Come il poverello di Assisi, le
ascetiche membra chiuse nel rozzo saio, s'aggirava per le campagne a elogiare
le creature e il Creato, e con dolce nome di sirocchie salutava le alate
bestiole pigolanti fra i rami e la luna navigante in eterno viaggio per i cieli
silenziosi; così Macario, indossato il cilicio della penitenza, si aggirava fra
gli uomini, a guisa di fratelli abbracciandoli e ricevendo con lieto cuore i
loro sgarbi. Né trascorreva giorno alcuno, senza che il pio martire dèsse
chiaro segno della propria benignità.
Diffusasi rapidamente la voce di
quegli esemplari costumi, non ci fu persona, che trascurasse di attinger acqua
lustrale alla nuova fonte di salute ponendo a dura prova la rassegnata pazienza
di Macario e traendo motivo di edificazione dai risultati dell'approccio. E
tale era il beneficio, elargito da quel sant'uomo non solo ai singoli, bensì
anche alla collettività intiera, che nessuna lite, nessun dissidio turbava più
gli animi e la contrada. Allorché, di fatti, sorgeva baruffa tra due, gli
inveleniti antagonisti non tardavano a trovar sfogo e sollievo alla collera
recandosi in fretta da Macario e rivolgendogli le ingiurie, che avrebber
dovuto, altrimenti, barattarsi fra loro, e in pieno viso il reciproco odio
sputandogli. E sulle bocche di tutti cominciò a correr proverbiale la frase:
— Goda, fra i due litiganti,
Macario!
Un giorno, il pio martire capitò
in un crocchio di conversatori.
— Nessuno ha diritto
d'inorgoglirsi al pari di me, diceva un banchiere. L'altrui fortuna,
accumulandosi nelle mie casseforti, dipende da un semplice cenno di questa mano
ingemmata. E l'umanità, sotto il giogo, ara per me le terre, dalle quali il mio
ozio trae pane.
— Accogli con modestia i doni
del cielo!, rimbrottò mite Macario.
— Cosa vai cicalando, o uomo?,
gridò un alto funzionario. Ben è vero che questo banchiere merita biasimo,
poiché le lodi, ch'egli prodiga a sé stesso con tanta improntitudine, appaion
sciocche se si pensi alla lor bassa origine. Cos'è, infatti, il denaro se non
un semplice mezzo di scambio per i volgari bisogni del civile consorzio? Ma il
civile consorzio non su quello s'impernia, bensì sovra la mia opera di
regolatore delle universali faccende. Guai se interrompessi quest'opera! Il
carro sociale s'incaglierebbe: e la fiaccola della discordia incendierebbe il
legname di cui esso è composto. Io solo, dunque, ho diritto d'inorgoglirmi,
poiché le fatiche degli uomini si svolgon sotto la guida del mio ozio oculato.
— Sii modesto nella felicità!,
implorò Macario.
— Cosa vai cicalando, o
poveretto!, disse un gazzettiere. Certo, ridicolo è un funzionario, se drizzi
la cresta e guardi, come dall'alto di un trono, il mondo; poiché la sua
potenza, basata sovra il mutevol criterio degli uomini, si risolve in fumo. Ma,
a ben considerare le cose, solo noi gazzettieri avremmo il diritto d'inorgoglirci,
essendo noi soli i timonieri della pubblica opinione e, quindi, dell'ordine
sociale e dei patrimonii individuali. Sappia, dunque, l'umanità onorarci: e
continui docile a nutrirsi delle nostre parole e a cibare, in tal modo, il
nostro ozio illuminato.
— Accogli con modestia il
trionfo!, gemette Macario.
— E chi sei tu, irruppero i tre
contendenti unendo in fascio le lor forze, chi sei tu per osare così sciocchi
cicalamenti in presenza di persone autorevoli? Credi forse, di trovarti fra
mezzo a pidocchiosi tuoi pari?
— Io credo di trovarmi davanti
ad uomini, che s'inorgogliscono senza ragione, replicò pacato Macario. Altri
banchieri e funzionarii e timonieri della pubblica opinione hanno vissuto prima
di voi. E qual merito dimostrate, or dunque, imitando e seguendo l'esempio
altrui?
— E tu, ribatterono i
contendenti, qual merito hai, essendo così misero e sparuto ed imbelle, nel
predicar la modestia?
Macario alzò gli occhi verso il
cielo, poi disse:
— Merito di tanto maggiore, in
quanto, al contrario di voi, non seguo le orme di alcuno, anzi servirò a tutti
di esempio.
Ma, tornato a casa, scrisse con
mano tremante sull'effemeride:
«Ho peccato di orgoglio...»
Poi aggiunse:
«...e le mie ossa ne sono state
punite».
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