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Pierangelo Baratono Ombre di Lanterna IntraText CT - Lettura del testo |
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Sala d'aspetto
Una stazione di provincia. La sala d'aspetto s'affonda nella semi-oscurità, a mala pena rotta da una tremula fiamma di gas. I viaggiatori sono pochi, quattro in tutto, tre operai, aggruppati insieme sopra un divano, e un vecchio signore, che sonnecchia in un angolo invaso dalle tenebre. I tre operai discorrono sottovoce, ascoltando il tic-tac monotono di un orologio a pendolo. Del vecchio, nell'ombra, si scorge soltanto la bianchezza del cranio calvo e il brillare furtivo di una grossa catena d'oro, passata a traverso il panciotto. Di tempo in tempo si odono suonare dal di fuori, a traverso la vetrata sporca di fumo, brevi ordini e chiamate imperiose; un campanello telegrafico fa udire il suo tintinnio, poi tutto ricade nel silenzio. Ecco; il guarda-sala ha cominciato a passeggiare in su e in giù per la corsia. La porta chiusa si apre violentemente; un'occhiata interrogativa, una domanda: Per Milano, signori? — poi la porta si chiude di nuovo. I tre, un momento interrotti nel loro chiacchierio sommesso, riprendono il discorso. — C'è una gran febbre, a Milano. Mi hanno scritto che qualcuno si prepara. I timorosi cominciano a scuotersi, a radunarsi. Qualcosa succederà. — Basta, basta. Son chiacchiere. M'importa assai! Faremo di più con l'appoggio dei signori, che con quello dei guasta-mestieri. — Si, i signori! Attenditi qualcosa! E poi, anche se concedono, dan tutto per commiserazione. Conquistare, bisogna; non aspettare. — E tu conquista, se ci riesci e se lo fucilate e le carceri ti risparmiano. Che vuoi fare? C'è una muraglia, innanzi a noi: i soldati. Son come noi, ma hanno la disciplina. Non si scherza sotto l'uniforme: o fucilare o essere fucilati. — Già, e i signori ti danno la fame, per regalo. O morire, dico io, o vincere. Che importa? Dopo le barricate c'è la liberazione, in un modo o in un altro. Purchè si ottenga lo scopo, che importa il modo? — Siete due bruti, tu con i tuoi signori e tu con le barricate. Appoggiamoci ai preti, invece. Sanno il da farsi, son furbi. — Ohè, scherzi? Brutto chierico da sacrestia, vorresti leccare gli stivali a chi ti mangia la paga e ti gode la moglie? Ohibò! ohibò! La moglie e la paga le tengo per me. — Sciocchezze! Han fatto molto per noi, han fondato case, ospizi, ricoveri, officine. Che volete di più? Sono i soli che si occupino di noi. Il vecchio signore lasciò udire un sordo gemito. Forse sognava. I tre lo guardarono nell'ombra, poi si fissarono: —Dorme, lui! Se ne infischia. Avrà il portafogli pieno e la pancia anche, una bella pancia bianca e grassa da milionario. Guarda come gli splende la catena sul panciotto. È d'oro vero! Chi sa quanto potrà valere! — E i diamanti degli anelli, li hai visti? Mi è passato innanzi poco fa. Gli ho guardato le mani: luccicavano come stelle. Che bellezza! È un vero signore. — Dev'essere un conte di qui, dei dintorni. In paese lo chiamano sprecone, perchè ha la mania dei gioielli. Ne porterà addosso per chi sa quanto! Ma è anche religioso. — Che importa? Peggio ancora. Ricco e religioso! Puah! Proverei più gusto a bucargli la pancia, così, per passare il tempo. —Eh! Eh! E anche per pigliarti i quattrini e i gioielli. — No. Ladro, no. Non mi piacerebbe. Averlo dinanzi, in un giorno di battaglia. Quello sì. — Ma scapperebbe, lui! — Bravo! Ed io lo rincorrerei e lo sorprenderei in qualche fetido nascondiglio della sua casa e lì, a quattr'occhi, come buoni camerati, gli proporrei di contargli i visceri uno per uno. — Zitti! potrebbe ascoltarci! — Va là, ipocrita da bottega! Anche tu godresti a vederci un po' più chiaro in quel ventre di rospo. — Perchè no? Del resto, io non sono sanguinario. Gli chiederei semplicemente un sussidio per i poveri. — E lo lascieresti vivere? E la denunzia? — Sei matto! Gli legherei gentilmente un nastro intorno al collo, così, per farlo