L'UOMO.
Omia possum in eo qui me
confortat.
(Philipp. 4,
13)
Capir non può l'umano spirto quale
Fosse dell'uom la prima,
alta natura,
Pria che i suoi giorni
avvelenasse il male.
Ma di natia grandezza un resto dura
Pur d'Adam nel nipote
sventurato,
Che un Dio, piucchè una
belva, in sè affigura.
Quel corrucciarsi del suo abbietto stato
È ad un tempo alterigia
e sentimento
Ch'ei pel fango terren
non fu creato.
Giocondo del suo pascolo è l'armento,
E se rugge il leon,
rugge per fame,
E quand'è sazio, anch'ei
posa contento.
Solo il mortal, benchè ogni senso sbrame,
E si sforzi a letizia,
ode una voce
Che in cor gli grida: -
L'ore tue son grame!
Sempre muta pensier, sempre lo cuoce
Uopo sfrenato di scïenza
o possa,
Sempre una spina a sue
calcagna nuoce.
Solo fra gli animali ei pur dall'ossa
De' cari estinti aspetta
vita, e crede
Sovrastar gioie e danni
oltre alla fossa.
In ogni secol l'uom si vanta erede
D'avito senno e
cresciutissime arti,
Ed egualmente sitibondo
incede.
Ambisce ragunar tutti i cosparti
Lumi dell'universo, e
farsi Iddio,
E rifuggongli quei da
cento parti.
Agogna fama, e lo ravvolge obblio,
Sanità cerca, e
infermità l'abbatte,
Sa di peccare, e
vorrebb'esser pio.
Contr'altri, contra sè freme e combatte,
Vuol parer dignitoso ed
assennato,
E il premon fantasie
luride e matte.
Egli è un astro smarrito ed oscurato
Che di sua prisca gloria
un raggio serba,
E volge a rallumarsi ogni
conato.
Egli è una cosa angelica e superba,
Egli è un Nabucodonosor
del cielo,
Dannato co' giumenti a
pascer l'erba.
Sull'intelletto suo s'è steso un velo,
Ch'ei maledice ed agita,
e attraverso
Scorge il tesor perduto
ond'è sì anelo.
Come offes'egli il Re dell'universo?
Qual fu l'arbor vietata
ch'egli ha tocca?
Sin quando in mezzo a'
vermi andrà disperso?
Basti che mentre di giustizia scocca
L'ineluttabil folgore
sull'uomo,
Sull'uom misericordia
anco trabocca.
Basti che sì da colpa ei non è domo,
Che per mano di Dio non
debba pure
Frangere il giogo, e
avere in ciel rinomo.
Basti ch'ei fra ignominie e fra sciagure
Sta grande e conscio di
virtù divine,
E gli destan rossor vizi
e lordure.
Ei molto ignora, ma le sue rovine
Attestan quella origin
ch'egli avea,
E suda a restaurarle
insino al fine;
E abborre l'angiol vil che il seducea,
L'angiolo vil che invano
ognor gli grida:
«Nulla tu sei che
argilla stolta e rea!»
Taci, bugiardo spirto! Iddio m'affida:
Ei non m'ha tolto, come
a te, l'amore:
Uom si fe' perch'io 'l
veda ed abbial guida.
Servo a lui son, ma sono a te signore;
Mal cangi astutamente e
viso e manto,
Per trarmi fra tuoi
schiavi al tuo dolore.
Mal di filosofia t'usurpi il vanto,
Per insegnarmi il tuo
esecrando scherno
Sull'alte mire del tre
volte Santo!
Io caddi al par di te dal regno eterno,
Ma non sì basso; e se mi
curvo al suolo,
Non è per invocar fango
ed inferno,
Bensì lui, che raddurmi al ciel può solo!
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