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Silvio Pellico
Poesie inedite

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  • VOLUME PRIMO.
    • L'ANTICO MESSALE.   Et benedictae reliquiae tuae! (Deut. 28.5).
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L'ANTICO MESSALE.

 

Et benedictae reliquiae tuae!

(Deut. 28.5).

 

Oh ben a dritto più di gemme e d'oro

Ch'abbian sol di ricchezza immenso pregio,

Ami, o Donna gentil, questo tesoro,

Che vetustà rarissima fa egregio:

Muto è al cor de' mortali ogni lavoro

Che splenda sol come opulento fregio:

Qui de' secoli v'è l'alta parola

Che percuote ed in un turba e consola.

 

Qui v'è un incanto ch'a noi stende innanzi

Remotissimi giorni, i giorni alteri,

Allorchè di barbarie infra gli avanzi

Fiorian città, castella e monasteri,

E non sol grandeggiavan ne' romanzi

Le sante dame e i santi cavalieri,

Ma di religïone e di portenti

Tutte fervean le più elevate menti.

 

V'abbondavan dolori, e v'abbondava

D'armati rei la vïolenza atroce;

Ma mentr'eraforte ogn'indol prava,

Forte in cor degli eletti era la Croce!

Di forza era un'età che suscitava

Tra l'iniquo ed il buon guerra feroce:

Stupor ci fa tal quadro e ci atterrisce,

Ma con somme virtù pur ci rapisce.

 

Io non posso adorar l'età lontane,

Ma pertanto adorar so la mia,

Chè troppo da vicin veggo profane

Opre d'assai maligna e vil genìa,

Sì che gemendo alle speranze vane

Di chi grida, or regnar filosofia,

Io non ami onorar que' vetust'anni

Di cui non sento almen tutti gli affanni.

 

Da qual lato pur penda la bilancia

De' meriti maggiori e de' delitti,

Gode la fantasìa quando si slancia

Fra monumenti o per magìa di scritti

In mezzo a quelle stirpi use alla lancia,

Alle preghiere, ai mistici conflitti,

Ai romeaggi, ai ruvidi cilìci,

A tutta l'energìa de' sacrifici.

 

E ciascun che non basso abbia l'ingegno

Ammira que' giovanti cenobiti,

Ch'oggi il diffamator con riso indegno

Pinge ozïosi, inutili, insaniti:

Senza i loro intelletti, avrebbe il regno

D'ignoranza coverto i nostri liti:

Ingratitudin dementò la terra,

Quando in sua civiltà lor mosse guerra.

 

L'anima langue e impicciolisce quando

La ristringiam ne' quattro presenti:

Nobil uopo ha di spargersi, abbracciando

Avi e imperi e costumi e grandi eventi:

Uopo ha di meditar, commiserando

Coi nostri error quei delle scorse genti:

Uopo ha d'uscir di sue natìe catene;

Ogni tempo, ogni spazio le appartiene.

 

Tale, o Donna pensante e generosa,

Tal è l'arcano che ti molce il core,

Gli occhi ponendo su vetusta cosa,

E più se esprime santità ed amore.

Dove non sorge l'alma tua pietosa

Con questo antico libro del Signore,

Che già posò su chi sa quali altari

A' giorni de' Crociati e de' Templari?

 

A que' tu vi scorgi il Re Luigi

Forse vivente ancora, o appena estinto,

La sua bontà, il suo senno, i suoi prodìgi,

I prodi cavalieri ond'era cinto,

Il suo partir dai campi di Parigi

Per la fatale impresa ove fu vinto;

Fors'ei nel visitar conventi ed are

Queste pagine vide alluminare.

 

Il rimirar que' resti e quella polve

Che a noi tramanda la lontana etate,

Ci dice come Dio sempre dissolve

Tutte le cose sulla terra nate;

Ci sublima lo spirto, ci disvolve

Dai vincoli di nostra vanitate:

Per la scala de' secoli il pensiero

Alza sull'orme dell'eterno Vero.

 

Di quanti regi e prenci e capitani

Festeggiando la nascita o la morte

Questo libro servì nei riti arcani

Che al debol uomo uniscono il Dio forte!

Di quanti celebranti e sguardo e mani

Lo toccaro, onde ignota oggi è la sorte!

Quante labbra baciàr questo Evangelo

Di sacerdoti or glorïosi in cielo!

 

Forse colui che tante veglie stette

Su queste venerate pergamene,

Fu Paladin che il proprio sangue dette

Col pio Luigi sull'Egizie arene,

E al santo Re l'ultimo assistette,

E fu ludibrio all'ire saracene,

Poi ritornato nella dolce Francia

Appese entro d'un chiostro e spada e lancia;

 

E venduti i suoi campi e dispensato

Ogni suo avere a' poveri e alla Chiesa,

Volle che il viver suo fosse immolato

Ad oscura umiltà d'amore accesa;

Eccol fattosi monaco e obblïato

Dalla turba del mondo ai gaudi intesa!

Eccolo salmeggiante assiso in coro,

O in cella volto ad un gentil lavoro!

 

Al lavoro di splendido Messale

Che pazïentemente ei sta vergando;

E poichè per ferite più non vale

Sua nobil destra a servir Dio col brando,

Come già il sangue, ora con gioia eguale

Gli offre l'ingegno, questo libro ornando,

E gode in abbellir d'oro e di fiori

Quelle preci che tanto alzano i cuori.

 

Egli il buon Salvator dipinger gode

Per cui sì volentieri ha combattuto,

E la Vergin Maria che lo ' prode

E sempre in guerra gli ha prestato aiuto;

Del pennello ogni tocco è una sua lode,

Un sospiro di grazie, un pio saluto:

Circondano Angioletti il pittor santo

Dando all'opera sua celeste incanto.

 

Ma tu meglio di me, Donna, volgendo

Quest'antico Messal senti secrete

Inaudite armonie che appena intendo,

Che mal accenna il verso o mal ripete:

Parla tu stessa, dal tuo labbro io pendo;

Delle soavi tue parole ho sete.

Tutta adorna con esse è l'arpa mia,

Tutta luce è di te mia poesia!

 




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