XV
Un ospite rumoroso entrò in
quella casa tranquilla. Entrò, adagiato come un oggetto sacro sovra un morbido
cuscino, cui le mani di Clorinda servivan d'appoggio. E, insieme al cuscino, fu
deposto subito, con infinite cautele, sovra l'ampio talamo coniugale. Era
ricciuto, era biondo, era fine di membra: e, per molti giorni, occupò in sì
fatto modo il tempo della donna da impedirle sin anche di uscire in carrozza e
di andare a teatro e di trasformare in notturne cameriere gli amici.
E già Macario considerava il
nuovo ospite come inviato dalla provvidenza e si accingeva a colmarlo di
carezze e di onori. Ma, improvviso, sul finire di un pranzo, scoppiò aspro
dissidio fra l'ospite e il padrone di casa. Pimentati cibi e vini generosi
avevano allietata la mensa. E Macario, volendo dar segno di gratitudine alla
dolce moglie, presale teneramente una mano, piegava il volto per deporre su
questa il bacio del gentiluomo, allorché vide l'ospite balzare iroso e con
schiamazzi e minacce interporsi fra le devote labbra e la femminea epidermide.
Né preghiere né lusinghe valsero a placare il collerico: e l'umiliato sposo
dovè non solo rinunciare ad ogni cavalleresca usanza, ma abbandonare altresì la
tavola e la sala.
Calate le tenebre sulla terra,
Macario, cui i pimentati cibi e i vini generosi suggerivano ardite idee e virili
risoluzioni, cauto varcò la soglia della camera nuziale, avviandosi verso il
talamo, ove una serica coltre modellava le potenti formosità della sposa. E già
si chinava a svegliar la dormiente con un onesto bacio maritale, allorché vide
l'ospite sbucar fulmineo e balzare iroso e interporsi, con schiamazzi e
minacce, tra le mascoline labbra e la femminea epidermide. Le più inzuccherate
parolette e i più affettuosi vezzeggiamenti, anziché placare il collerico, ne
aumentaron la furia. E Macario dovè allontanarsi mogio non solo dal giaciglio,
bensì dalla camera stessa.
Trascorsa la notte fra
tormentosi sogni, inspirati dal pimento dei cibi e dalla generosità delle
bevande, il martire scese sull'alba dal provvisorio lettuccio, apparecchiato
dalle sue mani medesime in un remoto angolo della casa, e s'avviò verso la sala
da pranzo, ove gli svariati latticini della colazione avrebber calmati i sensi
e fugate le ultime ombre dei sogni. Ma l'ospite era già lì, accampato come un
vincitore. E il suo odio doveva aver raggiunto l'apice dell'intensità, poiché
senza il più lieve indugio, all'apparir di Macario, esplose in così rumorosa e
terrificante forma, da indurre il malcapitato a una precipitosa ritirata. Un
odio cieco non dà tregua, e non ascolta ragioni; anzi, persegue il proprio
oggetto con raddoppiato furore ad ogni tentativo di pace. Incalzato di stanza
in stanza, Macario giunse, alla fine, nell'anticamera: e, non scorgendo altra
via di salvezza, abbandonò con cuore greve ed agili gambe la casa.
Una sola creatura esisteva,
degna di confidenza e capace di porgere aiuto in così scabrosa occasione:
Undimilla. E Macario, con le lagrime agli occhi e il singhiozzo nella voce,
riversò la propria pena entro il roseo orecchio della vergine pietosa.
— Non crucciarti, disse costei:
tua moglie udrà dalle mie labbra le parole della saggezza e, cacciato via
l'ospite prepotente, s'affretterà a permetterti un ritorno trionfale nel nido
della felicità.
Così parlò Undimilla. Ma
trascorsero i giorni senza che la vergine, chiusa entro la rocca nemica, dèsse
cenno di resa sventolando dalla finestra un bianco pannolino. Infine, le
ambasciate sollecitatrici ottennero che la fanciulla concedesse udienza
all'orbato sposo nella stanzetta della portineria.
Fiera apparve Undimilla: e
aggressiva si dimostrò. E, all'infinocchiato e plorante Macario, gridò la
condanna senza appello:
— Hai torto, torto marcio!
L'ospite si è rivelato ricco di qualità, degne del massimo onore e rispetto. E,
benché sia un cagnolino, ha linguaggio espressivo più di qualunque uomo.
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