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Felice Venosta
I toscani a Curtatone e a Montanara

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  • III
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III

 

Il generale Gorzkowsky, di esecrata memoria, l'uccisore di Ugo Bassi, era allora governatore di Mantova. L'animo suo truce non poteva sopportare in pace come un pugno di volontari, usciti allora allora, in gran parte dai collegi, figli di famiglia il prima, non abituati alla guerra e in loco non munito dall'arte, avessero saputo porre in fuga due compagnie delle migliori sue truppe e sostenuto un lungo combattimento con altre truppe numerose senza arrendersi, senza lasciare neppure un di loro prigioniero. Quel generale deliberò di gettare, nella sera del vegnente, contro i soldati di Fontana una forte colonna di scelti gregari ai cenni d'un veneto, il Duodo. — Notiamo il nome a titolo di vergogna, chè, se come soldato il Duodo non credeva dover abbandonare le file dell'oppressore, come italiano doveva infrenare le sue soldatesche.

Per la porta San Giorgio, notte tempo, come branco di ingordi ladroni, un reggimento di ungheresi ed un battaglione di cacciatori uscivano con seco sei pezzi d'artiglieria e due squadroni usseri. Ubbriacatisi in un'osteria alle Colombare, uccisone l'oste e la moglie, ed arsa la casa, il Duodo spediva i cacciatori verso Casale per assalire i nostri di fronte e di fianco; il molto vino però, che questi avevano tracannato, offuscava loro siffattamente gli occhi che stentavano a raccapezzare la strada. Il grosso del corpo egli spingeva direttamente per la via dell'argine. Tutto era silenzio e tenebra; le ruote dei carri erano fasciate di stoppa. Gli Austriaci sorprendevano, immerso nel sonno, un giovinetto reggiano, sentinella avanzata; uccisala a colpi di baionetta, scavalcavano la prima serraglia composta provvisoriamente d'alberi incrocicchiati; e i nostri, a difesa di quel punto, sorpresi e côlti da spavento si davano a precipitosa fuga, avvisando il campo del giungere del nemico con grida smodate.

Scoccavano allora le quattro del mattino. Un falso allarme nella notte aveva tutti desti; epperò tutti erano pronti a battaglia. Fontana, disceso in fretta nella strada, minacciava di morte chi alzasse grido, o battesse i tamburi; e provvedeva celeramente alla difesa. Poneva una compagnia di fanti con due cannoni sulla sponda destra del Mincio, ordinando al capitano Cremonini di prendere l'inimico di fianco. Disponeva tre centurie nel camposanto, che sta sulla via di Casale. Difilava dal ponte levatoio sino alla chiesa, che è in fondo al borgo, una riscossa di trecento uomini tra volontari, stanziali e soldati a cavallo. Traeva seco trecentosessanta civili, i bersaglieri mantovani e due pezzi d'artiglieria sull'argine della riva sinistra. Presso il casino Tiraboschi era stata già rotta la strada, e apertovi un largo fosso comunicante col fiume.

Il nemico si accennò col rimbombo dei cannoni e col fischio dei razzi. Il Fontana, a cavallo, si pose alla testa de' suoi, ed alzando il braccio e la spada, gridò animosamente: Viva l'Italia! a' quel grido si succedevano le grida dei soldati, e alla mitraglia delle artiglierie austriache quella delle modenesi. Ad ogni colpo dell'inimico vedevansi andare in frantumi i tetti delle case di Governolo, a smembrarsi i pilastri dei porticati; ad ognuno dei nostri vedevasi lo sperpero nelle avverse file, e si udiva il confuso lamento delle teutoniche voci. La compagnia di Longoni procedeva innanzi, e i Modenesi la imitavano. Intanto uno dei due pezzi a capsula — su cui il duca Francesco IV, di trista memoria, aveva con villano scherzo fatta apporre la leggenda «Ciro Menotti contro i liberali, 1831» avendo rotto il congegnamento, non faceva più fuoco. Il Cremonini si rimaneva inoperoso nell'opposta riva, mentre alcuni tra i suoi si erano posti a fuggire verso il Po. Fontana mandava il suo aiutante per riscuotere l'attività dell'inerte capitano; ma lo stimolo non valse. Pur la fortuna combatteva pe' nostri; imperocchè i pochi, postisi in iscaglioni, recavano la strage nell'opposto campo.

Dopo un combattimento di oltre quattr'ore, il Duodo, inasprito dalla lunga difesa e per le tante morti de' suoi, ordinava la carica alla baionetta. Gli ungheresi rispondevano al cenno che i tamburi loro davano; ma giunti al valico del fosso s'arrestavano incerti. Essi venivano côlti da un ben nutrito fuoco di moschetteria che li faceva indietreggiare. Un nostro tamburo, senz'ordine, cominciava a battere anch'egli la carica. Il Fontana gridava: Vittoria! Viva l'onore italiano! I soldati della libertà si aggruppavano in colonna e correvano sui passi dell'inimico, il quale, preso da tale sbigottimento, si dava a dirotta fuga. Erano allora le dieci. Inseguiti gli Austriaci per buon tratto, i nostri fecero qualche prigioniero ed ebbero per bottino un carro coperto con munizioni da guerra.

 




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