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Pierangelo Baratono Ombre di Lanterna IntraText CT - Lettura del testo |
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Adolescenza turbata
S'avviò per i campi, di buon'ora, cantando con la sua fresca voce di giovane. Portava un fascio di fiori tra le mani e di tempo in tempo vi tuffava entro il viso, interrompendo il canto e aspirando il profumo con viva gioia. L'avrebbe trovata laggiù, al solito posto, in riva al torrente, e le avrebbe offerto quei fiori con un gesto semplice, così, senza parlare. Ed essa li avrebbe presi, ridendo, e fors'anche si sarebbe lasciata baciare, come accadeva talvolta. Tutti i giorni la trovava, seduta, assorta nella contemplazione delle acque rumorose e torbide. Chi sa di dove venivano quelle acque, gonfie e coperte di schiuma: forse da una roccia lontana, spersa nei monti, che si vedevano laggiù, enormi e maestosi. Ma lei, lei, di dove veniva? Chi era? Perchè non gli aveva mai voluto parlare di sè e della famiglia? Si erano incontrati per caso, correndo attraverso i campi. Anch'essa correva, con i capelli sciolti e il corpo magro di adolescente coperto appena da una tunica estiva. Tanto svolazzante quella tunica, che a volte lasciava intravedere le gambe fini e nervose e le snelle ginocchia! Si erano subito compresi. Lei poteva avere, al più, quindici anni; lui ne aveva diciotto. Ma com'era più svelta, essa, e più furba! A volte aveva malizie di donna, che meravigliavano, a volte precocità, che spaventavano. Lui, invece, col suo volto serio di misantropo testardo, con i lunghi capelli arruffati e gli occhi profondi, pieni di sogni, vicino alla fanciulla sembrava il fratello minore. Eppure era forte e intelligente. Spesso tentava di scuotere la superiorità dì quella creaturina, ch'egli avrebbe potuto con una mano sola domare. Ma essa gli sfuggiva, con una risata, con un trillo, con un motteggio. E lo vinceva alla corsa e lo stancava nel dialogo e lo stordiva con moine e gesti incoscienti di donna. La fata del torrente, egli la chiamava. E tale sembrava davvero, con i capelli fulvi, sempre sciolti lungo le spalle, gli occhi di un azzurro cupo come le acque del torrente e il corpo magro e irrequieto. Soltanto, era una fata cattiva: aveva nella bocca qualcosa di sarcastico, nel mento ben pronunciato un non so che di imperioso. Ma che importava? Purchè fosse buona con lui, o anche cattiva, ma di una cattiveria amichevole, concludente ad un bacio. Laggiù, sotto gli alberi pensosi, su quel ciglione spezzato e contorto dalla forza della corrente, egli l'avrebbe raggiunta, tra poco; forse l'avrebbe sorpresa, come faceva spesso, con una carezza sulle chiome ribelli. E Fatina si sarebbe rovesciata indietro, guardandolo di sotto in su con una lunga occhiata maliziosa e mostrando nella risata i fitti bianchi dentini. Bambina ancora? Sì, certo. Ma perchè non parlava mai dei parenti? Fra poco glielo avrebbe chiesto; voleva mostrare, una buona volta, la sua volontà di uomo. Non le aveva raccontata la propria vita in casa dei genitori, contadini arricchiti e orgogliosi di avere un figlio istruito e... poeta? Poeta! Con quale risata la ragazza aveva accolta quella professione di fede! Ed aveva voluto dei versi per lei, molti versi, e li aveva ascoltati sorridendo. Ma poi, si era fatta pensierosa. Un giorno, udendolo declamare, aveva cominciato a piangere, dolcemente, piegando la testolina sul petto di lui, afferrandosi forte forte alle sue braccia. E lo aveva lasciato ad un tratto, senza parlare, in una corsa folle a traverso i campi. Il domani, lo coprì di dileggi per quella poesia. «Ma ti ha fatta piangere!», le aveva detto lui, stizzito. «No, no; ti sei ingannato: ridevo.» «Perchè sei fuggita, allora?» «Così!»
