XVIII
I rimorsi, suscitati dal
banchetto orgiastico e dalle sue luttuose conseguenze, stimolaron Macario a
macerarsi con rinnovato ardore la carne.
— Non io mangerò le vittime
dell'umana ferocia, egli diceva soffermandosi a guatare gli squartati vitelli
appesi nelle botteghe e gli esili uccellini gettati in mucchio entro tombe di
vimini.
— E neppure impedirò a innocenti
creature di nascere!, aggiungeva passando innanzi ai canestri colmi d'uova.
— Né toglierò ai neonati,
bisognosi di forze, la lor nutritiva bevanda!, conchiudeva osservando pietoso
le secchie riempite di candido latte.
Anche il pane era da lui
rispettato poiché, contenendo farina, rappresentava un eccidio di innumerevoli
chicchi, tolti all'opera di prolificazione dalla prepotenza degli uomini. E,
per ugual motivo, le dure patate e i morbidi piselli e le fave, care a
Pitagora, e l'olio, protetto da Minerva, e il vino, amato da Dioniso, e le
stesse frutta avean bando perpetuo dalla tavola austera.
Così, nutrendosi solo per
ubbidienza alla volontà del Creatore, Macario, con le proprie mani, coglieva
erbe mangerecce per i campi e poi, di scarso sale conditele, da persona
semplice frugalmente si cibava. Or avvenne che un giorno, mentr'egli era
intento alla consueta raccolta, un rispettabile uomo si soffermò a guardarlo.
— O esempio in terra di celesti
virtù, disse l'uomo, sei tu nato veramente da creature mortali o non sei,
piuttosto, il visibil segno del fallo di un immortale?
— Troppo mi lodi, rispose
umilmente Macario.
— Nessuna lode uguaglierebbe i
tuoi meriti, continuò l'uomo. Oh, se la pietà fosse in te pari alla frugalità,
non sdegneresti di aiutare un peccatore a rimettersi sulla via della salute!
Santo era Macario; né avrebbe
potuto opporre diniego a una così pia preghiera. Iniziò dunque un colloquio
che, tra ammonimenti e confidenze, si protrasse quasi fino all'ora di cena.
— Ma tu permettimi di dare un
solenne addio al peccato, concluse il rispettabile neofita.
— E come sarà questo addio?,
chiese Macario.
— Ecco. Avrà, per antipasto,
tortellini di burro schietto e pimentati salumi e acciughe di forte aroma.
— O peccatore!, gemette Macario
pensoso.
— Poi, ravioli pingui di carne
tritata saran deposti, ancor fumiganti, sovra la mensa. E un denso intingolo di
fegatini li renderà ancor più dilettevoli.
— O peccatore!, gemette Macario
rabbrividendo.
— Poi, un candido pesce
profumerà, caldo, le nari, immerso nel salutifero bagno di una gialla salsa ben
condensata.
— O peccatore!, gemette Macario
sussultando.
— Poi, sottili fette di morbida
carne arrotolata prometteranno la saporita sorpresa di una mescolanza di prosciutto
e di prezzemolo e di altre ghiotte droghe, racchiuse nel lor tiepido ventre. E
avranno, d'attorno, verdolina grazia di piselli misti, anch'essi, a purpureo
prosciutto.
— O peccatore!, gemette Macario
contorcendosi un poco.
— Quindi, un'anglica zuppa
mostrerà la bianca soffice superficie di panna, arabescata da fregi di grigia
cioccolata che, incrociandosi, formeranno castone per le gemme delle frutta
candite. E, nell'interno, strati di creme solcheranno la massicciata dell'iberico
pane.
— O peccatore!, gemette Macario,
asciugandosi la fronte madida di sudore.
— Poi, vellutate pesche e
albicocche color d'oro e banane dalla polpa simile a carne formeran monte sovra
un vassoio. E i vini bianchi e limpidi, avanguardie del pasto, saran seguiti da
frizzanti vini color rubino. E il biondo Sciampagna, con la sua filigranata
schiuma dispensatrice di gaiezza, darà termine al pranzo d'addio.
— O peccatore!, gemette Macario
pallido in viso.
Poi, soggiunse:
— Ma sarà un vero scialacquo!
— E tu santifica lo scialacquo
con la tua presenza, disse il convertito.
— Poiché non parteciperò alla
spesa, non commetterò alcun peccato!, sentenziò Macario fra sé e sé.
E i due nuovi amici, seduti di
fronte in una trattoria luminosa di stucchi aurei e di lampadarii di cristallo,
cominciarono lietamente a dare il melanconico addio. Venne l'antipasto, vennero
i ravioli, venne il pesce fumante; e, poi, sopraggiunse l'arrotolata carne e si
avanzò l'anglica zuppa e fecero mucchio le frutta.
— Io non commetto peccato,
poiché disapprovo la spesa, continuava a monologare Macario vuotando i calici
d'ogni forma, ove vini d'ogni colore promettevan sollievo a ogni cruccio.
Bevve tanto, il martire, che ad
un tratto — le lunghe astinenze alleandosi con la nebbiosa ebrezza — cadde in
un sonno profondo.
— Signore, si chiude!
Voce gentile, ma energica, di
cameriere frettoloso.
Macario balzò in piedi.
— E il mio amico?, chiese.
— E uscito da un pezzo,
raccomandandomi che non disturbassimo il suo riposo.
Macario si avviò, un po'
vacillante, verso la porta della trattoria.
— Scusi!, continuò il cameriere
tagliandogli la strada.
— Che c'è?, domandò Macario.
C'era, ben squadernato, il conto
del pranzo d'addio. Ma inutilmente Macario si frugò nelle tasche: non c'era più
il portafogli.
Prima di coricarsi, il martire
scrisse nell'effemeride:
«La gola mi ha vinto: ma sono
stato punito».
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