XIV
Intorno ad un poemetto di C.
Tedaldi-Fores29
Molte idee
false intorno al romanticismo si fanno diffondere maliziosamente in Italia da
chi ha interesse a screditarlo. La piú ricantata ne' crocchi, tanto dai furbi
quanto dalla buona gente che si lascia abbindolare da chi ha piú voce in
capitolo, è che le dottrine romantiche sieno la teoria dell'assoluta mestizia e
dell'orrore, e che nessun componimento poetico possa essere lodevolmente
romantico se non è una vera galleria di tutte immagini lugubri, di atrocitá, di
spaventi, ecc. ecc.
Dopo la lunga
professione di fede pubblicata da' romantici in sei numeri consecutivi del Conciliatore30,
sarebbe un perder tempo e un far torto alla sagacitá de' nostri lettori il
suggerir loro le ragioni colle quali confutare codesta accusa scipita. Per
quanto certi faccendieri dell'opinione pubblica, servendo al loro instituto,
s'industrino di ripeterla ad ogni momento, essa nondimeno è tale che non può
trovare ricapito che presso il volgo. Intendiamo per «volgo» i poveri
d'intelletto, i poveri di buona fede, non i poveri di borsa. E di siffatto
volgo a' romantici non cale piú che tanto.
Leggendo per
altro il nuovo poemetto del signor Tedaldi-Fores, si potrebbe sospettare a
prima giunta che anche questo ingegno non volgare abbia voluto spassarsi a
spese del vero e farsi beffa del romanticismo, e che se ne sia finto seguace a
bella posta per metterlo in caricatura e confermare cosí nella plebe la falsa
opinione della tendenza di esso a tutto ciò che è orribile e ributtante. Nella Narcisa,
che è un romanzo o poemetto di soli quattro brevissimi canti in terza rima,
veggonsi infatti affastellate tante immagini di color nero che può parere un
mortorio perpetuo.
L'argomento
del romanzo è la storia della morte di Narcisa e della sepoltura negatale a
Montpellier: storia che tutti i nostri lettori avranno letta nella terza delle Notti
di Odoardo Young. Ma il dolor vero per la perdita vera della figliuola della
propria moglie non destò nella fantasia, per altro copiosa e lugubre-monotona,
del poeta inglese tante immagini di squallore, tante reminiscenze orribili,
quante col suo dolore artificiale ne descrisse nel suo poemetto il signor
Tedaldi-Fores. Una vergine malata e che poi muore «sul nudo suolo»; un giovane
amante della fanciulla, che recide le chiome al cadavere e nel buio della notte
tenta con esse di farsi un capestro al collo e strozzarsi; un padre, che per la
morte della figliuola dá nelle bestemmie e si morde l'«un de' bracci»; un
demonio, che ulula intorno a quel padre e lo lorda di «fuliggine e di sanguigna
bava»; un cimiterio, sparso di «insepolto ossame bianco»; un Andrea
che a nutricar [se stesso] si die' di
carni umane,
e di uman sangue il mento e il sen si
tinse;
un padre, che
porta sulle spalle il cadavere della propria figliuola a seppellire; una fossa
scavata; un gemito che manda la terra; un cielo che piove «rossa linfa»; un
cadavere smosso dalla sua sepoltura dall'acquazzone e lasciato a fior di terra
«involuto di fetente limo»; un giovane soldato che corre, e sbadatamente viene
ad urtare in quel cadavere, e s'accorge che preme co' suoi ginocchi il «fral
meschino» della sua donna amata, in cui
di sanie infetto e nel luto prostrato,
passeggia il verme reo, la schifa eruca
e la striscia del serpe attossicato;
un pugnale;
un assassinio; uno che muore (è l'amante) e, morendo, cade sul cadavere
dell'amata e le afferra il «volto casto»
coi denti delle rabide mascelle;
uno spettro; un
feretro; un rogo; e un fantasma in carne ed ossa, che, dopo d'aver narrati
tutti codesti malanni al poeta, che sta attento ad udirlo, lascia cadere «le
polpe al suolo e l'osse», e, «fatto nudo spirto», esclama - Sono Odoardo (il
padre di Narcisa) - e sparisce: queste ed altre piú minute galanterie di tal
fatta, raccolte insieme l'una sovra l'altra in poco spazio, formano un tutto
che può davvero sembrare, come dicemmo, la caricatura poetica dell'orrore.
Ma perché
attribuiremo noi a mala fede ciò che probabilmente è stato fatto con
ingenuissima intenzione? D'altronde il romanzo del signor Tedaldi-Fores
quantunque, secondo la umile nostra opinione, infelice pel concetto generale,
per gli accidenti storici e per la condotta, ha nondimeno alcuni accessori lavorati
con potenza poetica non comune, ha diverse terzine lodevolissime per evidenza
di stile e per veritá di sentimenti; sicché sarebbe quasi temeritá il voler
credere che una persona, capace di giovar molto alla propria fama ed alla
patria, voglia ora sprecar tempo e carta e inchiostro in servizio della
malignitá antiromantica. No, non lo si dee credere. Il signor Tedaldi-Fores s'è
ingannato, ma non ha voluto ingannare.
Noi ci
appigliamo volentieri a quest'ultima credenza. E siccome in fatto di libri è
uso nostro di manifestare senza velo la nostra opinione, qualunque sia,
massimamente se crediamo di parlare a scrittori d'ingegno, il di cui amor
proprio non confonda i consigli della critica co' morsi dell'invidia, cosí
diciamo con onesta sinceritá all'autore della Narcisa che l'insieme del
suo romanzo non ci contenta.
Congratulandoci
per altro con lui della sua deserzione dalle favole greche, lo preghiamo di
voler perseverare in essa, di affratellarsi cogli argomenti desunti dalle
storie nostre e dai nostri costumi, e di somministrarci presto qualche altro
componimento di tema meno esagerato nella tristezza, meno affettatamente
orribile e piú conveniente a' bisogni dell'Italia, affinché possiamo dire di
lui quelle piene lodi ch'egli dá indizio di dovere un dí meritare, se pure le
nostre lodi sono premio a cui egli si degni di por mente.
Né si creda
che in noi sia avversione agli argomenti malinconici, alle occasioni di
piangere. Sí, vogliamo tremare e lagrimare e gemere, perché tra i tanti diletti
poetici sappiamo anche noi che è soavissimo quello della malinconia e del
pianto. Ma le lagrime non sono mai figlie dell'orrore e del ribrezzo. Vogliamo
anche noi essere percossi dal terrore. Ma una serie d'idee eccessivamente
luttuose e tutte temprate al monocordo, ancorché non uscissero fuor de' confini
del terribile, finirebbe coll'essere orribile, o per lo meno noiosa a' lettori.
Or che sará poi quando le immagini pendono piú all'orribile che ad altro?
Bisogna però
dire, a onor del vero, che nei primi esperimenti, in un genere poetico
qualunque, la parsimonia non può quasi mai essere la qualitá regolatrice della
immaginazione del poeta. È una qualitá, una abilitá, questa, che non s'acquista
che col tempo. E però la presente mancanza di essa non ci è argomento per doverla
temere ripetuta ne' futuri lavori del signor Tedaldi-Fores. Progredendo egli
sempre piú nello studio dell'arte e del cuore umano, e nobilitando sempre piú i
propri pensieri, la verseggiatura e lo stile, è da credersi ch'egli salirá a
quell'altezza di perfezione poetica verso la quale ha voluto fare un passo
colla sua Narcisa.
Grisostomo.
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