XVII
Il denaro, come ognun sa, è
fulcro delle guerre e segno rappresentativo degli uomini. La vita e la morte
dipendono, dunque, da esso: poiché un esercito non può offrirsi in olocausto
per il bene supremo delle persone rimaste a casa, né un individuo può accampar
diritti sull'esistenza se i quattrini sian pochi. Conscio di queste sublimi
verità, Macario inaugurò un registro-cassa, ove le entrate e le uscite stessero
le une di fronte alle altre come un gigante starebbe faccia a faccia — per mo'
di dire — con un nano. E dal registro escluse, inesorabilmente, ogni spesa
superflua.
Martire volontario, egli, onde
ubbidire al principio adottato, avea spesso interni travagli: e laboriose
discussioni intavolava seco stesso, dalle quali l'umanità, se fosse stata
chiamata ad udirle, avrebbe tratte luci abbaglianti. Fu, appunto, in seguito a
un travaglio interno, che Macario scoprì la fondamentale differenza tra spesa
necessaria e spesa superflua.
— Devo io comprare un
lassativo?, domandò al disputatore, che ospitava dentro di sé.
— Certo!, rispose il
disputatore.
— Ma i cibi, che ho trangugiati
perché mi sostentasser la vita, non lasceranno, così, nessun frutto?
— Certo!, rispose il
disputatore.
— Dunque, una spesa necessaria
si risolverà in un inutile sperpero?
— Certo!, rispose il
disputatore.
— E, dunque, la nuova spesa del
lassativo dovrebbe distruggere gli effetti benefici di una spesa necessaria e
aggravare il bilancio delle inutili spese?
— Certo!, rispose il
disputatore.
— Eureka!, gridò allora Macario.
Ormai, ho un mezzo sicuro per discernere il necessario dal superfluo, poiché so
che è superflua ogni spesa, la quale renda inutili quelle necessarie.
Di conseguenza, egli rinunciò al
lassativo. E si consolò della lunga malattia, sopraggiunta a inchiodarlo nel
letto, segnando poi sul bilancio:
Lassativo (non comprato) L. 1,50
Medicinali
L.230
Medico
L.300
Era Macario sul finire della
convalescenza, allorché ricevette la visita dello zio Polonio, reduce dalle
lontane Americhe.
— Vengo da te, perché ho sentito
parlare, nelle plaghe d'oltre oceano, delle tue preclare virtù, disse lo zio.
— Sii il benvenuto, esclamò
Macario contemplando con intenerimento il florido volto e l'adiposo corpo di
Polonio.
— Nelle plaghe d'oltre oceano, o
nipote, io non ho trovato fortuna. Ma sono certo che le tue preclare virtù si
affretteranno a soccorrere un parente nell'indigenza.
— Sii... il benvenuto..., ripeté
Macario volgendo altrove lo sguardo.
Rifletté un poco, quindi
concluse:
— Ecco! Basterà a tutti e due
quello, che bastava a me solo.
Lento appare il tempo agli
infelici. Lentissimo appariva, dunque, allo zio ed al nipote, intenti a
trasformarsi, a poco a poco, da creature vive in ombre e fantasmi. A poco a
poco le riserve d'adipe, depositate nelle membra di Polonio, si scioglievano e
si consumavano onde sopperire ai vuoti, scavati dal digiuno: e gli occhi, per
l'addietro sorgenti fra i guancialetti delle palpebre, si ritraevano sempre più
verso il fondo di due abissi, ai quali una floscia grinzosa pelle facea da
velario.
Un giorno, frugando tra le carte
dello zio con l'onesta intenzione di trovar qualche savio appunto intorno ai
costumi delle Americhe, Macario s'abbatté in una noticina così formulata:
«Le mie sostanze, che ammontano
a due milioni, saranno ereditate dal pio nipote Macario s'egli, riputandomi
povero, si dimostrerà generoso».
Quella sera, Polonio fu invitato
a prender posto a una mensa sfolgorante di cristalli e carca di cibi e ricca di
vini prelibati. Mangiò e bevve, egli, in silenzio, fissando il nipote con
pupille ormai quasi dileguate nella buia profondità delle orbite.
Mangiò a crepapelle, bevve a
garganella; poi, disse con voce tetra:
— Mi lodo di aver sperato in te
sin quasi a questo momento.
— Perché il quasi?, balbettò
Macario.
— Perché due ore or sono ho
dettato un altro testamento al notaio.
— Lo distruggerai!, gridò
Macario.
— Troppo tardi!, gemette lo zio
Polonio.
E si accasciò sulla sedia,
pronto per il sepolcro.
Or mentre Macario registrava
sull'effemeride «Ho peccato di prodigalità: e inutilmente», qualcuno bussò
all'uscio. Era il venerando esculapio, che recava tristi notizie.
— Sappi, disse il savio medico,
che Clorinda tua è molto malata. Poiché un morbo crudele afflisse, di recente,
anche te, il cuor tuo, ricordando i dolori sofferti, si mostrerà, certo,
benigno. Clorinda teme di morire: e vorrebbe rivederti, e, forse, domandarti
perdono.
— Qual è la malattia?, chiese
Macario.
— È una punizione, ahimè!, di
peccati. O Venere, come sei dolce ed aspra ad un tempo verso i tuoi fedeli!
— Rimanga, Clorinda, con
Venere!, proruppe Macario. I suoi tormenti non saranno mai uguali a quelli,
ch'io sto provando, poiché s'ella ha il rimorso d'essersi procacciata troppo
presto la morte, io ho il rimorso maggiore di averla procacciata troppo tardi.
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