VIII
Di un libro sulla
romanticomachia25.
Questo libretto
uscito di fresco agli sguardi dei torinesi è anonimo. L'editore, per altro,
delle 179 preziose pagine che lo compongono ci fa avvertiti com'esso sia «un
nuovo parto di quella medesima penna a cui giá siamo debitori dell'erudito Pedanteofilo»,
che è quanto dire, crediamo noi, di quella penna che scrisse altresí quattro
infelici Lettere contro Alfieri.
Anche senza
il sussidio dell'editore, sarebbe forse venuto fatto di raffigurare all'abito
bianco il mugnaio, s'è pur vero che in questa nuova «dotta elucubrazione» sieno
rinfrescati «a maniera di allusione», come a taluno è sembrato, alcuni tratti
in dispregio del tragico italiano; ciò che deve far parimente rivivere
l'indegnazione de' classicisti non meno che de' romantici.
L'intenzione
attuale dell'anonimo torinese è di metter pace appunto tra' romantici ed i
classicisti. Però fa d'uopo saper grazie a lui di cosí onesta intenzione.
Finora s'era
creduto da noi e dai fatui pari nostri che, a volere con qualche speranza di
buon successo intromettersi tra due litiganti onde temperarne l'ire e ridurli
ad un accordo, fossero indispensabili nel mezzano della pace tre condizioni: 1
godere la confidenza d'entrambe le parti litiganti; 2 conoscere lo stato della
quistione; 3 avere qualche pratica delle materie alle quali essa si riferisce.
Ma il
sapiente anonimo ci mostra ch'egli è di tutt'altro parere; e smentisce col
proprio fatto la necessitá di quelle tre condizioni da noi temerariamente
venerate. Noi pensiamo ch'ei sia uomo probo e leale; però, non essendoci in tal
caso da sospettare peccati d'impostura per parte di lui, noi stiamo zitti.
I quattro
libri della Romanticomachia sono destinati dall'autore ad essere una
storia delle guerre tra i classicisti ed i romantici. Ma, siccome per entro a
que' libri non appare orma di veritá istorica, cosí crediamo che l'autore
preferisse a bella posta il genere romanzesco. La Romanticomachia ci par
dunque dovere essere considerata come un romanzo. È un romanzo allegorico da
cima a fondo, perché l'autore, amando di far ridere, ha scelto l'allegoria
perpetua. E tutti sanno che l'allegoria perpetua, massime quando l'allegorista
non ne dá la chiave che a pochi suoi famigliari, anziché persuadere gli
sbadigli, è la piú efficace promotrice del riso universale.
Terminati i
quattro libri, l'autore nell'appendice spiega con severitá filosofica tutta la
pompa delle proprie teorie letterarie, mettendole modestamente in bocca
d'Urania. Molte sono le stupende novitá teoriche che noi impariamo da siffatta
appendice, e tutte opportune a' casi concreti; come a dire questa: che
nell'umana natura stanno i principi fondamentali d'ogni arte, principi che sono
indeclinabili; e quest'altra: che per saper discernere il bello dal brutto
bisogna aver sottile criterio; e quest'altra a un di presso; che per poter fare
bei versi bisogna saperli far bene, ecc. ecc. ecc.
Tutto poi
questo romanzo, o lodo o arbitrato che lo si voglia chiamare, è scritto in
lingua purgata, ma di quella veramente legittima. Né mancano qua e lá alcuni
lievi solecismi, ad imitazione della franca trascuratezza degli scrittori
nostri piú antichi.
Lo stile
adoperato dal torinese è lodevole oltre ogni dire. Sta di mezzo con bella
proporzione tra quello dell'Arcadia di Iacopo Sannazaro e quello delle
prediche di don Ignazio Venini. L'amplificazione è la figura rettorica che il
nostro autore maneggia con padronanza assoluta e con piú frequente
predilezione.
Del buon
gusto di lui sia prova il seguente passo, tolto alla ventura dalla pagina 14. È
una invocazione; perché senza invocazioni non si può far nulla di buono:
O immenso e non sempre lucido specchio
della storia, da cui tutte, bene o male, si riflettono le accolte immagini dei
grandi e piccoli eventi, concedi per poco che, nell'ampio e disuguale tuo seno
fissando gli occhi, io giunga a scoprire del fatale romanticismo l'annebbiata
sorgente ed i tortuosi meandri. Cosí forse mi succeder di potere dal vero
genere romantico discernere il falso sistema, che ne usurpa, in un col nome, la
gloria.
E qui sappia tra
parentesi il lettore che l'anonimo fa una distinzione tra il vero genere
romantico ed il romanticismo; distinzione che deve essere una bellissima cosa,
dacché noi non sappiamo intenderla.
Per tenere il
nostro articolo in giusta armonia col libro di cui si tratta, noi non entriamo
in materia e stiamo superficiali, superficialissimi. Questo astenerci dalle
soperchierie ci è suggerito dalla buona creanza. Grati noi per altro al paciere
torinese pel lodo od arbitrato con cui trasse a fine le discordie letterarie,
lo preghiamo di accettare, secondo che si usa in tali casi, come pagamento
della sentenza, o, se piú gli piace, come regalo, senza obbligo di sborsare
mancia veruna allo staffiere che glielo presenta in nome nostro, le quattro
seguenti notizie letterarie, delle quali, quantunque vecchiette, abbiamo veduto
nella Romanticomachia essere egli ignaro affatto. Il sapiente torinese
mostra d'aver dato retta a tutte le accuse gratuite che i classicisti fecero a'
romantici, e d'essere stato contento a quelle, senza degnarsi di dare uno
sguardo agli scritti di questi.
I. - I
romantici stimano molte parti delle poesie attribuite ad Ossian, ma non ne
hanno mai consigliata l'imitazione.
II. - I
romantici non vogliono nelle poesie dei moderni gli dèi d'Omero, ma proscrissero
sempre altresí quelli dell'Edda. E se amano di vedere nell'Ariosto ed in
Shakespeare le maghe e le streghe, non suggerirono mai a' poeti viventi di
ammetterle ne' loro canti, quando non sieno piú vive nella credenza del popolo.
III. - I
romantici non ricusarono mai di sottostare alle regole stabilite dalla natura e
dalla ragione. E però eglino professarono sempre di star volentieri sottoposti
a quel codice poetico a cui obbedirono Dante, il Petrarca, l'Ariosto,
Shakespeare ed altri siffatti galantuomini.
IV. - I
romantici non dissero mai che le poesie de' moderni debbano esclusivamente
trattare delle cose cavalleresche e del medio evo. Né, deducendo pei loro canti
argomenti e memorie storiche dal medio evo, intesero mai di voler persuadere
gli uomini a darsi all'antica barbarie; come neppure i classicisti, ricantando
la guerra troiana, hanno in animo di suscitare tutti i mariti moderni a pigliar
vendetta della infedeltá delle lor mogli colla strage di centomila persone.
Speriamo che
anche la parte contraria vorrá premiare con qualche regaletto del suo l'ingenua
mediazione del sapiente anonimo.
Grisostomo.
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