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Pierangelo Baratono
Il beato Macario

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  • La vita esemplare
    • XXIII
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XXIII

 

Benedette le donne, poiché sovra le loro labbradavanzali per il geranio del cuorefiorisce la verità. E qual sede più acconcia avrebbe la verità, di quella offerta dall'amabile sesso? Non è, essa, nuda? E che altro chiedono le donne, se non di mostrarsi a nudo? Non vive, essa, in un profondo pozzo? E non sono profonde, come i pozzi, le donne? Non è, forse, la verità, il segno manifesto di una gran fede? E quale fede appare grande e incrollabile al pari di quella, riposta dalle donne nei lor proprii vezzi e parole?

Unica, Clorinda, avea tralignato e, con la sua propensione a spacciare bugie, recato offesa e disdoro al sesso, cui pur apparteneva.

Macario, ricordando, si afforzava sempre più nel proposito di evitar, come peste, la menzogna. Perciò, gli uomini tormentati dal dubbio ricorrevano a lui onde sciogliere i bendaggi, dai quali l'anima era fasciata.

— O Macario, il mio amico migliore mi colma di elogi e con magniloquenza esalta le mie virtù e fattezze. Ma posso reputarlo veracemente sincero?

— Il tuo amico migliore commentò, in crocchio arguto, lo sviluppo del tuo naso e la rilassatezza dei tuoi costumi, e concluse: «Egli è elefante nella proboscide, ma, nel rimanente del corpo, suino».

— O Macario, il maggior gazzettiere della città scrisse un sagace articolo esaltando l'arte e i pregi del mio ultimo libro. Ma la sua stima è veracemente profonda?

— Il maggior gazzettiere della città disse, in un crocchio di savii, che il tuo libro contiene solo tre pagine interessanti e una sola parola piacevole a leggersi: le tre pagine bianche e la parola «fine».

— O Macario, la mia consorte arde di amore per me e di continuo manifesta, nei più svariati modi, questa sua sviscerata affezione. Ma poss'io veramente fidarmi?

Vidi tua moglie a colloquio con un giovane, in una strada appartata; e, passando d'accanto, udii che diceva: «Mio marito, quando parla, raglia, gracida quando s'intenerisce e, nell'amore, è marmotta».

Sconvolti e lacrimanti uscivano i consultatori dalla casa di Macario. E in essa, quasi subito, irrompevano gli amici migliori e i gazzettieri e le consorti. Tuttavia il martire, senza preoccuparsi delle appariscenti tracce, lasciate sulle sue guance, né delle vaste radure, aperte nella sua chioma da mani vendicatrici, continuava imperterrito nella propria missione.

In un appartamento contiguo, abitavano una madre e una figlia. La madre, donna di media età, trotterellava per le strade, rincasando di tempo in tempo assieme a compiti e sempre variati uomini. E la figlia riaccompagnava, poi, gentilmente fino alla porta i visitatori. Un giorno pervenne a Macario una lettera così concepita:

«O uomo pio, le tue vicine di alloggio, conoscendoti così virtuoso e verace e soffrendo gravi incertezze nei riguardi della lor vita, supplicano che tu, benigno, sciolga ogni dubbio col dire alla madre e alla figlia qual nome abbia la lor professione».

Macario, con mano ferma, scrisse sotto la lettera due parole, firmò e rimandò la missiva.

Ma, alla seguente alba, fu svegliato da fieri colpi sull'uscio. E, dato il passo, si vide porgere da un tetro uomo un foglietto, dal quale si deduceva che «visti e considerati i documenti ecc. e udite le parti lese» il pio martire era chiamato a rispondere di ingiurie e di diffamazione.

Esperti legulei accorsero a porgere consiglio. Ma, esaminato il caso e fatte le debite ponderazioni, ognuno scrollava melanconicamente la testa, guardando volta a volta Macario e la cassa-forte, nella quale egli avea riposta e teneva ben custodita la pecunia. Ed ecco giungere il momento fatale; ecco il reo presentarsi, dimagrito e perplesso, innanzi al magistrato.

— O uomo, che cosa avete da dire in vostra discolpa?

Macario guarda le accusatrici, esita, poi con impeto risponde:

— Nessuna ingiuria ho scritta. E la mia colpa, giuro, fu semplice colpa di omissione.

— Come spiegate, dunque, o uomo, l'epiteto rivolto alla madre?

— Volevo definirla, giuro: donna mezzana di età.

— E come giustificate l'epiteto rivolto alla figlia?

— Volevo chiamarla, giuro: fanciulla degna, per i modi e la leggiadria, di vivere in Corte.

E, tornato a casa, davanti alla cassa-forte ormai salva, scrisse sull'effemeride:

«Ho pronunciato due menzogne; e non sono stato punito».




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