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Pierangelo Baratono
Ombre di Lanterna

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  • Bob
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Bob

 

Quella mattina mi svegliò, come al solito, la voce untuosa della mia padrona di casa, una grassa vedova che mi forniva alloggio, vitto e petrolio e mi avrebbe concesse le sue grazie, s'io mi fossi sentito disposto ad accettarle. Mi porse con la consueta gentilezza un certo numero di lettere e giornali, accompagnando l'atto con un sospiro e uno sguardo, che sarebbe sembrato tenero, se non fosse partito da due occhi un po' strabici, sepolti fra quattro cuscinetti di carne, che volevan rappresentare le palpebre. Mentr'io sfogliavo la corrispondenza, la buona signora muoveva il voluminoso corpo per la stanza, cercando, ahimè invano!, di mettere a posto qualche gingillo, che non ne aveva bisogno e di richiamare la mia attenzione, con una tosserella secca e suggestiva, sulle pene del suo vedovo cuore. A un tratto, diedi un grido e mi precipitai fuor del letto, mostrando alla luce del sole le mie lunghe e pelose gambe di ragno.

— Gesummaria!, gemette la padrona di casa; e si slanciò fuor della camera con una agilità, che non lo avrei supposta, coprendosi gli occhi terrorizzati con un gesto di pudica vestale.

La cagione dell'incidente era stata una breve lettera dell'amico Bob, così concepita:

 

Carissimo,

 

sono in viaggio per l'altro mondo. A mezzanotte prenderò il biglietto, il primo e l'ultimo che non mi costerà un soldo. Consolati e non maledirmi, poichè ti ho nominato mio legatario universale.

Bob

 

Possibile? Il mio povero amico era già morto da parecchie ore, ed io stavo lì, a poltrire nel letto? E mentre Bob mi nominava suo erede, io sognavo tranquillamente la modista, mia amabile vicina di casa? Mi affrettai a vestirmi, stracciando gli occhielli della camicia, bestemmiando contro le maniche della giacca, che non volevano presentarsi pel giusto verso alle mie braccia, e rovinando un magnifico cappello nuovo che, mentre era in diritto di ripromettersi le delicate attenzioni della spazzola, ricevette all'improvviso un formidabile pugno con suo grave danno e con indiscutibile vantaggio del cappellaio.

Infine, mi trovai per la strada, col panciotto sbottonato e il soprabito penzolante a metà da una spalla. Mentr'io correvo come un pazzo, venni fermato di colpo dalla mano vigorosa di un amico.

— Scusa, puoi farmi un piacere?

— Vai al diavolo!, gli urlai; e ripresi la mia corsa, non senza aver lasciato, fra le sue dita, un bottone e un lembo della giacca a perenne testimonianza del nostro incontro.

Una buccia di limone, messa lì dalla provvidenza, mi arrestò ancora, obbligandomi a fare una stretta conoscenza col selciato e ad aggiungere una caratteristica macchia giallognola al fondo nero e troppo monotono dei calzoni. Finalmente, come il diavolo volle, pervenni al pianerottolo dell'amico, suonai furiosamente il campanello, traversai l'anticamera, facendo ruzzolare per terra un servitore ed alzare forti grida di spavento alla cuoca, che con una presenza ammirevole di spirito cominciò a sbraitare: Al fuoco! Al fuoco! e penetrai come una bomba nella camera di Bob. E lì, chi vedo? L' amico, che, placido e sorridente, sdraiato sovra una poltrona, fumava beatamente una sigaretta.

— Che vuol dir ciò? Ti burli del mondo?

— Già, dici bene: l'eredità, che ti spettava. Ma abbi pazienza. Partita rimessa non è perduta. Per ora, rimango fra voi. Più tardi vedrò se sarà il caso di lasciarvi.

— Ma il tuo biglietto?

— Siediti e ascoltami. Iersera, rincasando, ero proprio deciso a finirla. Tu mi conosci da un pezzo e sai il genere di vita e di idee, che ho adottato. Orbene, io, l'uomo più sicuro di sè e degli altri, che esista al mondo, ho ricevuto, appunto ieri, il primo affronto dalla fortuna. Perciò, volevo uccidermi. Non si deve sopravvivere ad una sconfitta. E la mia era una sconfitta solenne. Ti sorprendi? Sai che, fin da ragazzo, ho adottato un sistema di ragionamento del tutto contrario a quello degli altri. Mentre il genere umano va in cerca avidamente di illusioni e, appena se n'è creata una, vi lavora sopra con la fantasia e le si affeziona, nè la lascia, se non quando una forza superiore lo costringa a farlo; io, povero campione di un donchisciottismo al rovescio, mi sforzo di distruggere, man mano che mi si presentano, tutti gli ideali, le illusioni e le vane apparenze, che mi circondano. In tal modo, son riuscito a costruirmi un campo mio d'idee, un giudizio della vita, che si avvicina alla realtà sin quasi a toccarla.

Sulle panche del collegio m'ero già persuaso, benchè ancor giovinetto inesperto, che lo studio è una specie di marionetta, i cui fili sono tirati da qualche povero diavolo, che ha bisogno dello stipendio di professore per vivere, a istigazione di un certo numero di persone, tra le quali si divide e si avvicenda il potere e il favore popolare, e che appunto per questo hanno bisogno di proseliti forniti di cognizioni sufficienti per eseguire i loro ordini. Più innanzi con l'età, mi accorsi che la poesia è un abbaiare di cani alla luna, che l'amicizia è un mutuo contratto e che il miglior amico è quello, che ti prende o i denari o la moglie o la riputazione. Escludo i presenti, naturalmente. In una parola, ho data una caccia spietata alle illusioni e mi sono costituito il disilluso per eccellenza.

