GLI
ANGELI.
Qui facis angelos tuos
spiritus.
(Ps.
103).
Con un sol cenno, è ver, l'Onnipossente
Può governar
gl'innumerati mondi,
Scevro d'ausilio di
creata mente;
Ma più degno è di lui ch'ami e fecondi
L'universo d'angelici
Intelletti,
Di cui l'opra sue grandi
opre secondi.
Ei così volle, e spirti a lui soggetti
Adempion suoi decreti in
ogni loco,
Quali a premiar, quali a
punire eletti.
L'Angiol del Sol, da quel beante foco
Ai circostanti globi è
fatto legge,
E della luce incantali
col gioco.
Ed ogni astro ha uno spirito che il regge,
Od hanne molti, giusta
ch'ivi è bello
Esser vario de' duci il
santo gregge.
La nostra terra di sventure ostello,
Ostello è pur di squadre
celestiali,
Onde scempio non
facciane il rubello.
Per fraterna pietà si fean coll'ali
Agli occhi vel, lunge
l'acciar rotando
Ai cacciati quaggiù
primi mortali.
E d'Adamo fu l'Angiol, che allorquando
Reo lo mirò - «Non
disperar! gli disse,
«L'Eterno puoi placar, te umilïando!»
Poscia ogni volta che la colpa afflisse
Cuori che si pentiano,
il Signor tosto
Di consolarli ad uno
spirto indisse.
Chi al fido Abramo che sul rogo ha posto
Il caro figlio ed il
coltel già snuda,
La man rattiene? Un
Cherubin nascosto.
E quando l'infelice Agar di cruda
Sete col figlio langue
entro il deserto,
Dio fa che l'acque un
Angiolo dischiuda.
De' dolci Genii ognor s'accrebbe il merto
Di quest'esule argilla a
giovamento,
Per cui sapean che
Cristo avria sofferto.
Noi vediam nel soave accorgimento
Di Rafael (perchè Tobia
giungesse
D'ogni più cara brama al
compimento)
L'amor de' nostri Genii: in lor le stesse
Ardono industri fiamme
generose
Per l'alme peregrine a
lor commesse.
E più lieti n'avvampan, dacchè impose
L'Eterno a Gabriello il
gran messaggio,
E Maria «la tua ancella
ecco!» rispose.
In quel bel dì le sfere tutte omaggio
Le prestaro, e degli
Angioli reìna
Brillò una Donna di
terren lignaggio!
Qual fu la gioia lor quando in meschina
Stalla videro nato il
Dio lattante
Al sen della Mortal,
fatta Divina!
Oh felice lo stuolo vigilante
De' pastori che l'inno
udiron primi,
Nuncio alla terra del
celeste Infante!
Godo in pensar che allor fra que' sublimi
Angioli avevi loco,
Angiolo mio,
Tu che guidarmi or degna
cura estimi.
Tu l'hai veduto quell'amante Iddio
Pender bambin fra le
materne braccia,
E già per me il pregavi,
e t'esaudìo!
E poi seguisti di Gesù ogni traccia
Pel cammin della vita, e
poi vedesti
Sul fero legno sua
languente faccia,
E di dolor sui falli miei piangesti!
II.
L'Angiolo! Oh amabil creatura! Un Ente
Tutto bellezza, e
intelligenza e amore,
Che tutto legge
nell'eternamente!
L'uom qual angiol saria se affrontatore
Della sconfitta sua
stato non fosse,
Bandiera alzando contro
al suo Fattore.
Ma il reo di sua stoltizia addolorasse,
E lagrime spargendo si
sommise,
E Dio intese sue preci,
e si commosse.
Del mortale a custodia un Angiol mise,
Che lo guidi e consoli,
e ognor ripeta:
«Tieni a salute le
pupille fise».
