III
ALLOCUZIONE
Nei funerali del pittore Andrea Appiani
celebrati nella chiesa della Passione il giorno 10 di novembre 1817
Questo cadavere
intorno a cui ci raduna l'onor nazionale e l'entusiasmo dell'ammirazione,
questo cadavere era Andrea Appiani pittore. Giá da quattro anni un fiero colpo
d'apoplessia lo aveva rapito alle arti ed all'incremento della gloria italiana;
ma egli vivea pur tuttavia. E la sua vita, quantunque infelice, era nondimeno
un carissimo conforto alla famiglia, una speranza pe' suoi amici. Un secondo
insulto dell'apoplessia ruppe tutte le nostre speranze, ed egli non è piú. La
chiarezza dell'ingegno, la dolcezza de' modi, le virtú famigliari e cittadine,
l'arte squisita, tutto insomma che piú fa illustre su questa terra, tutto
perdemmo in lui; e di lui non ci resta che questo cadavere e la gloria del
nome. La natura avea versato in lui tutti quei doni de' quali era stata giá
prodiga tanto verso Raffaello. Ella avea voluto che Appiani ne fosse l'emulo; e
Appiani obbedí. L'alacritá con cui egli si diede agli studi piú profondi
dell'arte, l'amore infinito, ardentissimo del bello a cui educò la propria
anima, il sentimento della delicatezza ch'egli si procacciò col culto delle
maniere piú gentili, svilupparono ed accrebbero i doni della natura. I tempi
favorivano l'ingegno. Ed Appiani può dirsi per eccellenza il pittore del
secolo.
Ogni lode
verrebbe meno a voler dire delle maravigliose opere di lui. Ciascuno di noi
sente nel fondo dell'anima ciò ch'egli fu, e la tristezza cambia l'inno di lode
in un pianto. Ma questo pianto che accompagna la sepoltura dell'uomo grande,
questo pianto che fa onore a chi lo versa, chi sa quando avrá fine? chi sa
quando vedremo sorgere un artista a riparare il danno che la morte fece ora
alla pittura? Ben è vero che di molte speranze abbonda la patria; ma avremo noi
un altro Appiani?
Ogni lusinga
futura non basta a scemare l'amarezza del presente dolore. Troppo abbiamo
perduto, troppo! E per poter qui sostituire lunghe parole alle lagrime,
bisognerebbe non essere italiani, non sentire profondamente la nostra sventura.
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