* * *
Ecco il gruppo di alberi. Essa è là sotto, seduta come al solito, con le gambette nervose, spenzolanti sulla furia dell'acque e con le spalle coperte dai fulvi capelli. — Fatina!, egli chiama piano, felice, dimentico dei suoi propositi di energia, dimentico persino dei fiori, che porta fra le mani e che voleva offrirle. Essa dà un guizzo e volge il capo: ma ha gli occhi rossi e il viso pallido, come di cera. — Perchè? Perchè?, le chiede, sedendo al suo fianco. Ti han fatta piangere, in casa? — No, no. E non vuol dire altro e scuote la testa in un breve gesto di bizza. Com'è bella in questo momento! Egli la vede con occhio d'uomo, adesso; ma non osa dirle nulla. Fra due o tre anni le parlerà. Ma ora! E ancor tanto bambina! La spaventerebbe e non si farebbe comprendere. Ma un pensiero lo turba: se fosse molto ricca, se i suoi parenti non volessero darla a un figlio di contadini? Bisognava decidersi a parlare, una volta per sempre. — Dì, mormora lui. — Che vuoi? Lasciami tranquilla. Non ho voglia di discorrere. E piega di nuovo il capo, a fissare il torrente che si perde giù, in lontananza. — Fatina!, tenta di nuovo lui, imbronciato. La fanciulla lo guarda e sorride un poco, come trasognata. Poi balbetta: — Sei brutto, così. Non voglio. Ridi, piuttosto. La mano di lei si posa su quella testa bruna a carezzare i capelli. Ed egli si rasserena subito al lieve tocco e le si stringe vicino. — Non hai paura di cadere?, chiede sommesso. — Oh, no! Mi piace tanto! Chi sa che impressione, un tuffo, lì dentro. — Non lo dire, nemmeno per burla. Le due teste si toccano, si appoggiano fiduciose l'una all'altra. I capelli neri del giovane si mischiano con quelli fulvi di lei. È tanto bello stare così, sentendo il calore delle guance trasfondersi dall'uno all'altro! — Sai?, mormora Fatina ad un tratto. Forse è l'ultimo giorno, che passiamo insieme, questo! Nella sua voce suona un singhiozzo, sugli occhi spunta una lagrima, ch'essa si affretta ad asciugare col rovescio della mano. Ma lui non piange. Si drizza, di colpo, in piedi e la fissa: nei suoi occhi c'è qualcosa di violento e maschio, che fa paura. Fatina, anch'essa, si alza e si appoggia a una spalla del giovane. — Non ti arrabbiare. Un giorno o l'altro, doveva succedere. Me ne vado, vo a vivere in una città grande. — Chi ti obbliga? Non sei felice, qui? Che ti manca? Forse non vuoi più saperne della mia compagnia? — No, no; non è questo. Bisogna che parta con la mamma. Anche a me rincresce molto, ti giuro. Chi sa? Ci potremo rivedere fra qualche tempo! — No, non voglio. Chi è la tua mamma, che ti ruba a me? Perchè ti sacrifica? — Sciocchino! Chi ti dice che si tratti di un sacrificio per me? Tu non sei mai stato laggiù, in città. Non sai quante feste, quanti balli si danno? E poi, ci sono i teatri e le passeggiate e i bei giovanotti, che adocchiano. Oh, quale lampo di gelosia selvaggia passa negli occhi dell'adolescente robusto! Anche Fatina ne è spaventata e abbassa ì suoi, mormorando: — Scherzavo, credi! Volevo sentire che avresti detto. — No, non scherzavi! L'hai dichiarato con troppa franchezza! Dunque, io sono un bamboccio qualsiasi, che si rinnega quando ne capitano altri migliori? — Ti giuro! — Non giurare. Ascoltami, piuttosto: ora, debbo dirti ogni cosa. Non mi comprenderai, forse. Sei ancora tanto bambina! Ma ho bisogno di sfogarmi, di aprire il mio cuore. Vedi: ti