L'amico Bob tacque per un istante e mi guardò con una cert'aria soddisfatta, che mi dimostrava come non fosse completamente spenta in lui l'illusione dell'amor proprio. Poi, continuò a parlare:

— Messo da parte ogni falso concetto e riconosciuto che l'uomo è semplicemente una bestia interessata, cosa che lo distingue dalle altre bestie più dello sviluppo del cranio e del non possedere piume sul corpo, mi restava da studiare la donna. Il problema era, non dico più complicato, ma più difficile a risolversi, poichè interessa uno dei nostri più forti istinti, quello, che i poeti chiamano amore e che io direi maggio perpetuo, se il mio rispetto per gli asini non me lo impedisse. Però, a forza di pazienza e di cure, son riuscito a comprendere che Romeo e Giulietta, Paolo e Virginia, Eloisa e Abelardo sono satire abilmente mascherate dalla fantasia degli scrittori.

Tacque ancora, tirò una lunga boccata di fumo, sbadigliò, poi riprese:

— Dunque, fino a ieri io mi trovavo perfettamente tranquillo di coscienza e convintissimo che il genere umano mi si fosse rivelato sotto il suo vero aspetto. Nessuna eccezione aveva offeso il mio metodo, turbando la serenità della mia mente. Avevo fatto crollare l'edificio, laboriosamente innalzato dalla stoltezza e dalla furberia, e potevo bearmi in pace lo spettacolo delle sue rovine. Ma, ahimè, una catastrofe improvvisa mi ha colpito, mostrandomi che una illusione aveva ancora il diritto di esistere, ed appunto l'illusione dell'amore. Comprenderai com'io non potessi sopravvivere allo sfasciarsi delle mie idee. Come! Avevo vissuto trentacinque anni nella piena fiducia di me stesso e ad un tratto dovevo rinnegare il mio giudizio, la testimonianza dei miei sensi, il metodo, infine, che mi ero formato con tanta cura? No, no; era meglio finirla e morire con la disillusione d'essermi disilluso invano!

— Ma tu non mi hai spiegato ancora il genere della catastrofe!

— Hai ragione. Sono sempre sotto l'incubo della sciagura, evitata per un miracolo; perciò non riesco a raccogliere ancora i pensieri. Sai che facevo una corte assidua alla moglie di Carlo; anzi, per dirtela in confidenza, ero già molto innanzi nelle sue buone grazie, mercè il mio metodo eccellente di attacco. Dunque, per farla breve, avevo già toccati abbastanza i tasti del suo amor proprio e della sua curiosità, che sono le eterne porte di ogni cuore femminile; ero riuscito, per loro mezzo, a suscitare un po' di gelosia e di interesse in quella donna e mi preparavo a dare l'assalto definitivo, godendo anticipatamente della vittoria. Appunto ieri, nel pomeriggio, mi recai a visitarla, deciso a spiegare le batterie della mia eloquenza. Il risultato superò ogni mia previsione. Quella donna, con le fiamme della passione negli occhi, venne incontro ai miei desideri. Soltanto, mentr'io credevo d'esser sul punto di cogliere il frutto delle mie fatiche, la vidi drizzarsi, fiera come un'amazzone, e la udii fulminarmi con queste parole: «No, Bob, io non sarò vostra, non potrò esser vostra che ad una condizione. Non voglio portare nella casa di mio marito un affetto contaminato. Perciò, se mi volete, dovete preparare ogni cosa per la nostra morte. Io verrò a trovarvi domani sera; avremo tutta la notte dinanzi a noi. Ma un braciere, in un angolo della vostra camera, procurerà la morte ad entrambi. A questa sola condizione io accetto il vostro amore.» La proposta mi sbalordì. Dunque, pensai, esiste veramente l'amore! Questa donna, che ho disconosciuta e calunniata, mi ama ed è pronta a morire per me e con me! Il crollo delle mie disillusioni mi colpì più del suo macabro progetto. Uscii da quella stanza barcollando, risoluto a porre un termine alla mia sola vita, risparmiando quella di una creatura, che mi aveva mostrato erroneo tutto il mio sistema.

— Ebbene?, chiesi, vedendo che il viso di Bob si rannuvolava.

Ma l'amico diede in uno scoppio improvviso d'ilarità e, gratificandomi di un'occhiata pietosa, si affrettò a terminare il suo racconto:

— Ebbene, nella sera scrissi un biglietto per te, poi uscii per impostarlo. Per la strada chi trovo? Carlo, il marito. Mi si avvicina, mi stringe la mano, mi chiede la causa del mio pallore. Ti confesso che mi sentivo intenerito. Quel brav'uomo si mostrava affettuoso con me, mentre la moglie stava per concedermi il suo amore e la sua vita. Lo rassicurai sulla mia salute e cercai di liberarmi di lui. Ma quello, standomi attaccato al soprabito, cominciò a parlare del più e del meno, finchè cadde col discorso sulla moglie. «Vedi, mi disse ridendo; quella lì è una delle più strane creature, che mi conosca. Ha avuto il coraggio, oggi, di propormi nientemeno che un suicidio simulato.» «Un suicidio?» chiesi, interessato dalle sue parole. «Sì, e perchè? Perchè l'eroe e l'eroina di un romanzo, che sta scrivendo, devono morire asfissiati in un albergo ed essa ha bisogno di studiare dal vero l'effetto della sua scena.» M'arretrai inorridito. «Dunque, tua moglie?», balbettai. «È una romanziera, ma si firma con uno pseudonimo. Non lo sapevi?». Ed ecco perchè non mi sono ucciso.

Diedi in una risata. Inutile dire che l'amico Bob è ancora vivo e più disilluso di prima.




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