UNA
DONNA.
Quoniam mulier sancta es
et timens Dominum.
(Judith.
c.8.29).
Nota è a me sulla terra una mortale
Che dal Ciel tutti i
doni ebbe più chiari:
Poch'alme han forza
d'intelletto eguale,
E fior dal meditar
colgon sì rari:
S'alza di fantasìa su
fulgid'ale,
E a' più posati
ragionanti è pari:
Pronta discerne il ver,
pronta l'addita,
E tanta luce è da umiltà
addolcita.
Cinta ell'è di ricchezze e di splendore,
E le aggradano brio,
riso, favella;
Tutte potrebbe del suo
viver l'ore
Incantar con magìa
sempre novella:
Par che delizïato il suo
bel core
Ogni affannoso sentimento
espella;
Ma questa d'eleganti
arti regina
Nutre d'egregi fatti
ansia divina.
E color che l'ammirano raggiante
D'ingegno e grazia in
suoi ridenti crocchi.
Ignoran che fissati ha
poco avante
Sopra miseria spaventosa
gli occhi;
Che sua candida man
dianzi tremante
Alzò il mendico prono a'
suoi ginocchi;
Che il delicato piè
stanco or riposa
D'aver recato ad egri
aïta ascosa.
De' suoi giorni in sull'alba acerba morte
Rapito a lei la dolce
madre avea;
Ma il padre in sen
chiudeva anima forte,
Anima avversa ad ogni
bassa idea:
Ei della figlia le
pupille accorte
Volgere a desideri alti
sapea:
Pensante crebbe, e in
ogni tempo ambìo
Il sorriso del padre e
quel di Dio.
Data fu la sua destra a mortal degno
Di tesauro sì bello e
invidïato.
Lontana dal natìo,
gallico regno,
Mosse al diletto suo
compagno a lato:
Non mirò i novelli usi
con disdegno,
Non portò di straniera
orgoglio usato:
Amò la nova patria, amò
l'antica,
Visse de' giusti d'ogni
lido amica.
Il livor de' volgari alla gentile
Perdonò l'esser nata in
altre sponde,
Tanto le piacque farsi a
noi simìle
Avvezzando le sue labbra
faconde
Non solo al bel, sonante
italo stile,
Ma al dïaletto che di
Dora all'onde,
E in tutte le dolci aure
subalpine,
Bench'irto, par che ad
amicizia inchine.
Ai genitori dell'amato sposo
Abbellì reverente i
vecchi giorni,
Però che ognor fu suo
pensier pietoso
Che da nostr'opre gloria
al Signor torni,
E da noi con amor
religïoso
La voce del vicin di
rose s'orni,
E dal Ciel maggiormente
al dolce sesso
Recar sollievo altrui
venga commesso.
Ma a costei non bastava entro sue mura
Spander pietà, sorriso,
amore e pace:
Dello spettacol
dell'altrui sventura
Nel petto le scendea
duol sì verace,
Che santa spesso
l'assalìa paura
D'appagarsi in virtù scarsa
e fallace:
Pareale ch'a indigenza
oro gittando,
Poco pur sia di carità
al comando.
Allor si fu che a visitare assunse
Il tugurio di gioia
derelitto;
Allor si fu che più
desìo la punse
Di commoversi al gemer
dell'afflitto;
Allor, com'angiol, fra i
sospiri giunse
Di tapine espïanti il
lor delitto;
Allora, insieme a facil
don, largiva
Fatiche, ambasce, carità
più viva.
Per alcun tempo di celar s'impose
Ai leggeri del mondo i
passi santi:
Non già che paventasse
le vezzose
Celie dell'alme vili ed
inamanti,
Ma perchè vereconda ella
ognor pose
L'orme sue pe' sentieri
al ciel guidanti:
Poi cotal luce sue
bell'opre diero,
Che ad alcun più sottrar
non si potero.
Fra i tristi cuori ond'era impietosita
S'annovravano quei delle
infelici,
Che, sebben colpa in lor
venga punita
Da universale scherno e
leggi ultrici,
A risorgere ancor
bramano aïta,
E affetti serban di
virtute amici:
Men proprii falli che
gli altrui talvolta
Più d'una d'esse han
nell'obbrobrio avvolta,
In pria delle dolenti incarcerate
Si fe' consiglio, e al
lor governo diessi:
Da lei furo ivi pene
allevïate,
E di religïon gaudii
concessi:
Furon le trepidanti alme
incorate,
E talor vinti i cuor più
duri istessi:
Dove eran pria disordine
e furore,
Addusse pace e penitenza
e amore.
E non fugaci benefizi questi
Brillàr di caldo ma
incostante petto:
Riede ogni giorno in
quegli alberghi mesti,
E vi sparge opportun,
söave detto.
Acqueta ivi gli spirti
ad ira presti,
Ispira cortesìa col
dolce aspetto:
Il sincero ammendarsi o
loda o sprona,
E i migliorati cuori
guiderdona.
Ma pur fuori del carcere infinite
Donne e fanciulle in
duol veggionsi immerse,
Che per amor falliro e
fur tradite,
Ed ahi! di fama più non
vivon terse.
Rïalzarsi vorrìan, ma da
inaudite
Sorti vittima son d'alme
perverse:
Sottrarsi anelan da
periglio ed onta;
Ov'è una destra a
sostenerle pronta?
Tal destra ecco a lor tendersi! ed è quella
D'una mortal, che,
siccom'angiol monda,
Pur contro al suo decoro
non appella
L'inchinarsi a infelice
vagabonda,
L'udirla con dolcezza di
sorella,
L'aprirle un tetto ove
il suo pianto asconda.
