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Felice Venosta
I toscani a Curtatone e a Montanara

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  • VIII
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VIII.

 

Lo stesso giorno in cui il terreno di Mantova si bagnava del generoso sangue toscano, un corpo di circa 6000 Austriaci discendeva dai colli di Rivoli per portare soccorso a Peschiera. Baldanzosi venivano innanzi i nemici; ma giunti a Colmasino, sorpresi da poche compagnie di bersaglieri, si asserragliarono nel cimitero. Sopraggiunto in quel mentre colà il generale Bes con rinforzi, i nostri caricarono i nemici alla baionetta, li snidarono dal campo, li inseguirono al di del Cavaglione. I bersaglieri, tra i quali erano gli studenti dell'Università di Torino, e il 3.° e 4.° di linea, contarono due morti e quattordici feriti. Gli Austriaci lasciarono sessanta cadaveri sul campo.

Se Radetzky avesse posseduto quel genio guerresco che i reazionari d'Europa tutta decantavano in lui, non avrebbe lasciato tempo a Carlo Alberto di apparecchiarsi alle difese. Appena superato il passaggio del Mincio, «che buoni ragazzi toscani, così egli chiamò ironicamente que' giovani immortali, durante sei ore a lui contrastarono» avrebbe marciato su Goito. Non fu che il giorno 30 che, alla testa di 25,000 uomini all'incirca, presentavasi ai nostri senza segnalare il suo arrivo per vedette, per corpi di riconoscenza. Accanita si accendeva la battaglia, la quale durava tutto il . Gli Austriaci, sebbene superiori di numero, furono alla fine sgominati, scompigliati, posti in piena rotta, ed inseguiti sino a Gazzoldo, ove vennero collocati i nostri avamposti. Erano le sette della sera, e la vittoria era dappertutto acclamata, quando a renderla più bella giungeva al Re un ufficiale portatore di una lettera del duca di Genova colla quale gli annunciava la resa di Peschiera. L'entusiasmo fu allora al colmo; e grida unanimi echeggiarono nell'immensa pianura di Goito di Viva il Re! viva il duca di Genova! Viva l'Italia! L'interna gioia fece spuntare un leggero sorriso sulle labbra di Carlo Alberto, che, voltosi ai circostanti, diceva: «Ora, i Toscani sono vendicati!». Quindi percorse il disputato terreno, confortò di una visita i feriti, ch'erano in numero di duecentosessanta e tornò al suo quartier generale di Valeggio. Si distinsero per la difesa il generale Bava, che diresse la battaglia, e i suoi colleghi il duca di Savoia, l'attuale re d'Italia, il d'Arvillars e il d'Aix-Sommariva.

In sulla sera cominciò a piovigginare; nella notte e nel appresso l'acqua venne a torrenti. I Piemontesi, non avendo che Goito ove trovare adatto ricovero, poichè l'esercito austriaco campaggiava a poca distanza, non poterono prendere nessun riposo dalle fatiche durate.

Carlo Alberto invece di far tesoro dell'entusiasmo in cui erano le sue schiere, e tentare un atto ardito, piombando addosso alle tarde e scorate truppe austriache, entrava il primo del giugno in Peschiera, e co' soldati moveva alla cattedrale per ringraziare Iddio della riportata Vittoria; quindi umanamente andava a visitare nell'ospedale i malati e i feriti Croati, donandoli di conforti e di denaro. Percorse co' figli e co' suoi generali le opere e il paese danneggiati da una grandine di più di ottomila palle, bombe e granate; eranvi alcune case che fumavano ancora; i tetti delle caserme traforati; dodici pezzi smontati; se ne trovarono però 127 integri con una quantità grande di proietti, di polvere e di materiale d'ogni maniera.

Nel mattino del terzo , il sole tornava ad allegrare l'orizzonte; e comechè la ruinosa pioggia avesse sfondato il terreno e obbligasse a camminare sulla strada, il general Bava mosse da Goito per operare un'energica offensiva, forzando il centro nemico, contenendo la sua ala destra con buona e numerosa artiglieria ed opprimendo la sinistra colle migliori e più fresche schiere. Ma Radetzky non aveva atteso i suoi comodi; e, saputa la concentrazione delle forze in Goito e la resa di Peschiera, escì anch'egli dalla sua inerzia, sguarnì nottetempo e in silenzio le posizioni di Sacca, Cagliara, Caigola, La-Motta, Rodigo, Solarolo e Ceresara, e per la via di Mantova si ridusse a Legnago.

