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Pierangelo Baratono
Il beato Macario

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  • La vita esemplare
    • XVII
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XVII

 

Il denaro, come ognun sa, è fulcro delle guerre e segno rappresentativo degli uomini. La vita e la morte dipendono, dunque, da esso: poiché un esercito non può offrirsi in olocausto per il bene supremo delle persone rimaste a casa, né un individuo può accampar diritti sull'esistenza se i quattrini sian pochi. Conscio di queste sublimi verità, Macario inaugurò un registro-cassa, ove le entrate e le uscite stessero le une di fronte alle altre come un gigante starebbe faccia a faccia — per mo' di dire — con un nano. E dal registro escluse, inesorabilmente, ogni spesa superflua.

Martire volontario, egli, onde ubbidire al principio adottato, avea spesso interni travagli: e laboriose discussioni intavolava seco stesso, dalle quali l'umanità, se fosse stata chiamata ad udirle, avrebbe tratte luci abbaglianti. Fu, appunto, in seguito a un travaglio interno, che Macario scoprì la fondamentale differenza tra spesa necessaria e spesa superflua.

Devo io comprare un lassativo?, domandò al disputatore, che ospitava dentro di sé.

— Certo!, rispose il disputatore.

— Ma i cibi, che ho trangugiati perché mi sostentasser la vita, non lasceranno, così, nessun frutto?

— Certo!, rispose il disputatore.

— Dunque, una spesa necessaria si risolverà in un inutile sperpero?

— Certo!, rispose il disputatore.

— E, dunque, la nuova spesa del lassativo dovrebbe distruggere gli effetti benefici di una spesa necessaria e aggravare il bilancio delle inutili spese?

— Certo!, rispose il disputatore.

Eureka!, gridò allora Macario. Ormai, ho un mezzo sicuro per discernere il necessario dal superfluo, poiché so che è superflua ogni spesa, la quale renda inutili quelle necessarie.

Di conseguenza, egli rinunciò al lassativo. E si consolò della lunga malattia, sopraggiunta a inchiodarlo nel letto, segnando poi sul bilancio:

 

Economie

 

Lassativo (non comprato) L. 1,50

 

Spese necessarie

 

Medicinali        L.230

Medico            L.300

 

Era Macario sul finire della convalescenza, allorché ricevette la visita dello zio Polonio, reduce dalle lontane Americhe.

— Vengo da te, perché ho sentito parlare, nelle plaghe d'oltre oceano, delle tue preclare virtù, disse lo zio.

Sii il benvenuto, esclamò Macario contemplando con intenerimento il florido volto e l'adiposo corpo di Polonio.

— Nelle plaghe d'oltre oceano, o nipote, io non ho trovato fortuna. Ma sono certo che le tue preclare virtù si affretteranno a soccorrere un parente nell'indigenza.

Sii... il benvenuto..., ripeté Macario volgendo altrove lo sguardo.

Rifletté un poco, quindi concluse:

— Ecco! Basterà a tutti e due quello, che bastava a me solo.

Lento appare il tempo agli infelici. Lentissimo appariva, dunque, allo zio ed al nipote, intenti a trasformarsi, a poco a poco, da creature vive in ombre e fantasmi. A poco a poco le riserve d'adipe, depositate nelle membra di Polonio, si scioglievano e si consumavano onde sopperire ai vuoti, scavati dal digiuno: e gli occhi, per l'addietro sorgenti fra i guancialetti delle palpebre, si ritraevano sempre più verso il fondo di due abissi, ai quali una floscia grinzosa pelle facea da velario.

Un giorno, frugando tra le carte dello zio con l'onesta intenzione di trovar qualche savio appunto intorno ai costumi delle Americhe, Macario s'abbatté in una noticina così formulata:

«Le mie sostanze, che ammontano a due milioni, saranno ereditate dal pio nipote Macario s'egli, riputandomi povero, si dimostrerà generoso».

Quella sera, Polonio fu invitato a prender posto a una mensa sfolgorante di cristalli e carca di cibi e ricca di vini prelibati. Mangiò e bevve, egli, in silenzio, fissando il nipote con pupille ormai quasi dileguate nella buia profondità delle orbite.

Mangiò a crepapelle, bevve a garganella; poi, disse con voce tetra:

— Mi lodo di aver sperato in te sin quasi a questo momento.

— Perché il quasi?, balbettò Macario.

— Perché due ore or sono ho dettato un altro testamento al notaio.

— Lo distruggerai!, gridò Macario.

— Troppo tardi!, gemette lo zio Polonio.

E si accasciò sulla sedia, pronto per il sepolcro.

Or mentre Macario registrava sull'effemeride «Ho peccato di prodigalità: e inutilmente», qualcuno bussò all'uscio. Era il venerando esculapio, che recava tristi notizie.

Sappi, disse il savio medico, che Clorinda tua è molto malata. Poiché un morbo crudele afflisse, di recente, anche te, il cuor tuo, ricordando i dolori sofferti, si mostrerà, certo, benigno. Clorinda teme di morire: e vorrebbe rivederti, e, forse, domandarti perdono.

— Qual è la malattia?, chiese Macario.

— È una punizione, ahimè!, di peccati. O Venere, come sei dolce ed aspra ad un tempo verso i tuoi fedeli!

Rimanga, Clorinda, con Venere!, proruppe Macario. I suoi tormenti non saranno mai uguali a quelli, ch'io sto provando, poiché s'ella ha il rimorso d'essersi procacciata troppo presto la morte, io ho il rimorso maggiore di averla procacciata troppo tardi.




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