D'afflitte ed
oltraggiate a molta schiera
Quel pio rifugio è di
virtù carriera.
Non somiglia a prigion, non è prigione;
Ad entrarvi le ree non
son costrette:
Nè quelle, che invocata
han tal magione,
Ivi da forza fremon
quindi strette.
Asilo è d'alme per
rimorso buone,
Che lavorano e gemono
solette,
E pregano il Signor pel
mondo tristo,
Che il lor fallir con
empio scherno ha visto.
Poscia che fu quel mite albergo eretto
Per pensier della donna
generosa,
Provvide ella che
attiguo un altro tetto
Sorgesse a secondar
vaghezza ascosa
D'ammendate, che in velo
benedetto
L'anima aver chiedeano a
Gesù sposa:
Un solo tempio i duo
ricovri unisce,
E il mutuo canto i lutti
ivi addolcisce.
Talor io di quel tempio in segregata
Parte mi prostro, e
mesco i preghi miei
A quelli della pia turba
scampata
Dalla pietà operosa di
colei.
L'anima mia a quel canto
si dilata,
E occulto piango su miei
giorni rei;
E in cotal donna ad
altri spirti duce
Ravviso anco per me
celestial luce.
Nè quest'amica degli afflitti cuori,
Per ritrarli all'altezza
del Vangelo,
Li circonda di spregi e
di rigori,
Si ch'ognor tremin,
quasi in ira al cielo:
Del pentimento ai nobili
dolori
Vuol congiunta speranza
e amante zelo;
Vuol quella santa
ilarità tranquilla,
Per cui la Croce
maggiormente brilla.
Certo, ell'avea le inique voci udito
Contro a religïon
vibrate spesso:
Che selvaggia sia
questa, ed avvilito
Cada, se a lei si volge,
un cuore oppresso;
Mostrar quindi la saggia
ha statüito,
Che fede e cortesia si
danno amplesso,
Che penitenza e
consolante riso
Ponno concordi alzarci
al Paradiso.
Ah sì! caratter questo è ben del vero,
E sol di Cristo nella
legge splende!
Che in chiunque a virtù
mova sincero,
Santificati e duolo e
gaudio rende:
Retta è la via del
penitente austero
Che ne' deserti caritade
accende:
Retto altresì, purchè
temprato e pio,
È il civile consorzio
innanzi a Dio.
Onore ai forti Anacoreti! e onore
A tali, che bensì reggon
la Croce,
Bensì il proprio e
l'altrui piangono errore,
Nè ignoran di mestizia
il carco atroce,
Ma rimangon nel mondo, e
con amore
Spandendo van religïosa
voce!
Duo son diversi modi,
ambo divini,
Per cui l'uomo al Signor
si ravvicini.
L'ammirata da me soccorritrice,
Mentre al Signor
ravvicinare anela
Adulta moltitudine
infelice,
Pur di bimbi plebei
prende tutela;
Perocchè padre indarno e
genitrice,
Che faticando tutto il
dì trafela,
Vorrìa de' meschinelli
assumer cura,
E, negletta l'infanzia,
ahi! si snatura.
Memore che sì cari il Dio umanato
Dichiarò i pargoletti
ond'era cinto,
La pia nel proprio
ostello ha radunato
Stuol di fanciulli in
duplice ricinto,
Ove, mentre sostegno al
corpo è dato,
Viene a virtù il
crescente animo spinto,
Vigilando colà vergini
umìli
Ad addolcire i palpiti
infantili.
Intanto, pur allor che senza asprezza
Un cor religïon fervido
porta,
Consüetudin mai di vil
mollezza,
Nè per sè, nè per altri
unqua sopporta.
Poco gl'incanti della
vita apprezza
Chi di celeste amor
l'alma conforta:
Giorni in secreto mena
penitenti,
E se bello è il
rischiar, corre ai cimenti.
Questa donna vegg'io quindi nel tristo
Tempo in cui Dio
l'indico morbo scaglia
Trarre agl'infermi ad
onta del previsto
Pericolo che a molti il
cuore ismaglia.
Compiange, esorta, ajuta,
e volge a Cristo
Chi in angoscia di morte
si travaglia,
Poscia a piangenti
vedove e orfanelli
D'orrenda povertà tempra
i flagelli.
In tai fatiche ed in quell'aure infette
Langue della gentil la
debol salma,
Ma sinch'altri giovar
Dio le permette,
Ella non osa a sè
conceder calma:
Il benevol desìo forza
le mette,
E sua fiducia dal
Signore ha palma:
Dolora, ma prosegue, e
con sant'arte
Altrui suoi patimenti
asconde in parte.
Tal esser può sì fievol creatura,
Qual è donna cresciuta a
splendid'agi,
Quando al lume del Ciel
che l'assecura,
Pace e gloria non pone
in bei palagi,
E rammenta che un Dio
prese figura
Di poverello, e visse
infra disagi,
E di lui ne assevràr le
labbra sante
Che in ogni afflitto Ei
stassi a noi davante!
Tal esser può, restando pur nel mondo
E in convenevol, fulgida
eleganza,
Chi nutre del Vangel
senno profondo,
Chi gode esser di Dio
fatto a sembianza,
Chi sa che spirto uman
d'opre fecondo
Non dee in van'ombre
usar la sua possanza,
Ma in amar Dio! ma in
dimostrargli amore,
Sempre sacrando
all'altrui bene il core!
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