Il corpo austriaco, comandato dal generale d'Aspre, che co' suoi cavalieri aveva portato la desolazione e lo spavento fin sullo stradale di Brescia, e che il De Laugier, supponendolo tagliato fuori di combattimento nella fazione del 30, tentò col mezzo del suo ufficiale d'ordinanza, Leonetto Cipriani, di persuadere alla resa, aveva pur sgombrato il paese sino allora campeggiato e seguiva il maresciallo, seco traendo prigione il male avventurato parlamentario. Se il generale comando avesse avuto migliore spionaggio il generale Salasco avrebbe sapute le mosse dell'oste nemica anche prima che partisse. Imperocchè, in tempi di guerra, per quanto il capo di un esercito si taccia, l'ansia premurosa de' suoi indovina i preconcetti disegni; quindi spargesi d'un tratto, senza autore, principio, una voce d'un prossimo attacco, d'una pronta ritirata e via discorrendo.

Nel villaggio delle Grazie evvi una chiesa, santuario rinomatissimo in que' luoghi, nelle cui interne pareti, ornate tutte bizzarramente di cera, sono lunghi ordini di statue, pure di cera, le quali rappresentano i principi di casa Gonzaga e i loro clienti, graziati dalla Madonna di qualche miracolo. Il Re, devoto com'era, desiderò visitare l'antico tempio; ma non vi fu modo da raccapezzare le chiavi che ne aprissero l'uscio. Si seppe dipoi come quivi fossero ricoverati meglio di cento feriti austriaci, grave impaccio in una celere fuga; ed è facile l'immaginare che quei contadini li celarono per tema di venir macellati allorchè un drappello di Mantova sarebbe tornato alle Grazie per trasportarli all'ospedale.

Frutto della mossa sino all'argine dell'Osone, da Curtatone a Montanara, fu la cattura di parecchi soldati stracchi e rilenti e di mille e cinquecento disertori italiani, che avevano approfittato della marcia precipitosa e notturna per isbandarsi. I prigionieri furono inviati in Piemonte e i disertori alle loro case. Dall'Osone Bava tornava indietro per riprendere le antiche posizioni.

Le milizie toscane, dopo la giornata del 29 maggio, venivano mandate a Brescia coll'intendimento di ordinarle. La magnanima città offerse loro le delizie di Capua. Le belle prove di coraggio e di ardire lodate a cielo; la squisita gentilezza dei modi ammirata; ogni cura fu per esse. Le donne specialmente, prese da un sentimento inesprimibile, che i casi d'Italia inspiravano, avvincolarono in siffatto modo gli ospiti da rendere impossibile il loro ordinamento. Le discussioni, l'indisciplina, le querele, i disordini furono giornalieri; e fu giuocoforza al De Laugier di rilasciare congedi, attestati, fogli di via ai militi dei battaglioni civili, pressochè tutti vogliosi di ritornare alle case loro. Così, nell'atto che i nostri nemici andavano ingrossandosi, le file dei difensori d'Italia venivano assottigliandosi di giorno in giorno. Chi soffiava nel disordine erano gli uomini dell'antico regime, i nemici di libertà, i quali speravano in quello salvezza alla causa del dispotismo. Altra cagione di tumulti e di discordie fu la malaugurata fusione col Piemonte, la quale, suscitando forti discussioni in pro' e in contra, divideva gli animi, li disviava dall'unico scopo che ogni italiano avrebbe dovuto aver fisso dinanzi, la cacciata cioè dell'Austriaco al di delle Alpi.

Non poca influenza pur s'ebbe in molti la famosa Enciclica pubblicata da Pio IX, con cui, grazie all'abborrimento che la Chiesa ha del sangue, egli abbracciava suoi figli gli eterni nemici della nostra nazionalità, malediva in certo modo le patrie battaglie, rifiutava ogni responsabilità, esponendo così i volontari non solo, ma i soldati stanziali delle provincie romane ad essere passati per le armi se fatti prigionieri dagli Austriaci.

 




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