ghiaccio, insensibile come il marmo. A
volte, non sento più i battiti del mio cuore. Forse anch'esso si è
rimpicciolito, è quasi scomparso sotto l'infuriare delle amarezze. Via, via,
non sogni lei, ch'è poeta. Mi guardi, piuttosto. Ho il viso ancor giovane, ma
negli occhi non porto più nessuna luce, nessun lampo di desiderio. Sono una
tomba, le dico!
Abbassò la voce a mormorare:
— Credo anch'io ai
presentimenti; credo che se esistesse qualcuno capace di farmi rivivere, lei
appunto sarebbe quello. Vede? Le parlo freddamente, senza vergogna, perchè so
ch'è un sogno impossibile. Non aspetto più nulla dalla vita, ma cammino verso
il sentiero dell'infinito riposo, forte della verginità nuova e intangibile,
che il dolore m'ha data.
Si fermò un poco a guardare il
paesaggio, poi stese la mano al giovane, che la fissava, il viso sbiancato
dall'emozione:
— Vuol salutarmi come un'amica,
e, sovra tutto, vuol promettermi di dimenticare?
— No, no, è impossibile!, tentò
di gridare lui; ma dinanzi a quel volto impietrito, a quello sguardo chiaro e
tranquillo, le parole gli si aggrupparono in gola, gli uscirono in un
singhiozzo.
—Via, via, mormorò la donna.
Pensi a me come a un sogno, procurato dal vino dei Castelli.
Donna Graziella Neve si staccò
dal suo fianco e si allontanò a lenti passi, senza rivolgere il viso.
Ed egli rimase lì, immobile,
irrigidito dall'ansia, che gli gravava sull'anima. Gli sorse un dubbio: Oh,
quella donna s'inganna sovra sè stessa! Ma pensò alla propria posizione,
all'impossibilità di vincere i gravi ostacoli materiali e di avvicinare più a
lungo la magnifica statua. E pianse.
*
* *
Due ore dopo egli si trovava
rincantucciato nell'angolo di un vagone, che lo riconduceva innanzi tempo e
volontariamente al martirio della vita monotona provinciale e del lavoro
d'ufficio.
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