più bello, come un can barbone. Poi, farei da medico e gli imporrei di mostrarmi la lingua, a forza di stringere il nastro. — Siete due canaglie. Questo è il vostro rispetto pei signori e per la chiesa? Io, almeno, vo dritto alla mèta. Lo dichiaro, non ricchi, non preti. Ma non mi immischio di altro. Del resto, vedo che voi altri paghereste non so che ad arricchire e a diventare potenti. Per me, vorrei vivere, semplicemente, e un po' meno da bestia. — Sei uno sciocco. Chi non vorrebbe diventar ricco, potendo? — Pensare che vicino a noi dorme una fortuna par tutti e tre. Il treno fra un quarto d'ora sarà qui; quel vecchio dorme della grossa. Il guarda-sala non l'ha neanche scorto. Una strizzatina a quel collo; poi ci si mette in viaggio, carichi di denaro, e si passa la frontiera. Una bella occasione. — Scherzi? — No, parlo seriamente. Senti, camerata, non dir più stupidaggini; con le tue smargiassate da uomo dei tempi futuri faresti scappare la pazienza ad un santo. Qui si tratta di vincere una volta per sempre. Che t'importa di una vita umana? Non saresti disposto a massacrare i tuoi fratelli per quel tuo ideale? Dunque? L'uomo morto, fuggiamo. Nessuno potrà scoprirci, nessuno ci vedrà più. Si tratta di un momento. — No, no. Mi ripugna. È un vecchio. Avrà famiglia. — Boum! Ci pensano molto, alla famiglia, quei là. E poi! È una vendetta. A te piaccion tanto le vendette. Ecco l'occasione. — Non queste. La vendetta la comprendo faccia a faccia, il coltello alla mano. — Si? E le tue barricate? E il massacro di due gruppi compatti, l'uno formato da operai in camiciotto, l'altro da operai in uniforme? — E poi, pensa che qui si tratta di aiutare la nostra impresa. Con i denari del vecchio potremo far molto. Io ne darò ai poveri, Pietro alla chiesa, tu alle società operaie. Così li purificheremo. — Scherzate! È mostruoso! Non posso, non posso. — Affratelliamoci. Il tempo passa e l'occasione, una volta scomparsa, non si ritrova più. Vuoi esser con noi? — No, no. — E allora, promettici la neutralità. — Già. Ma la pelle la arrischiamo tutti e tre, anche se voi due soli compirete il delitto. — Allora vattene, esci, va in stazione a far due passi. Così distrarrai anche l'attenzione del guarda-sala. — Pensateci ancora. — Siamo decisi. Dunque? — Andrò via, in stazione. Siete due vigliacchi, però. Aprì la porta, la sbattè dietro le spalle. Il vecchio ebbe una breve scossa, poi si riaddormentò. — Imbecille!, mormorò uno dei due rimasti. Entrambi si avvicinarono cautamente, lungo i divani, al dormiente, s'immersero anch'essi nell'ombra. Uno spettatore invisibile li avrebbe scorti, fermi innanzi al vecchio, gli occhi fissi su di lui, a guardare quel capo addormentato con un feroce sogghigno. Nell'ombra i due corpi si curvarono; qualcosa luccicò un istante, suonò un gemito. I due si rialzarono, un po' sudati, cogli occhi bianchi. Poi successe una rabbia di conquista: tutte le tasche del morto vennero frugate, gli anelli strappati a forza dalle dita, con gesti prudenti, per non far rumore e per non macchiarsi di sangue. S'udì, lontano, un fischio di treno. S'avvicinò un rumore, prima sordo, poi più spiccato, di macchinario in moto. I fischi della vaporiera raddoppiarono, il convoglio entrò in stazione fra strepito di ferramenti e sbuffi ampi di fumo. I due, d'un balzo, furono alla porta coi loro fardelli, l'aprirono, passarono innanzi al guarda-sala. Il compagno li raggiunse. Cercò di parlare, non potè. Poi si ficcarono tutti in un vagone. Il guarda-sala diede uno sguardo distratto per la sala d'aspetto, non vide nulla e si ritirò. Il treno ripartì con fragore, si allontanò per la campagna. Nella sala d'aspetto il cadavere del vecchio, rovesciato sopra un fianco, si scorgeva a malapena nell'ombra col gran cranio calvo e con la bianchezza dei denti lasciati allo scoperto da un'orribile smorfia della bocca. Più non si udiva nel silenzio notturno se non il lento e ritmico gocciare del sangue sul pavimento. |
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