XVI
Esule dal domestico, tetto,
Macario deliberò di condurre vita esemplare e specchiata, che servisse di
rimproccio e monito non soltanto per la consorte, ma bensì per ogni altro, se
anche indurito, peccatore e aprisse di tal modo la strada ad un pio
ravvedimento. Necessitava, dunque, combattere ciascun vizio con l'arma della
contrapposta virtù. E poiché Clorinda, ricettacolo di tutti i vizi, era
maldicente e prodiga e intemperante nei cibi e sfarzosa nelle vesti e
orgogliosa e violenta e volubile e menzognera e di costumi liberi e di caldo
temperamento, egli avrebbe indotte le di lei guance a tingersi di un color
vermiglio, non dovuto a ben elaborate creme, mostrandole col proprio esempio
quale ubbidienza si debba ai dettami, raccolti in questo nuovo Decalogo:
Non parlar male del tuo
prossimo.
Spendi parsimonioso il
denaro.
Sii parco nel nutrirti.
Sii modesto
nell'abbigliamento.
Non dimostrare superbia.
Non trascendere con la voce o
i gesti.
Sii costante nei propositi.
Sii verace nei discorsi.
Fuggi l'impudicizia.
Non cedere alla lussuria.
Trovato asilo di pace e vitto casalingo mercè un annuncio
economico, inserito nelle gazzette da una perspicace affittacamere, Macario
comperò un'effemeride in forma di taccuino, sulla quale avrebbe segnato, per
proprio disdoro e se l'anima non si fosse tenuta all'altezza dei principii
adottati, ogni fallo commesso contro la sacra tavola delle Dieci Leggi. E
tranquilli sarebbero scorsi i giorni nella casa dell'affittacamere se costei,
ancor belloccia quantunque non più sul fiore degli anni, avesse rispettata la
norma, che regge ogni civile consorzio e che si chiama Giustizia. Abitava e si
nutriva, di fatti, in quel medesimo loco un giovane dal copioso ciuffo spavaldo
e dai boriosi modi, il quale era oggetto di specialissime cure da parte della
donna. Ora, la sua camera, riassettata con ogni diligenza, mostrava lucenti
mobili e terso pavimento: e sovra il letto, adorno di vistosa coperta,
biancheggiava il rimbocco di linde lenzuola. La stanza di Macario, invece,
aveva veli di polvere ovunque: e, sul negletto giaciglio, una coperta ragnata
nascondeva grigie pungenti telerie. A mensa, poi, saporite minestre e
bocconcini prelibati rallietavano la golosità del pensionante dal ciuffo: ma
torbide brodaglie e ascetici lessi lasciavano scontento e non sazio l'appetito
di Macario. Così piccola era la profenda e così grande lo stimolo, da indurre
il martire affamato a visitar, di nottetempo, la dispensa per chiedere a qualche
dimenticato pezzo di pane un momentaneo sollievo.
Fu, appunto, in grazia di queste
escursioni notturne ch'egli, passando lieve davanti alla camera della donna,
comprese il motivo del trattamento diverso. Ma, come uomo pio, deliberò fra sé
e sé:
— Niuna parola incauta o
biasimatrice sfuggirà dalle mie labbra. E d'altra parte, quale certezza ho che
costei sospiri per opere diaboliche piuttosto che per estasi angeliche?
Una notte, mentr'egli stava con
l'orecchio incollato alla porta dei gemiti onde discernere se questi fossero di
natura schiva d'ogni estraneo intervento o intervento dottorale implorassero,
sopraggiunse lì, a passi di lupo, la servetta. Era, questa, una vispa
fanciulla, se ben trasandata negli abiti: e, in quel momento, balzata di furia
dal letticciuolo per risolvere, certo, lo stesso problema, da cui appariva
tormentato Macario, avea i panni ridotti alla lor minima efficienza. L'uno e
l'altra volevano, con pari gentilezza, ritrarsi; ma, aumentando i rumori
dall'interno, ansiosa sollecitudine spinse entrambi a condividere i disagi e le
noie della veglia. Fosse risultato dei sospiri o di sfioramenti tra chioma e
chioma o di altre consimili bazzecole, certo è che Macario si trovò a contatto
con la minima efficienza dei panni proprio nel momento, in cui la porta si
spalancava di colpo.
— Ah, vilissimo uomo!, urlò
l'affittacamere apparendo sul limitare, avevi chiesto, dunque, ospitalità e
cibo per macchiare quell'innocente colomba? E il mantello di virtù, in cui ti
avvolgevi, era semplice polvere per gli occhi dei gonzi? Ma io ti svergognerò,
o ipocrita!
— Acconsento, ribatté Macario: a
condizione, però, ch'io possa, prima, accertarmi s'eri tu, che gemevi, oppure
il tuo pagliericcio.
Poi, corse a chiudersi nella
propria stanza e, tra lacrime di pentimento, scrisse sul taccuino:
«Ho calunniato un pagliericcio e
disubbidito alla Legge».
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