amavo come amica. Adesso, ti amo come donna. Vorrei coprirti di baci e magari batterti, capisci? Sei nel mio sangue, adesso! Non te ne andrai. Parlerò io a tua madre, le dirò come stanno le cose, le dirò che voglio sposarti, che ti considero già come mia, per sempre. Nessuno deve toccarti più, ora: sei la mia fidanzata. La fanciulla aveva ascoltata quella confessione violenta, fissando i suoi occhioni spauriti in viso al compagno. Nei lineamenti fini la sorpresa era afforzata da un'espressione d'ansia indicibile. All'ultima frase, tutto il volto le si sconvolse. Afferrò con le dita nervose un braccio del giovane, urlandogli in faccia: — Non dir più nulla, non parlare più. È orribile, è orribile! L'altro rimase un po' sospeso; poi, fattosi più irruento, senza badarle continuò: — Perchè non devo più parlare? C'è qualcosa di male, forse? Sarai mia moglie. Sei troppo signora, dì? Che importa? Lavorerò, mi farò un nome per te, per offrirtelo. Essa, ora, singhiozzava disperatamente, col corpo scosso da brividi. Il giovane la guardò ancora, intensamente; poi le prese il viso fra le mani, vi avvicinò le labbra e lo baciò pazzamente, con furia, bevendo le lagrime, lasciando impresso il segno della sua bocca su quelle fresche carni. — Lasciami! Lasciami! Non sono degna! Sono contaminata! Lui diede in un urlo, le fu sopra, stringendola con le mani robuste. — Ripeti! Che hai detto? Ma essa taceva, col viso chino e le labbra sbiancate. I suoi capelli le formavano un casco rilucente intorno alla fronte. Il giovane scoppiò in una risata: — Pazzerella! Sei una vera bambina! Ma quella lo fissò un istante; poi, volgendo lo sguardo al torrente, singhiozzò: — Sono contaminata, ti dico! Mi hanno venduta a un uomo, molto tempo fa! Una bestemmia la interruppe. Per un momento passò una smania di sangue nel cervello del giovane. — Ah! Per questo non parlavi di... — Bada! È mia madre! Si piegò sul terreno, accasciata. Il silenzio pesò per qualche minuto sulle due adolescenze. La visione di una vita, che non conosceva, e la tortura del sogno spezzato opprimevano il giovane e gli davan la febbre. Fu lui il primo a parlare: — Mi ami?, chiese. — Sì, tanto!, rispose lei rapida; ma è un sacrilegio! — Questa sera non tornerai a casa, non tornerai a casa mai più. — Che dici? — Sì. Le acque purificano tutto. Ci sposeremo nel torrente; vuoi? Essa lo guardava, stupita. Un'espressione di terrore alterò i suoi lineamenti. Ripetè balbettando: — Che dici? — Saremo gli sposi del torrente. Vieni. Le strinse con un braccio i fianchi. Ma essa si divincolò, con gli occhi smarriti, urlando: — No, no, ho paura! Voglio vivere! Amo tanto la vita! La stretta di quel braccio si rallentò. Una pietà sprezzante, poi un odio selvaggio, poi la disperazione si dipinsero sul volto del giovane. Volse un ultimo sguardo alla fanciulla, abbattuta sul suolo: poi si allontanò rapidamente, con le mani contratte fra i capelli e la bocca straziata da un grido di angoscia. La sera sorprese Fatina ancora accasciata sulla ripa, accanto al torrente torbido e impetuoso. Il singhiozzo, che veniva di tempo in tempo a scuoterle il petto, e un movimento incosciente e convulso delle mani rivelavano, soli, in quella creatura la vita. I lunghi capelli sparpagliati sul terreno, diffusi intorno al pallido viso, parevano una gran pioggia di pianto. |
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