Dal giorno poi che nostra afflitta creta
Iddio venne a vestire ed
a noi diessi,
Dolorando e morendo,
esempio e meta,
Portando noi del divin sangue impressi
Sulla fronte i caratteri
possenti,
Più invidia non ci fan
gli Angioli istessi.
Angioli siam noi pur, benchè gementi
In questo passeggier
regno di morte:
Gesù nobilitò nostri
tormenti!
Perdermi ancor potrei; ma la mia sorte
Fidata venne ad un
guerrier del cielo:
Ei mi regge e difende
con man forte.
L'Angiol che per mio bene arde di zelo
Amo, e cerco, ed invoco,
e benedico,
E pur di poco amarlo io
mi querelo.
Ei fra' creati fu il mio primo amico!
Il Genio che svolgea ne'
miei prim'anni
Del Bel l'amore,
ond'oggi il cor nutrico!
Il confidente de' secreti affanni!
L'incanto che i pensier m'ha
raddolciti!
Il braccio che
strappommi a crudi inganni!
Oh tutti voi, che da dolor colpiti
Gemete in questa valle,
abbiate spene
Ne' tutelari Spirti a
voi largiti!
Io troppo spesso ad amistà terrene
Volli appoggiarmi, ed
eran pochi i fidi
Che davver
s'attristasser di mie pene.
I più m'amavan per sè stessi, e vidi
Taluni rinnegarmi, e
perfid'eco
Far contra me di vil
calunnia a' gridi.
Ed io, folle, piangea! - Ma quand'io meco
Sentìa il celeste amico
mio verace,
L'angosciato mio core
effondea seco,
Ed ei benigno v'istillava pace!
III.
Angiol mio, dove sei? Mai dal mio fianco
Non ti partir, che
s'appo me non t'odo,
Tu sai quanto al ben far
divenga io stanco.
Di vane inquïetudini mi rodo,
Se a me incessantemente
non favelli,
E ai vili penso, e
d'abborrirli godo.
Ottienmi ch'io perdonar sappia ai felli,
Ed opri ognor secondo
te, secondo
L'orme de' miei più
nobili fratelli.
Gareggia cogli altr'Angioli che al mondo
Offron nelle guidate
anime forti
D'ardue virtù spettacolo
giocondo.
Perchè ne' dì lunghissimi che assorti
Vissi in prigion, mi
sfavillò sì grande
La dolce carità de' tuoi
conforti?
Perchè tratto m'hai poscia infra ammirande
Anime care, ond'una al
guardo mio
Raggi con te di Paradiso
espande?
Perchè in me suscitasti alto desìo
D'obbedire a quell'una,
e perchè festi
Ch'ella a me dir
curasse: «Amiamo Iddio»?
Grazie, grazie, Angiol mio, de' manifesti
Segni di fratellanza! ah
sì, tu m'ami!
Tu vuoi condurmi a
giubili celesti!
Tu in guise inenarrabili mi chiami,
Per me paventi della
colpa i lutti,
E mi sveli d'inferno i
lacci infami.
Salve, bell'Angiol mio! salvete tutti,
Angioli tutelanti
l'universo,
Perch'egli a Dio suprema
gloria frutti!
Quanti siete v'imploro, a fin che immerso
Non vada alcun d'infra
gli amati miei
Nella voragin dello
stuol perverso!
E te precipuo invoco, Angiol, che sei
Protettor delle belle
Itale rive,
Difendi il popol mio da
influssi rei!
Tuoni del Campidoglio in sul declive
Sì possente la voce
della Chiesa,
Che salvatrice a tutte genti
arrive!
E la face crudel della contesa
Fra le varie contrade
Itale spegni,
E ferva ognuna al comun
bene intesa!
E dell'alma Penisola i bei regni
Di dura signoria non
giaccian preda,
Ne' di plebei
sovvertitori ingegni!
Ad ogni alta virtù l'Italo creda!
Ogni grazia da Dio
l'Italo speri!
E credendo e sperando
ami, e proceda
Alla conquista degli eterni veri.
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