V
Scortesie maschili al teatro della
Scala
Abbiamo ricevuta
la lettera seguente, alla quale l'urbanitá vorrebbe che si facesse una
risposta.
Signor Conciliatore,
- Sono un viaggiatore, e corro l'Europa con intenzione di scrivere il mio
viaggio. Ma questo debb'essere un libro d'una natura tutta nuova. Non parlerò
che di costumi, scegliendo i meno osservati prima d'ora, in apparenza i meno
importanti. Né tanto noterò i costumi quanto le ragioni di essi, investigandole
con accuratezza.
Per lo piú i
viaggiatori prima di visitare un popolo si formano di esso un'idea, e se la
mettono a cavallo dell'intelletto. Poi corrono le poste e, come a traverso d'un
par d'occhiali verdi, mirano ogni cosa a traverso di quella loro idea; e senza
por mente a' fatti che talvolta congiurano a smentirla, se la riportano vergine
a casa.
Alcuni anni
fa un amico mio parti di Parigi per visitare la Spagna. S'era fitto in mente
che in Ispagna i mariti fossero tutti Otelli. Era giovine, bello, gentile, tale
insomma da esser l'odio d'ogni sposo. A Madrid, a Cadice, a Valladolid e da per
tutto ebbe accoglienze ed ospitalitá dalle donne; e da per tutto colla propria hermosura
sconfisse hidalgamente l'altrui castitad, e non incontrò mai né
veleni né coltelli né spade né visi arcigni. Tornò a Parigi, e scrisse e stampò
che in Ispagna la gelosia de' mariti è feroce e sempre in agguato.
Non farò cosí
io. Tornato in Francia, io, per esempio, non dirò che in Italia sieno
frequentissimi gli assassinii e tenuissimo l'orrore che vi destano; perché, ad
onta ch'io pur lo credessi un tempo, ho veduto che ciò non è vero. A me piace
esaminare, interrogare e ripeter l'esame; e non iscrivo sillaba se prima non ho
soddisfatta per ogni verso la coscienza mia.
Ora questi
miei scrupoli m'obbligano a ricorrere al Conciliatore per la spiegazione
d'un fenomeno, cercata da me invano ad altre persone. È un'inezia; eppure non
v'è uomo qui che si compiaccia di ragguagliarmene, e tutti, né so perché, me ne
fanno un mistero.
Fui al teatro
della Scala la prima sera d'uno spettacolo. La folla era immensa, e frammezzo
alla folla ondeggiava tratto tratto qualche bella piuma, qualche bel fiore.
Erano cittadine gentili che venivano a rallegrare della loro presenza la
mascolina monotonia della platea. Pareva che dolcemente s'industriassero di
spingersi innanzi; ma nessuno degli uomini, fra cui elle venivano, secondava
quell'industria col ceder loro il passo. Ciascuno stava fermo sulla sua base,
salvo che urtato riurtava. Arrossivano le poverette; e raccomandata la destra
al braccio de' loro serventi, si lasciavano trascinare oltre. Giunte alle
sedie, le vedevano occupate tutte. Gli uomini sedenti si rivolgevano a fissar
gli occhi in volto a quelle gentili ed a squadrarle da capo a piedi senza
misericordia. Ma nessuno si alzava ad offrir loro la propria scranna. Di fila
in fila scorreva l'occhio de' serventi in traccia (credeva io) d'un asilo, e
non v'era modo di rinvenirlo. A destra, a sinistra, a capo d'ogni fila le
poverette ristavansi, implorando (credeva io) un riposo. Ma nessuno, nessuno
de' sedenti si alzava per offrire ad esse la propria scranna. Lo spettacolo era
giá incominciato, e nella platea del teatro di Milano v'erano donne in piedi ed
uomini sdraiati su' canapé. Non seppi piú che mi pensare. Aspettai un'altra
sera in cui vi avesse gran concorso al teatro: vidi lo stesso fenomeno. E lo
rividi senza mutamento alcuno per ben sette sere. - So per cento altre prove -
diss'io allora nel cuor mio - che i milanesi sono educati a maniere eleganti e
cortesi: bisogna dunque credere che il posto d'onore qui in Milano sia lo stare
in piedi, e che la muta espressione della gentilezza consista nel non lasciar
né via né spazio a persona veruna, bensí nel contenderglielo e far che t'abbia
a urtare in passando. Tant'è, ciò che in Francia sarebbe uno sgarbo villano,
qui forse è cortesia fiorita. Ecco come la buona creanza, cambiando clima,
cambia i suoi riti esteriori. -
Ma, a dir
vero, mi restano alcuni dubbi ancora sulla spiegazione di questo fenomeno
morale. Prima di registrarla nel mio itinerario, vorrei sentire il parere di un
uomo pratico de' costumi milanesi. E per questo mi rivolgo a voi, signor Conciliatore,
pregandovi d'essermi cortese d'una risposta che mi metta chiarezza
nell'intelletto e tranquillitá nella coscienza. Ve ne sarò gratissimo.
Milano, il 16
settembre 1818.
Vostro
umilissimo servitore
I.
D'Andely.
Per quanto si
sia andato pensando di trovar modo che la risposta da mandarsi al signor
d'Andely soddisfacesse pienamente alla domanda di lui, ed al desiderio altresí
che noi abbiamo di mantenere intatta a' nostri concittadini la fama ch'eglino
hanno di educati a maniere eleganti e cortesi, non ci riuscí mai di scrivere
due righe che valessero un centesimo. E però preghiamo i lettori di volerci
questa volta aiutare col suggerirci un mezzo termine che ci cavi decentemente d'imbroglio.
Confessare una scortesia de' nostri concittadini verso il bel sesso, non
conviene. Lasciare senza risposta il signor d'Andely, non è decente. Tradir la
veritá, non è onesto. Dunque?... Dunque chi manderá all'ufficio del Conciliatore
la miglior lettera, che, salvando tutte le convenienze, possa servir di
risposta a quella del signor d'Andely, non andrá senza premio, perché vedrá il
proprio nome registrato onorevolmente nella biografia universale de' piú
esperti scrittori di note diplomatiche.
Grisostomo.
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