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Pierangelo Baratono
Il beato Macario

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  • La vita amorosa
    • III
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La vita amorosa

III

 

Fu entro una camera d'albergo che Macario giovinetto si accostò, per la prima volta, agli amorosi misteri. La stanza era angusta, trasandata e d'umil mobilio; ma la specchiera, appesa ad una parete, si mostrava ampia e tersa e di gran pregio: e aveva, anche, il dono della favella, tant'è vero che cominciò a dire:

Odi, o garzone. Che tu rimanga imbambolato a guardarmi, poco o nulla m'importa; ma che tu faccia codeste smorfie, no, veramente, non è tollerabile. E odi ancora. Molti macachi, ho conosciuti: e, tuttavia, mai ne vidi alcuno, che ti valesse. Ritorna, figliuolo, ritorna nella foresta e scegli, come alloggio, una pianta. Giuro che gli altri scimmiotti ti eleggeran subito principe. Che pensi? Di diventare vezzoso facendo codeste boccacce? Sbagli, sbagli, o garzone. O, per lo meno, rischi di metterti sopra una falsa strada.

La specchiera doveva esser gonfia di parole; e avrebbe continuato a discorrere un pezzo. Ma, in buon punto, le furon troncati da Macario il sermone e il respiro.

— Oh, dunque, cosa puoi rimproverarmi? Se ancora dimostro qualche impaccio da bennato giovine di provincia, e tu incolpane Undimilla vergine che, sino a ieri, mi tenne vincolati il corpo e la volontà. Ho diciott'anni, diciott'anni, comprendi? E sono venuto nella grande città, provvisto di un gruzzolo e di saggi consigli, appunto per svincolarmi e disimpacciarmi. Il gruzzolo me lo diede mia madre; e i saggi consigli li devo a un venerando esculapio, il quale, dopo aver esaminato accuratamente il mio fisico, parlò in questi termini all'anima: «I palliativi, nelle malattie gravi, sono dannosi e non utili. E poiché la tua malattia, causata dalla privazione del vero farmaco e dall'abuso dei palliativi, è gravissima, occorre che tu apparecchi subito le valigie per andare lontano di qui alla ricerca della guarigione. Conosco i tuoi timori e gli scrupoli: e, per ciò appunto, ti mando fuori dalla tua terra, ove il rimedio costituirebbe scandalo e, quindi, peccato». «Ma qual è il farmaco?», chiesi. «È l'amore!», sentenziò il savio medico. «Ma l'amore non si risolve sempre in peccato?», obiettai timido. «No, figliuolo, se non è esposto a nudo e non scandalo».

La specchiera traballava tutta, così intenso era il suo sforzo onde contenere le risa. Ma, ad un tratto, ridivenne seria e immobile.

Scusi, vuol essere svegliato per tempo, domattina?

La voce, che passava a traverso l'uscio, aveva un suono fresco e squillante: voce di donna, e di donna giovane.

Entri! Così, potremo intenderci meglio.

La porta si aprì. E rimase aperta solo il tempo necessario per dare passaggio a un corpo non troppo voluminoso, anzi piuttosto mingherlino, ma, in compenso, eccessivamente irrequieto.

— Per favore, non chiuda. Devo scappar via subito. Ho mille incombenze da sbrigare. Sa! L'albergo è grande, ed io son così piccola!

— Abbia pazienza. Chiudo per evitar la corrente. E ho bisogno di spiegarle tante faccende. Per esempio, il caffè, al mattino, mi piace con un poco di latte: oh, poco poco, perché non mi rammenti un biberone della mia infanzia! Ma con molti biscotti: moltissimi, anzi.

— È goloso, il monello!

— Così. E mi fanno gola anche le ciliege, se somigliano alle sue labbra!

— Stia fermo! Oh, quanta furia!

— Non è mia la colpa, se non ho tempo da perdere.

— Si spieghi.

— Mi spiego. Devo trovare senza indugio il farmaco che guarisca una grave malattia.

— Quale malattia?

Abuso di palliativi. E un savio esculapio mi ha detto che c'è un solo rimedio: l'amore.

— E si rivolge a me, per questo farmaco?

— Il venerando esculapio ha soggiunto che l'amore esige luogo acconcio a evitare ogni motivo di scandalo ed una vivace pedagoga.

— Che le impartisca un corso, possibilmente accelerato, di lezioni.

— Ecco! Proprio così!

— Stia fermo! Ouf! La finisca!

Finirò se la pedagoga vorrà cominciare.

Badi che le lezioni costano un occhio.

— Si spieghi.

— Mi spiego. Ogni fatica merita premio. Anche le pedagoghe, dunque, hanno diritto a un compenso. E se, poi, si tratta di un corso accelerato...

Capisco. Ma potremmo riparlarne più tardi!

Piano! Oh, i miei capelli. Piano, per carità! Guai se l'albergatore sospettasse!

— L' albergatore?

— Sì... No! No! N...

L'ultimo «no» rimase entro la strozza, sopraffatto dal brusco sbatacchiar della porta. Un urlaccio, una fuga rapida della servetta: poi, l'uscio si richiuse.

E si riaprì soltanto dopo che Macario, vergine e martire, ebbe deposto, sopra la palma aperta di una mano d'ostiere, il prezzo di un ammaestramento, che nessuno gli aveva impartito.




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